Ricorre il 2 giugno, Festa della Repubblica. Unica ricorrenza civile a non creare divisioni nel Paese. Eppure non viene percepita con piena consapevolezza. Per tanti anni è stata vissuta dal mondo politico con stanca adesione; dalla cittadinanza come una vacanza in più, meglio se cade nel giorno giusto per un ponte. Il presidente Carlo Azeglio Ciampi, con un’azione prudente ma decisa, ha avuto il coraggio di dare a questa ricorrenza l’attenzione che merita liberandola prima di tutto dalla retorica nella quale troppo facilmente gli italiani amano sbrodolarsi.
Ha diffuso l’idea che il 2 giugno è il compleanno degli italiani come popolo, patria e nazione. Ha educato gli italiani a innamorarsi del Tricolore e da allora appare con sempre maggior frequenza, mentre prima veniva sbandierato principalmente per le vittorie della Nazionale di calcio o altri trionfi sportivi.
Il 2 giugno è veramente una data importante per l’Italia e per gli italiani. Vorrei dire la più importante, anche se trovo moralmente irrispettoso fare una graduatoria delle ricorrenze: ognuna ha un significato proprio con valori e passioni che la alimentano, giustificano e legittimano. Ma quello che è successo quel 2 giugno 1946 è qualcosa di unico nella storia del Paese, mai successo prima nel territorio che va dalle Alpi a Lampedusa, da Bardonecchia a Trieste: l’Italia è diventata adulta, ha scelto di essere se stessa, il popolo è diventato lo Stato attraverso la democrazia.
Quel 2 giugno sono successi almeno tre avvenimenti importanti quando gli italiani sono andati al voto dopo un ventennio di urne chiuse.
Primo, hanno congedato la casa reale Savoia, gravemente compromessa con il fascismo. L’estremo tentativo dell’abdicazione di Vittorio Emanuele III a favore di Umberto II, re per un mese, volendo salvare il salvabile, di fatto è stato un atto di ammissione degli imperdonabili errori precedenti. Il principale dei quali è stato quello di non aver assolto al proprio ruolo fondamentale: essere interprete dell’unità e identità nazionale. Invece la monarchia prima si è fatta prendere la mano, poi è andata a rimorchio di un regime fino a farsi ingabbiare: era inevitabile che il disastro dell’uno segnasse la fine dell’altro. Gli italiani hanno preso coscienza che potevano fare a meno della monarchia ed hanno affidato il ruolo di interprete e garante dell’unità nazionale al Presidente della Repubblica, in carica per sette anni. Nonostante qualche scossone ai tempi di Segni e di Leone, è l’istituzione che meglio si è preservata nei primi 70 anni di storia repubblicana: oggi il Quirinale è senza dubbio l’istituzione alla quale i cittadini ripongono maggior fiducia. Per dare maggior senso al 2 giugno, questa dovrebbe diventare la data in cui ogni anno il presidente della Repubblica nomina due senatori a vita: due personalità, una donna e un uomo, simboli dell’eccellenza italiana nel campo sociale, culturale e imprenditoriale. Spesso sono eccellenze che il mondo ci invidia: per questo diventano il più bel regalo di compleanno che l’Italia fa a se stessa. E per sottrarli alla berlina del becero populismo, venga tolta l’indennità, sicuramente non ne hanno bisogno.
Il secondo avvenimento importante del 2 giugno è un significativo passo in avanti per l’uguaglianza tra donne e uomini, quando per la prima volta tutti i cittadini maggiorenni hanno avuto diritto di voto. Non è stato un traguardo, ma un punto di partenza. Tanta strada c’è ancora da percorrere, ma il percorso è irreversibile. Un altro passo importante sarà la parità di presenze femminili e maschili nelle assemblee istituzionali: dal consiglio comunale al Parlamento. Questo significa superare la logica delle quote rosa e riconoscere piena parità di diritti, opportunità e condizioni per donne e uomini. L’uguaglianza avviata tra donne e uomini si fonda sul presupposto culturale che la democrazia non tollera alcun tipo di discriminazione: da questo punto di vista la strada da percorrere è ancora lunga e alquanto tortuosa. Basti pensare alle difficoltà di saper accogliere con umana dignità gli extracomunitari. Ma la Costituzione è un faro che illumina questo cammino.
Quella Costituzione la cui fecondazione è avvenuta quel 2 giugno, terzo evento significativo di quella storica giornata: infatti è stata eletta l’assemblea costituente che in un anno e mezzo ha forgiato la Costituzione. E’ stato un evento eccezionale che oggi si tende a sottovalutare: forze politiche con storie, culture, ideologie e valori molto diversi, a tratti contrapposti, hanno saputo infondere ogni sforzo per dare agli italiani la propria carta d’identità. Una Costituzione che oggi può andare a testa alta in ogni parte del mondo.
Quella è stata una classe politica straordinaria, di autentici fenomeni di fronte ai nani attuali che neppure nella drammatica emergenza sanitaria provocata dal Coronavirus hanno saputo trovare un denominatore comune per andare oltre gli steccati egoistici di partito. E’ difficile immaginare che questa classe politica sappia gettare le basi e guidare la rinascita del Paese dopo lo tsunami del Covid-19.
Il Paese ha bisogno di una nuova classe politica, per questo è necessario avviare un processo riformatore, partendo da una nuova legge elettorale che ristabilisca il legame tra elettori ed eletti e ridia dignità alla figura del parlamentare, mai così tanto screditata, purtroppo meritatamente. Questo discredito sta infangando giorno dopo giorno la stessa democrazia così faticosamente conquistata il 2 giugno. Allora per avviare cambiamenti reali e radicali è necessario un processo riformatore che nasca, si formi e si sviluppi nella società civile. Alle Politiche 2018 un cittadino su quattro non ha votato; tanti altri sono andati alle urne per un dovere civico anche per rispetto di quanti sono morti e hanno sofferto per regalarci la democrazia; altri hanno votato il meno peggio. Questo è l’esercito silenzioso che può riprendere in mano la fiaccola della repubblica accesa 74 anni fa.
Luigi Ingegneri