Sono molte le scadenze che affollano l’anno che si apre. Tra queste è certamente di rilievo il ripristino del “Patto di stabilità e crescita”, l’accordo tra i paesi membri dell’Unione europea che riguarda le rispettive politiche di bilancio e dirette ad assicurare stabilità economica.
Gli elementi fondamentali di questo accordo sono due e riguardano ciascun paese: il primo per quanto concerne il deficit di bilancio che non deve superare il tre per cento del PIL; il secondo è relativo al debito pubblico che non deve superare il sessanta per cento sempre del PIL.
La ragione di questo accordo internazionale, sottoscritto da tutti, è facile da comprendere: si vogliono evitare forti divergenze di spesa corrente e di debito pubblico in ciascun Paese membro dell’unione per mantenere un equilibrio complessivo della Comunità.
Sulla spesa pubblica l’accordo è stato sostanzialmente rispettato, a parte le solite polemiche sovraniste sui poteri di ciascuno Stato. Sull’ammontare del debito solo metà dei paesi membri, precisamente 14, rispettavano il limite mentre gli altri 13, tra i quali l’Italia, erano ben oltre. Sempre in sede europea, si era convenuto per questi ultimi di programmare gradualmente il rientro almeno nel lungo termine.
A far saltare tutto è intervenuta lo scorso anno la crisi pandemica da Covid-19. Sia la spesa corrente, sia il debito pubblico hanno travolto ogni ragionevole possibilità di rispetto, anche in prospettiva, dei limiti previsti e ciò ha riguardato tutti i paesi membri. Si pensi solo che noi italiani siamo al 160 per cento, Spagna e Francia oltre il cento e la stessa Germania, precedentemente al 60 per cento, oggi è all’80 per cento. La Commissione Europea si è così trovata nella condizione di sospendere il Patto di stabilità, almeno sino al 2022, pur mantenendo il principio di riassumerlo allo scopo sempre di garantire stabilità economica e finanziaria dell’unione.
Naturalmente le discussioni più serie sulla ripresa dell’accordo si orientano già sull’esigenza di determinare nuove regole di bilancio in quanto, nel contempo, se da un lato è in atto una ripresa economica per ora convincente, per altri versi, la crisi pandemica è lungi dal poter essere ritenuta superata. Non solo: all’orizzonte si sono imposte nuove esigenze per affrontare il cambiamento climatico ed è esplosa la crisi delle fonti energetiche.
In occasione della conferenza stampa di fine anno, e prima ancora nel corso della visita a Roma nel nuovo cancelliere tedesco Olaf Scholz, il Presidente Draghi è intervenuto anche sul problema del ripristino delle nuove regole di bilancio, anticipando alcune premesse che difficilmente potranno essere ignorate, anche dai “falchi” del rigore, alla luce dei grandi cambiamenti in atto in Europa.
La realtà infatti, secondo Draghi, è profondamente diversa da quella che nel 2005 portò i paesi membri a ridefinire il Patto di stabilità. Ci sono i grandi progetti del Recovery fund di dimensioni senza precedenti da realizzare concretamente; c’è il problema della transizione ambientale; ci sono i progetti per la digitalizzazione e, più recentemente, quelli posti dalle esigenze di difesa militare comune europea. Ne consegue, quanto meno, che la ripresa del Patto di stabilità non potrà che essere coerente con questi nuovi obiettivi.
Nella discussione è intervenuto anche il nostro Commissario europeo, Paolo Gentiloni, che, in una intervista alla Frankfurter Allgemeine Zeitung, ha sostenuto che se si vogliono applicare più rigorosamente le norme nell’Unione sarà opportuno “prevedere regole di bilancio differenziate tra gli Stati membri”.
E così, un’altra volta, bisogna riconoscere che sia Draghi, sia Gentiloni hanno già tracciato con realismo le coordinate per un confronto che sarà certamente aspro, ma che alla fine non potrà certo ignorare il primo requisito della buona politica: il dato di realtà.
Guido Puccio