Papa Francesco ci ha invitato a riflettere sul fatto che il tempo è divenuto più ampio dello spazio e ha precisato: “ Dare priorità al tempo significa occuparsi di iniziare processi più che di possedere spazi”.
Cosa significa questo per chi è interessato alla cosa pubblica e alla politica? Scegliere per un coinvolgimento non effimero, non utilitaristico, non strumentale, non di parte. Dilatare l’orizzonte e superare gli spazi delimitati dello status quo, dei vecchi gruppi consolidati, spesso espressione e coltivazione di interessi parziali, allargare la partecipazione, impegnarsi per assicurare la giustizia sociale.
Un messaggio universale che, quindi, non riguarda solamente i cattolici appassionati di politica. Essi, però, sono chiamati ad una riflessione e ad una coerenza ancora più particolari. Hanno la responsabilità di definire proposte spendibili, soluzioni realistiche e condivise da sottoporre all’attenzione di tutti.
Inevitabile è il partire dalla comprensione delle dinamiche sottostanti all’accavallarsi e al complicarsi dei nostri problemi attuali, da cui sembrano restare indenni pochissime realtà politiche nell’intero mondo. Le vicende vissute recentemente in successione da Francia, Italia, Regno Unito e Spagna ne sono le conferme europee più evidenti, cui si aggiungono il ” trumpismo” e le sue guerre commerciali, l’emergere di scomposte pulsioni nazionalistiche, i conflitti interni al mondo islamico, che ci tengono sempre prossimi ad una nuova guerra sanguinosa.
Una continua crisi economica e sociale ha mutato equilibri consolidati e gli scenari parlamentari un po’ dappertutto, cambiato sostanza e nomenclatura di forze politiche storicamente presenti in nazioni con alle spalle molta più continuità di democrazia e di dialettica pubblica della nostra. Ovunque sembrano in rotta i partiti della destra tradizionale, come quelli della sinistra. Si definiscono nuovi soggetti. Più o meno credibili, più o meno genuini e duraturi a causa delle loro carenze strutturali.
L’uso massiccio del digitale e della propaganda, non risolve la questione dell’assenza di una proposta organica, realmente alternativa agli assetti del passato. In Italia, una tale carenza è dimostrata dal fenomeno dell’astensionismo elettorale, che continua.
Eppure, si liberano nuove energie che dovrebbero essere organizzate, perché la dinamica politica richiede anche questo.
La riflessione di Papa Francesco, invece, trova impreparato il mondo cattolico italiano di fronte alla cosa pubblica. Esso, già prossimo alla scomparsa dopo cinque lustri di una mediocre diaspora, non riesce a misurarsi con l’evoluzione della società, con i mutati equilibri decisionali, i nuovi punti di riferimento parlamentari e governativi e le conseguenti criticità emergenti tra le realtà istituzionali.
Dopo la terribile batosta del 4 marzo 2018, siamo un po’ come il pugile suonato incapace a distinguere avversario, arbitro e bordi del ring. Niente è più come prima, ma è evidente la difficoltà nel capirlo.
Dopo un secolo infarcito di scontri ideologici, l’Italia è giunta alla ” democrazia compiuta”, ma siamo ancora ai primi vagiti.
Emerge una carenza oggettiva nel confrontarsi con ciò che è ” il nuovo”. Restano tenaci riferimenti al passato cui, nonostante tutto, in molti continuano a guardare, compresi taluni uomini di Chiesa e una parte dell’intellighenzia cattolica.
E’ richiesta invece la necessità di sporgersi su quelli che Francesco definisce i “ nuovi dinamismi nella società” e comprendere che una originale visione pubblica, cui può essere portato un significativo contributo sulla base di una ispirazione cristiana, assume dignità e si caratterizza se capace di puntare a quella “ pienezza umana” di cui parla il Pontefice nella Evangelii Gaudium ( CLICCA QUI ).
Il riferimento alla ” pienezza umana” supera anche la divisione tra i cittadini con una visione laica e quanti tra di loro trovano la ragione di un impegno ulteriore nel riferimento al Vangelo. Esso va oltre il concetto di potere vissuto come fine a se stesso o l’appagamento di quanto è circoscritto all’ambito degli interessi del proprio gruppo e della propria aggregazione di appartenenza: che sia di partito o di movimento, di corporazione, di cordata professione, oppure relativa ad ogni altra cosa che assicuri una rendita possibilmente sicura, ma da cui è esclusa ogni assunzione di responsabilità sociale.
La scelta compiuta all’insegna della consapevolezza, generosità, conoscenza e impegno può servire a contrastare l’incontrollabile andamento di cicli e fenomeni, altrimenti destinati a restringere lo spazio temporale disponibile entro cui collocare strategie di più ampia portata.
Troppo, anche da quanti sono ispirati cristianamente, rischia di essere giocato sull’oggi e sul risultato da riuscire a spendere in maniera più immediata.
Cattolici e non possono ritrovare una intelligenza politica e quelle risorse spirituali, culturali ed esistenziali capaci di aiutare a declinare nel concreto il tanto citato ” bene comune”, nonostante nessuna di tali risorse sia sempre a facile portata di mano?
Non è che nel passato non si siano presentati analoghi snodi cruciali quando preoccupazione, incertezza, l’abbandono del campo hanno interessato i cattolici, come gli altri.
Le due successive guerre mondiali, cui è attribuita anche una logica continuità, la contestazione giovanile e la rivoluzione sessuale degli anni ’60 furono solo alcuni dei passaggi di trasferimento tra epoche, con conseguenti ed accidentati periodi di indecisione.
Più indietro nel tempo, le cosiddette prima e seconda Rivoluzione industriale, la Rivoluzione francese e quella americana, la Riforma e la Controriforma, potrebbero richiamare ulteriori imponenti carichi di simmetrie e paragoni.
Persino la fine del comunismo, quello applicato e quello ideologico, che pure tanto aveva condizionato modelli validi per un intero secolo e mezzo, sembrò collocarsi in un contesto meno carico di problematicità, almeno se posto a confronto con le complessità dell’oggi.
In effetti, la fine di quella ideologia, e per traslazione di tutte le ideologie, venne salutata come l’avvio di un processo finale di liberazione dell’essere umano, tanto che qualcuno si spinse a parlare di “ fine della Storia”. La conferma dell’errore in cui ci fa incorrere il prendere una parte per il tutto.
Purtroppo, il lungo secolo dell’ideologia, quello appena superato, si è portato via anche gran parte di quei filoni di pensiero, riferimenti morali e culturali che hanno tanto inciso sulla nostra società e sulla formazione e la partecipazione civile di intere generazioni.
L’attuale situazione italiana è particolarmente emblematica al riguardo, con la sua alea di irresolutezza che avvolge il futuro delle persone, delle famiglie, delle organizzazioni sociali, delle istituzioni, persino dello Stato nazionale, così come lo abbiamo conosciuto finora.
Il sistema pubblico, tanto caricato di attese e di responsabilità, ha le sue inadeguatezze e i suoi irragionevoli ritardi perché distonico e disarmonico rispetto alle trasformazioni in atto nel nuovo relazionarsi di singoli e gruppi all’interno della società e per quei soverchianti meccanismi economici, digitali, scientifici e culturali che quel sistema condizionano, ridimensionandone l’effettivo ruolo e le funzioni. Così, dello Stato pare presentarsi solo il suo carico fiscale, la cattiva spesa e la latitanza nell’assicurare la giustizia sociale, oltre che lasciare irrisolti altri gravi, sentiti problemi, a partire da quelli delle immigrazioni e della sicurezza.
All’interno di questa inedita complessità si muove pure il popolo dei cristiani immerso in quel che resta del mondo che potemmo definire “ occidentale”. Di fronte sembra ritrovarsi solo gente avvertita come non più interessata a Dio e alle pratiche religiose: lontana e persino sconosciuta. Da questo, taluni tra di noi fanno discendere la giustificazione per un chiamarsi fuori da una partecipazione alla dialettica politica.
Con questo mondo, però, è inevitabile il misurarsi e in esso trovare nuove forme di presenza e di declinazione della fede, dell’annuncio evangelico e di una partecipazione alle vicende umane lungo sentieri ancora tutti da esplorare.
Quando in Italia si parla della “ partecipazione” del cristiano si finisce per dare molta importanza a quanto è esteriore e formale, alle statistiche, a ciò che riconduce al numero dei fedeli presenti alle cerimonie in chiesa o alla crisi delle vocazioni. Non rischiamo così di perdere di vista il fatto che la oggettiva difficoltà nel correlare la scelta di fede con la vita concreta quotidiana non esclude, anzi, richiama la necessità di porre attenzione alle forme nuove di spiritualità e a più controverse e contorte ricerche di una risposta al senso della nostra esistenza?
Con il livello di spiritualità, si deve misurare la ” presenza” anche in termini di coinvolgimento in quella che un tempo si definiva dimensione “ orizzontale”. Cioé il correlarsi con il prossimo incontrato all’interno della res pubblica, nelle più generali dinamiche sociali, impigliato nella carenza dei meccanismi della rappresentanza e delle istituzioni, in una parola in ciò che si collega alle responsabilità della Politica.
Alla necessità di rendersi disponibili alla comprensione del “ nuovo” che investe le loro comunità i cristiani sono, dunque, chiamati per quanto riguarda un impegno non confinabile solo nell’ambito della solidarietà individuale.
In questo senso è necessario cogliere appieno la considerazione di san Paolo VI sulla Politica quale espressione più alta della carità.
Vissuto e coerentemente sviluppato in questo modo, l’impegno pubblico, anche in relazione alla nuova figura del laico delineata dal Concilio Vaticano II, non vive un qualcosa di meramente aggiuntivo o alternativo, o in contrasto con una esperienza di fede, bensì partecipa a dispiegare compiutamente quella che Maritain definiva la forza vivificatrice dell’annuncio evangelico.
E’ più facile, così, precisare cosa significhi un impegno sulla base dell’ispirazione cristiana. Non qualcosa racchiuso nell’ ambito relativo alle sole dinamiche del mondo cattolico, perché sarebbe insufficiente ed autoreferenziale; non caratterizzato solamente dalle prospettive proprie dei cristiani, perché potrebbe sfociare nell’integralismo.
La politica, così come l’operosità attorno a leggi e provvedimenti, richiede la ricerca del consenso. Un consenso da organizzare affinché la Solidarietà, la Sussidiarietà, il rispetto della dignità umana e la Giustizia sociale tornino al centro della vita delle istituzioni. In che modo i cattolici possono operare per rispondere ad una tale richiesta proveniente da parti sempre più large di un intero Paese? Un tentativo di risposta sarà l’oggetto del terzo e finale intervento in materia ( segue ).
Giancarlo Infante