«Abbiamo due spine: l’unità della Chiesa e l’irrilevanza dei cattolici in politica. Non c’è più un partito di riferimento, e mi pare difficile che possa rinascere. E nel deserto avanza il sovranismo religioso della Lega…». Il cardinale italiano «legge» questa vigilia elettorale con lucidità amara. E non si limita a puntare il dito contro le strumentalizzazioni del Vangelo e del rosario fatte dal leader del Carroccio, Matteo Salvini, nella manifestazione di sabato in piazza del Duomo, a Milano; contro i fischi estremisti quasi «chiamati» nei confronti di papa Francesco. Cerca di spiegare perché, in questa fase, l’unico cattolicesimo visibile in politica sia quello xenofobo, anti islamico, aggressivo perché impaurito, offerto dalla Lega e dai suoi epigoni europei. Da mesi, le gerarchie ecclesiastiche cercano di capire come riemergere da una deriva che rende le posizioni cattoliche ininfluenti. E si stanno rendendo conto sempre di più che non esiste una soluzione. Finita da oltre un quarto di secolo la Dc, sepolto il collateralismo asimmetrico con Forza Italia e con Silvio Berlusconi, non solo non ci sono sponde ma si profila una realtà politica estranea, prima che ostile. Si staglia il paradosso di un Papa popolare, inclusivo, e, secondo gli avversari, perfino «populista» nella sua vicinanza ostentata ai poveri, costretto a fare i conti con forze politiche populiste ma con un’agenda agli antipodi rispetto alla sua.
Si tratta di formazioni portatrici di un cristianesimo impastato di un’identità declinata in chiave nazionalistica. E pronte perfino a contestare platealmente il pontefice, quando si parla di immigrazione. I fischi di piazza Duomo hanno esaltato un filone culturale ultraconservatore, che si dichiara cattolico ma ha come faro gli avversari interni di Francesco; che brandisce il Vangelo ma ne trae una lezione opposta a quella papale. Soprattutto, quel mondo certifica una frattura che dalla politica si trasferisce nelle parrocchie e negli episcopati, e viceversa. E rende impossibile qualunque mediazione di tipo unitario. Per questo in Vaticano e nella Conferenza episcopale italiana sono preoccupati. Sanno che il sovranismo religioso oggi è più presente, se non più potente, della cultura dell’inclusione. Sa intercettare e incanalare le paure. E pone una sfida diretta alla cultura della Chiesa cattolica. D’altronde, l’esigenza, quasi l’urgenza di riscoprire una politica in grado di dare voce a un modo cattolico sommerso è affiorata e morta all’inizio dell’anno. Il 18 gennaio si è tenuta la celebrazione del centenario della fondazione del Partito Popolare di Luigi Sturzo. Alcuni vescovi e reduci democristiani hanno cercato di sfruttare l’anniversario per riproporre, aggiornata, quell’esperienza. Ma la suggestione è durata poco. Alla fine il tentativo si è rivelato velleitario e passatista: un’operazione novecentesca, non da terzo millennio. L’unica certezza emersa dalla fiammata sturziana è stata la consapevolezza di divisioni profonde e irrisolvibili: se non altro perché non esistono più le premesse per far rinascere un partito di cattolici. Non è pensabile connotare una forza in termini religiosi. Come è solito dire il professor Lorenzo Ornaghi, ex rettore dell’Università del Sacro Cuore di Milano, l’unico modo per contare, per i cattolici, è non contarsi. Non a caso, a reagire a Salvini sono stati soprattutto esponenti del mondo religioso, non politico. Né un modello alternativo può essere quello, a dir poco controverso, dell’elemosiniere del Papa, il cardinale polacco Konrad Krajewski, che viola la legge togliendo i sigilli messi dalla magistratura italiana a un palazzo occupato a Roma, e riattiva la luce non pagata: un gesto «politico» nel senso più discutibile del termine.
Massimo Franco – da Il Corriere della Sera 20 maggio 2019