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A chi (non) giova

Negli anni del terrorismo, in casa nostra ricorreva una domanda – per la verità, impropria – che nell’interpretazione di molti avrebbe dovuto dar conto degli eventi criminali e luttuosi che ferivano l’Italia.

“A chi giova ?”: questa la domanda cui ci si rivolgeva come ad una sorta di oracolo capace di svelare l’arcano.
In effetti, la domanda era manipolabile e, all’occorrenza, manipolata per offrire un presunto supporto di attendibilità a convincimenti dissonanti che gli uni o gli altri intendevano accreditare, circa la lettura di quel drammatico momento della vita del Paese, le cause e le con-cause prossime e remote del fenomeno terroristico.

In realtà, la domanda, comunque e chiunque la ponesse, era retorica, a sostegno di una tesi precostituita e, per lo più, fondata su un presupposto ideologico. Del resto, chiedersi “a chi giova?” significava riconoscere alle gesta dei terroristi una patente di razionalità che mancava del tutto, per quanto le loro azioni non fossero casuali e rispondessero ad un disegno perverso.

Ora siamo investiti dal terrorismo internazionale e, si può dire, di Stato. Di fronte ai lutti dell’Ucraina o del conflitto israelo-palestinese – dall’una e dall’altra parte – porre una simile domanda non è possibile. Sarebbe offensivo per una sofferenza senza ragione e senza limiti.

La violenza non conviene a nessuno e ferisce tutti, anche coloro che la promuovono, i popoli di cui costoro si fanno scudo, pretendendo di difenderne le ragioni; in effetti, tradendone l’anima. Come non si può confondere il popolo russo con Putin, non si può confondere il popolo palestinese con Hamas. E speriamo di non dover dire che si possa confondere il popolo israeliano, il popolo ebreo, con Netanyahu.

La violenza giova solo a chi coltiva un disegno distruttivo, un sovvertimento degli equilibri e delle regole più elementari della convivenza civile. Per dominare o per nascondere la propria debolezza nelle pieghe di un tormento.

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