Il Cardinal Martini, in una delle sue prime “lettere pastorali” da Arcivescovo di Milano – si risale ai primi anni ‘80, invitava a creare “scuole dei genitori”. Aveva, evidentemente, colto nel segno i sintomi, fin da allora evidenti, di una caduta di capacità educativa che si manifestava nelle famiglie. Ed altrettanto in una scuola, orientata alla “formazione” di figure professionali utili alla produttività del sistema economico, piuttosto che all’educazione, cioè alla maturazione critica della coscienza dei giovani.
Oggi ci si chiede chi debba educare. Se il primato dell’ educazione spetti alla famiglia o piuttosto alla scuola.
Quasi se ne possa ricavare – tanto per non deragliare dalla “polarizzazione “ degli schieramenti – una diatriba politica tra chi sostiene il ruolo dei genitori, in particolare nella classica famiglia tradizionale, e chi intende, invece, rivendicare il primato del momento sociale incarnato dai docenti della scuola pubblica.
In questo modo, si pone la questione in termini errati, come se l’ “educare” fosse, nelle famiglie, qualcosa che si aggiunge, a latere, ai tanti versanti del vivere di tutti i giorni e, nella scuola, una sorta di materia di insegnamento, più o meno curricolare come le altre e che alle altre si aggiunge, anche qui, a latere. In effetti, non è così. L‘educare ha a che vedere con la libertà – di chi viene educato e, nel contempo, di chi educa – e con la tolleranza. Dunque, ha bisogno di testimoni più che di maestri, esige esempi piuttosto che sermoni. Per questo compete a chiunque sia in grado di offrirla, in ogni ambiente, in qualunque ambiente – senza bisogno di stilare inutili graduatorie – in cui i giovani vivono e socializzano.
“Educare” è altro rispetto a “formare”, nulla ha a che vedere con l’ “addestramento”. E’ più dell’ “istruire”, deve accompagnare ogni percorso di “professionalizzazione”. E’ antitetica all’ “inculcare” un indirizzo, una qualunque interpretazione della vita nell’animo e nel pensiero dei giovani. Rappresenta l’ approdo di un percorso ininterrotto che attraversa la loro vita e li accompagna alla conquista di quell’ autonomia di giudizio e quella capacità critica che rappresentano il fondamento inderogabile della loro attitudine ad assumere piena e consapevole responsabilità personale. Matura, via via, soprattutto per quella forma di osmosi con la qualità della stoffa umana che i giovani hanno o meno la fortuna di incrociare nella famiglia anzitutto, ma, altrettanto, nella scuola, nello sport, negli oratori e nelle più svariate forme associative in cui si sviluppa il loro percorso esistenziale.
Domenico Galbiati