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A Trieste la Chiesa ha parlato d’impegno politico non di “partito cattolico” – di Nino Labate

Ha creato molta sorpresa  che un argomento  di tale portata e d’incredibile attualità, sia stato individuato e promosso dalla Chiesa italiana. Non è il presente della democrazia che ha interessato di più la Chiesa, ma il suo ormai prossimo futuro, già iniziato. E meno male che non c’è stato nessuno che ha rampognato Zuppi e la Cei invitandoli a non immischiarsi della politica e della democrazia, cioè a farsi…i fatti propri! Ma andiamo avanti.

C’è da supporre che il tema sia stato forse suggerito dalla buona partecipazione e dall’interesse che la Chiesa ha suscitato con il suo Sinodo ancora in corso. Ma da come stanno andando le cose della politica, e non solo in Italia, mi sono invece molto stupito che la palese crisi della nostra democrazia, assieme al suo atavico vizio di  guardare solo al presente e alle elezioni più vicine, li abbia dovuto affrontare e discutere la Chiesa. E non sia stata invece  proposta e dibattuta  dall’insieme di tutti i partiti politici italiani, con lo stesso spirito unitario, per esempio,  profuso nel corso dell’Assemblea Costituente.

Una pia illusione, la mia? Certo! Perché mi riferisco a tutti i partiti: quelli che ancora oggi si definiscono di sinistra, quelli di destra e quelli di centro. Distinzioni, queste ultime, che appartengono alla storia e a quel “Passato che non passa”; distinzioni ancora vive e vegete nel dibattito pubblico e  politico quotidiano, che con i tempi che corrono servono solo a semplificare i confronti e le posizioni. Utilizzate solo nel clima di odio sotteso nelle parole offensive che ormai si usano ogni santo giorno nei confronti del…”nemico” politico. E  lontanissime da una auspicabile e sana dialettica democratica, da un dialogare e un confrontarsi tra “diversi”, come pensava Aldo Moro rimettendoci la vita. Ma che – senza  dimenticare le minoranze estremiste e aggressive, che pur esistono –  sono distinzioni da ridefinire completamente. Tenendo possibilmente sempre  la barra dritta verso l’uguaglianza e la libertà: non lo dico io, ma lo ha detto molti anni fa, uno studioso di prim’ordine come Norberto Bobbio.

Il disinteresse che l’intera società politica dimostra nei confronti della crisi in atto della democrazia, e di quella più seria che l’attende, fa allora verificare solo un fatto: quello che non si vola più in alto e che ormai lo sguardo è rivolto  sempre verso il  basso. Verso il proprio orticello. Senza mai pensare di unire due orticelli vicini per avere più terra, per esempio. Senza mai alzare lo sguardo verso il cielo per osservare se piova o non piova: dal momento che la mancanza di pioggia è indice di crisi generale, e riguarderebbe tutti i piccoli (o piccolissimi) orticelli piantati ed esistenti, vicini e lontani. Non solo quello di proprietà tenuto sotto chiave. Oggi, orticelli recintati rigidamente, e quasi sempre nelle mani di un singolo ortolano geloso. Con  una gestione personalizzata, anche con la poca terra a disposizione e con i pochissimi frutti prodotti, senza essere arata, seminata, e allargata.

Una metafora bucolica, questa, che mi ha sempre aiutato  a leggere la tenacia da una parte, e le decine di tentativi falliti  dall’altra, fra diverse associazioni, gruppi cattolici, partiti e partitini italiani, per far rinascere un Partito popolare cattolico-democratico, che qualcuno ha voluto posizionare  nel vecchio centro Dc (quando non definendolo moderato, che io ho sempre tradotto con comportamenti moderati, e mai con politiche moderate).

Devo dire che ho sempre seguito con interesse questi tentativi, sperando che il mio auspicato bipolarismo fosse sbagliato. Mi ha convinto invece la metafora di Bergoglio  sull’unica e sola barca dove siamo ormai tutti indistintamente imbarcati. Il nostro è il tempo in cui si sta irragionevolmente scegliendo di scendere sul mare in tempesta della storia, con tante piccole e fragili barchette. Ognuna “…autonoma e differenziata” dall’altra. E oggi diversa solo perché sono diversi il viso, il nome, la maglietta e le braccia del rematore. Un pluralismo solo di facce e solo virtuale, quello dei tanti partiti di oggi, e dei tanti leader insomma. Vera parodia e totale offesa di un autentico pluralismo di valori, che ci evita di prendere coscienza sulle sfide che la storia ci sta porgendo. Ci nega la possibilità di remare il più possibile tutti insieme, per uscire fuori in qualche modo dai  “cambiamenti epocali”, dalle rivoluzioni tecnologiche, antropologiche e culturali in corso che interessano tutti e non una sola parte. Quelle già iniziate, ma soprattutto quelle, chiamate “metamorfosi” da Bergoglio – che ci aspettano. Ebbene, nei confronti di questi profondi cambiamenti, un minimo di buon senso dovrebbe far pensare che sia difficile avere  soluzioni molto divaricate e profondamente distanti: quelle di Sinistra, quelle di Centro, e quelle di Destra.

L’Europa politica e federata è ancora lontana. Mentre la crisi globale e generale della democrazia politica è sotto i nostri occhi. Ad iniziare dalla partecipazione al voto. Non trascurando la variabilità liquida dello stesso voto da una elezione all’altra, una volta messo in cantina il partito solido di massa, e una volta accantonata la vecchia classe operaia e i vecchi ceti medi, da ridefinire sociologicamente assieme al protocapitalismo industriale.

E una volta in mano ai robot, e all’IA, alle inarrestabili migrazioni; coscienti del capitalismo finanziario globale ingovernabile; pieni sino al collo di Co2 con i suoi 49 gradi registrati in Sicilia un paio di anni fa. E, non per ultimo, una volta consapevoli dei forti venti di guerra che spirano dal Medio oriente, dei tragici conflitti religiosi montanti con sullo sfondo un razzismo postmoderno e postdemocratico e un terrorismo vagante.

Ecco, di fronte a queste gigantesche e inattese questioni, cosa succede alla democrazia? Succede che i suoi caposaldi irrinunciabili – il partito politico e la partecipazione democratica – sono entrati in una totale crisi che ha spinto  qualche studioso a definire i nostri tempi come tempi  post-democratici. E con qualche altro che sta pensando di risolvere la crisi con un nuovo partito digitale a distanza. Mancano al partito infatti  le sezioni territoriali. E mancano gli iscritti. Non parliamo delle scuole di formazione aperte ai giovani, perchè il prepolitico è roba superata. Ci pensano i social. Un partito ormai tutto nelle mani di un personale politico occasionale, col cellulare in mano. E un partito gestito da casa, attraverso interazioni digitali, attraverso interviste dei segretari messe sul proprio sito. Spesso con notizie false e attacchi scurrili al supposto avversario.

Insomma un partito senza più comunità locali e civiche, scomparse dall’orizzonte della democrazia, tutto raccolto nelle mani del segretario-leader di turno. Auspicabile uomo forte. Una democrazia politica in discesa libera, insomma. Mentre salgono a passi da giganti le “democrature” politiche. Quel mix cioè, fra democrazia e dittatura, che consacrano  la crescita di personalità autoritarie e maniacali che a partire dagli Usa, transitando per la Russia e la Cina, fanno temere il peggio. Una “democratura”, per intenderci, venduta come democrazia apparente e formale, ma tutta nelle mani di un leader, finanche prepotente. O di qualche premier in attesa del premierato e del presidenzialismo. Depositata, infine, nel contatto del leader – lui e solo lui – con i suoi potenziali elettori e con il mondo attraverso i media vecchi e nuovi. E attraverso un sofisticato marketing politico.

Era stato solennemente annunciato che l’incontro di Trieste doveva assolutamente evitare di soffermarsi su un nuovo partito cattolico italiano. E che doveva battersi per incentivare ed aiutare la partecipazione alla democrazia  politica dei “diversi” cattolici. A prescindere dalla loro appartenenza. Quei cattolici che sin dal 1905, con il discorso di Caltagirone, Luigi Sturzo spaccò in due sin da quei tempi, chiarendo senza troppi giri di parole che avremmo avuto sempre a che fare con “…cattolici sinceramente democratici” e “…cattolici sinceramente conservatori” (cosi Giorgio Campanini riportava nel suo bel libro su Sturzo). E questo anche e non solo in virtù di una secolarizzazione crescente, sottovalutata da quelle anime pie che osservano, con un approccio luterano e calvinista, solo l’individuo chiuso su se stesso, nella sua intimità spirituale, e con la grazia avuta in dono. Anime pie che si  dimenticano del noi, ovvero della persona posta in relazione con l’altro e con gli altri, di quella fraternità ed uguaglianza usurpate alla filosofia cristiana dalla Rivoluzione francese. Di quella amicizia sociale chiesta invece ad alta voce da Bergoglio nella sua enciclica “Fratelli Tutti”. Quel noi sempre comunità e mai un io sempre singolarità. D’altronde, definire nell’anno del Signore 2024 chi è il cattolico italiano, e cosa è oggi il voto cattolico, anche facendo leva su quanti dichiarano di frequentare la messa domenicale – quasi tutti ultra sessantenni – è una impresa ardua e difficilissima.

I cattolici, insomma, devono essenzialmente impegnarsi perché, “(…) la partecipazione alla vita politica è ai minimi storici, (e) rischiamo una deriva in cui il potere viene esercitato da élite ristrette. I cattolici devono battersi con intelligenza e coraggio e senza inseguire il mito del partito unico». Questo è quanto ha detto monsignor Luigi Renna, presidente del Comitato organizzatore della 50 ° Settimana sociale, nel presentare gli incontri di Trieste. Una raccomandazione che spero ci accompagni per molto tempo.

Nino Labate

Pubblicato su www.ildomaniditalia.eu

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