L’ introduzione, voluta da Macron, del “diritto all’ aborto” nella Costituzione francese non è cosa di poco conto ed è, purtroppo, cifra e paradigma del nostro tempo. Macron, peraltro, propose la “costituzionalizzazione” dell’ aborto addirittura a livello europeo.
Non è cosa di poco conto nella misura in cui, in ultima istanza, segna uno spartiacque tra due concezioni della vita. Porta ed, in un certo senso ufficializza, non semplicemente a livello della legislazione ordinaria, ma, addirittura, nel cuore delle stesse leggi fondamentali degli stati – laddove necessariamente non si può prescindere da una visione di cosa siano l’uomo, la sua vita, la stessa vicenda del divenire umano – una questione che, interpretata in modo radicale, rischia di produrre lacerazioni difficilmente componibili. Apre le porte ad una disfida culturale, antropologica ed, infine, politica, dirimente per gli sviluppi di una stagione storica straordinariamente carica di tematiche e di trasformazioni che rinviano ad una nuova immagine di sé che l’umanità è chiamata ad elaborare, sottoposta alla pressione di eventi ed innovazioni incontenibili.
Due concezioni della vita, dunque, quelle da cui prendono le mosse, come dallo loro radice più profonda, le differenti posture culturali e politiche inerenti l’ intero ventaglio delle questioni cosiddette “eticamente sensibili”. Il “diritto all’ aborto”, infatti, evoca un modo di intendere la vita dell’ uomo non come dono, bensì “proprietà” individuale, possesso rigorosamente autoreferenziale ed esclusivo.
Una linea di demarcazione che non passa tra credenti e non credenti – il tema dell’ aborto come attesta la posizione di Norberto Bobbio su cui torneremo, non è questione “cattolica”, ma eminentemente attiene il “valore umano” in gioco – ma tra coloro, sia pure laici, che l’accolgono con la meraviglia e lo stupore, la gratitudine e l’apertura con cui si riceve un dono e coloro che la racchiudono gelosamente nel bozzolo di una rivendicazione solipsistica.
A chi sostiene, a spada tratta, senza alcuna concessione “laica” al dubbio e ad un pensiero critico, secondo la spavalda ed ebbra certezza di un “clericalismo” ideologico a rovescio, l’ aborto come insindacabile “diritto” della donna, conviene ricordare quanto ebbe a sostenere, nel maggio 1981, nei giorni immediatamente precedenti il referendum relativo alla legge 194, Norberto Bobbio, laicissimo maestro del diritto.
“Innanzi tutto – sostiene Bobbio – il diritto fondamentale del concepito, quel diritto alla nascita, sul quale non si puo’ transigere…..”. Ci sono poi, continua Bobbio, altri due diritti: quelli della donna e quello della società, cosicche’ si crea, come ogni qual volta più diritti inconciliabili confliggono, un nodo inestricabile. Senonche’, argomento ancora Norberto Bobbio: “Ho parlato di tre diritti: il primo, quello del concepito è fondamentale, gli altri, quello della donna e della società, sono derivati….”. Ne consegue che, “una volta avvenuto il concepimento, il diritto del concepito puo’ essere soddisfatto soltanto lasciandolo nascere”. Aggiunge – ad ulteriore chiarimento della sua presa di posizione da pensatore “laico” e non credente – come l’ aborto non possa essere contemplato, come taluni a suo giudizio erroneamente sostengono, nel quadro dell’ affermazione di Stuart Mill, secondo cui: “Su sé stesso, sulla sua mente, sul suo corpo, l’individuo è sovrano”. Infatti, puntualizza Bobbio: “L’ individuo è uno, singolo. Nel caso dell’ aborto c’è un “altro” nel corpo della donna….Con l’ aborto si dispone di una vita altrui”. Conclude Bobbio: “Vorrei chiedere quale sorpresa ci può essere nel fatto che un laico consideri come valido in senso assoluto, come un imperativo categorico, il “non uccidere”. E mi stupisco a mia volta che i laici lascino ai credenti il privilegio e l’onore di affermare che non si deve uccidere”.
Peraltro, ogni qual volta si invoca un diritto, è necessario contemplare il dovere che gli corrisponde. Il dovere degli altri di ammettere e riconoscere tale diritto, anzitutto. Ma anche il dovere di colui che il diritto rivendica, di riconoscerlo, in ugual misura, anche a ciascun altro. Diritto e dovere si accendono l’un l’altro. Se mai, se un diritto implica sempre un dovere, non è in ogni caso ed altrettanto vero come un dovere implichi sempre un diritto. Al di là di tale asimmetria, diritti e doveri non possono essere disgiunti e, se lo fossero, si minerebbero a vicenda. Senonché, se il diritto è ascrivibile, in prima istanza, alla singolarità del soggetto, quindi alla sua dimensione “individuale”, il dovere è, per sua natura, di carattere relazionale, cioè evoca, per forza di cose, la “persona” che nell’intersoggettività trova la sua ragione costitutiva.
Dunque, dovrebbe essere considerato improprio parlare di “diritti individuali”, dal momento che la loro strutturale contestualità al “dovere”, attraverso l’ attestazione di quest’ ultimo in capo alla relazionalità della persona, di fatto lo attribuisce a quest’ ultima. “Diritti e doveri” della persona, quindi. Non altrimenti. Detto diversamente, anche il diritto può essere affermato e rivendicato solo in tanto ed in quanto viene assunto nella “intersoggettivita’” che costituisce la trama quotidiana della vita. In altri termini, libertà e responsabilità si inanellano l’una all’ altra, addirittura si sovrappongono e sono l’ una costitutiva dell’ altra. Non c’è responsabilità senza libertà e non c’è libertà senza responsabilità. Non esiste un diritto astratto, disincarnato, assoluto. Ove lo assumessimo incondizionatamente come tale, diverrebbe un fattore di atomizzazione della società, fino a comprometterne quella coesione di cui consiste.
Domenico Galbiati