“La Stampa” di mercoledì 24 aprile pubblica a pagina 25 un articolo tristissimo e, per certi versi, drammatico. È la storia di un aborto e si potrebbe intitolare (prendendo a prestito quello del celebre libro di Hannah Arendt) La banalità del male.
L’autrice non spiega perché ha deciso di disfarsi della sua bambina (così l’ha pensata quando ha saputo di essere incinta): non dice che fosse il frutto indesiderato di una violenza, o che si fosse scoperta qualche grave malformazione del feto. Né era una ragazzina (aveva 33 anni).
C’è pure un fidanzato al quale dice tutto a cose fatte. Lui le chiede perché… ma non insiste troppo, banale anche lui, e le suona per consolarla una canzone del suo gruppo preferito, i Beatles.
Quindi lei avrebbe deciso della vita o della morte di un essere vivente, intimamente suo (e lo sente tale, ammette) apparentemente senza uno di quei motivi che possono far pensare alla inevitabilità dell’aborto anche chi non è del tutto convinto.
Un articolo che, forse, vuole dimostrare quanto la donna abbia il diritto di disporre della vita o della morte di un nascituro, e che non debba dare né a sé stessa né a chicchessia alcuna spiegazione, senza alcun rimorso, senza sensi di colpa.
Ma è così veramente? Leggendo l’articolo si prova una infinita compassione. Il ricordo dell’autrice mi è sembrato doloroso: il ricordo della perdita di una “cosa” pensata come bella e perduta per sempre…
Penso anche che non sia un articolo compassionevole nei confronti delle madri che hanno perso prima della nascita un figlio tanto atteso o delle coppie che non riescono ad averne e ricorrono ad ogni mezzo, anche poco condivisibile.
Si avverte nel dibattito che si è riacceso sull’aborto, per una decisione anch’essa abbastanza banale (perché già prevista dalla Legge 194, anche se poco applicata), l’intenzione di usare un argomento serio e persino drammatico come un fumogeno gettato nel campo avverso per fare confusione e propaganda. E se i partiti di centro-destra lo maneggiano con più sottile astuzia, quelli di sinistra urlano sguaiati slogan. Così si cerca di far diventare l’aborto uno dei temi importanti della campagna elettorale per le europee.
E non si sa nemmeno bene perché. Naturalmente l’Europa (ma quale?) interviene: e non per cercare vie di pace mentre la guerra infuria alle sue porte. C’è sempre qualche politica/o pronta a bacchettare e a far la morale a chi la pensa diversamente su un “diritto” che sarebbe messo in discussione. E intanto tace sul drammatico calo demografico e sulle culle vuote. Eppure solo in Italia sono quasi 70mila i potenziali figli che ogni anno vengono abortiti.
Ma che cosa è l’aborto? Perché non si riflette più a fondo, anche scientificamente? Nessuno se lo chiede più. E perché criticare chi pensa di dare alle donne una chance in più prima della decisione radicale di disfarsi di una vita? Soprattutto se la decisione di disfarsene ha motivazioni economico-sociali.
Non dovrebbe essere la sinistra a intervenire in soccorso di queste donne? È di destra pensarlo?
Perché banalizzare come se si trattasse di una scelta da nulla o peggio considerarlo un dogma che non ammette discussioni?
Io penso invece che sarebbe bene parlarne, ma in modo diverso, approfondendo le ragioni di tutti, ma senza nascondersi la realtà del fatto traumatico che si compie sul corpo delle donne.
E allora mi torna alla mente un altro libro di Hanna Arendt, Politica e menzogna. I sostenitori dell’aborto devono avere il coraggio di guardarlo in faccia, anche nei suoi aspetti più duri. Gli oppositori devono pensare che non tutti sono costretti all’eroismo. Tutti devono cercare di rimuovere il più possibile le cause che possono essere rimosse, per cercare di non arrivare al momento in cui l’aborto, come scriveva un mistico-utopista- socialisteggiante come il grande Tolstoi, “sembra la cosa più simile all’omicidio”.
L’aborto invece è uno di quegli argomenti dei quali le persone “avvedute e perbene” non devono parlare. Nessuno si domanda come mai la stragrande maggioranza dei medici si rifiuta di praticarlo. Tutti abietti speculatori, ci fanno capire sotto sotto i media “democratici”… ma speculatori perché?
E amministrazioni comunali di sinistra (vedi Gualtieri a Roma o Rosatelli, giunta Lo Russo a Torino) cercano anche di vietare le campagne pro vita. In pratica cercano di intimidire gli attivisti. Che abbiano ragione o torto, non mi pare propagandino tesi nefaste, al massimo, secondo me, qualcuno li potrebbe accusare di sostenere ideali utopici… ma la stessa cosa si potrebbe dire della pace di papa Francesco…
Mi piacerebbe che anche a sinistra si levasse qualche voce come quella di Young Pro-Life Democrats (YPLD) l’organizzazione giovanile pro-vita del Partito Democratico americano: “Stiamo combattendo per un’America a vita intera: una nazione in cui le voci dei più vulnerabili siano ascoltate e dove ogni essere umano abbia diritto alla vita”.
Intanto i nostri media tacciono quasi tutti sulla decisione presa in Gran Bretagna su un altro argomento che è meglio non discutere in pubblico: il governo di sua Maestà ha deciso di vietare, dopo un parere molto netto del comitato scientifico, i trattamenti con farmaci che bloccano la pubertà in bambini e adolescenti avviati alla cosiddetta “transizione” di genere. Un primo passo che mostra un ripensamento scientifico sulle tesi sostenute dal mondo LGBTQ, troppo frettolosamente sposate dalla politica “corretta” e vietate a una discussione seria degli scienziati.
Paolo Girola
Pubblicato su www.associazionepopolari.it