Vorrei cercare di innescare una riflessione un po’ più seria di quella circolata finora sui maggiori media italiani a proposito della decisione della Corte Suprema americana, la ormai celebre causa Roe vs Wade, in tema di aborto.
È stato un atto di “crudo potere giudiziario”, ha scritto in dissenso un giudice democratico.
La Corte Suprema ha finalmente annullato una mostruosa ingiustizia che ha operato dal 1973 – hanno scritto i sostenitori della decisione – che ha ribaltato quanto 7 giudici della Corte Suprema fecero contro le leggi di ogni Stato che proteggono i bambini non ancora nati dalla violenza dell’aborto, anche se nulla nel testo, nella comprensione originale o nella storia della Costituzione li autorizzava a farlo, hanno ancora sottolineato quest’ultimi.
Un dibattito che negli Stati Uniti ha diviso l’opinione pubblica per anni con i movimenti pro life (ci sono anche in campo Democratico e non solo Repubblicano) mobilitati a milioni contro la vecchia sentenza.
Nel merito bisogna chiarire che capovolgere Roe come ha fatto la Corte Suprema non garantisce al nascituro il diritto di nascere. Ciò che la Corte ha fatto è dare ai pro-vita la possibilità di sostenere la loro causa e cercare di prevalere nelle sedi democratiche con il voto. “La nostra legge fondamentale non tratterà più i bambini non ancora nati come esclusi categoricamente dalla protezione più elementare che la legge può fornire. È un potente passo avanti per lo stato di diritto, l’autogoverno e la giustizia”, ha scritto la National Review, rivista di area repubblicana.
La prima considerazione da fare è a latere della sentenza: la società americana è assai più democratica delle sue stesse istituzioni e meno conformista delle società Europee del pensiero unico, intollerante, bacchettone e integralista.
La seconda riflessione è che un argomento così delicato andrebbe trattato senza estremismi e isterismi (che vedo qui da noi, oggettivamente, più nei sostenitori dell’aborto che nei pro life) e tenendo conto che ci sono in ballo principi fondamentali, primi fra tutti la difesa della vita umana e la salute della donna.
Infine, sembra assurdo doverlo sottolineare (ma in Italia e in Europa succede ormai sempre quando si trattano argomenti simili) bisogna difendere il diritto al dissenso: si può criticare ad esempio la decisione della Corte Suprema USA. Ma non si dovrebbero alzare i toni, cercare di intimidire, o commettere atti di violenza anche verbale: penso ad esempio a certi titoli dei maggiori giornali e della tv pubblica chiaramente sopra le righe che non spiegano, non argomentano fanno “dura” propaganda.
In un dibattito razionale e onesto, una delle realtà politiche fondamentali che entrambe le parti devono affrontare è il modo in cui gli aborti con vari metodi e in varie fasi possono essere consentiti, tenendo conto anche delle prove di evidenza scientifica di cui oggi disponiamo (penso a ecografie o altro) che ci mostrano la realtà di un nascituro. E inoltre, degli studi sulle conseguenze fisiche e psichiche di un aborto sulla donna. Infine sui motivi per cui un aborto viene richiesto che possono essere diversi e seri.
Tutti noi siamo inclini per natura a esprimere giudizi morali su ciò che è giusto o sbagliato, sulla giustizia e sull’ingiustizia. Giudizi guidati in parte dal nostro ragionamento, in parte dalle nostre emozioni, dalle nostre reazioni istintive. Penso che tutti siamo d’accordo che bisognerebbe elevare questa sensibilità con la riflessione, lo studio e l’esempio.
Una democrazia deve fare i conti con tutto questo, e io credo anche con il buon senso, per raggiungere una decisione. Queste sensibilità non vanno represse o annullate. È pericoloso non solo in questo caso.
L’aborto è una realtà con la quale dobbiamo fare i conti e a mio avviso il buon senso informato (non nascondendo o proibendo, ad esempio, i manifesti pro vita) rende indifendibile l’estremismo dell’aborto legale su richiesta fino alla nascita. Sappiamo inoltre che le immagini grafiche o le descrizioni degli aborti chirurgici sono drammatiche.
C’è poi un dato di fatto: la scienza è progredita e può rendere vitali bambini prematuri al di fuori dell’utero. Gli aborti oltre un certo limite sembrano così sempre più vite che si desiderano soffocare e i metodi di uccisione possono essere visti quasi come un infanticidio.
Anche i pro life devono riflettere nella loro generosa difesa della vita (penso che nessuno possa dire che è una causa perversa): c’è una ragione per cui si sono stabiliti limiti di 12-15 settimane oltre i quali gli aborti sono inammissibili. Quella linea non è tracciata dalla scienza, o dalla teologia morale, o in realtà da alcun argomento ragionato su quando inizia la vita; è segnata da quello che gli americani definiscono “un test del bulbo oculare”. Quanto prima si esamina una gravidanza, tanto meno visibilmente umano appare il nascituro e più ci si avvicina alle domande su dove si forma esattamente nel processo di fecondazione un essere umano biologicamente e moralmente distinto.
Non è solo un richiamo al realismo.
Il compito più urgente è per i pro-vita di garantire nelle leggi il divieto di abortire dove il “test del bulbo oculare” ci mostra gli orrori più evidenti. Di chiedere azioni a sostegno delle madri, battersi affinché la donna non sia abbandonata a se stessa, a un maschio predatore che non si assume alcuna responsabilità. Per altro la legge non chiama in causa il padre. Quella che sembra una libertà per la donna è in realtà un pesante fardello. Infine bisognerebbe educare femmine e maschi a un esercizio consapevole della sessualità che può diventare un gioco pericoloso sia dal punto di vista sanitario sia psicologico e sentimentale.
Su temi come questi le forze politiche dovrebbero non eccitare l’opinione pubblica né affidarsi al conformismo del politicamente corretto o alla demagogia. Dovrebbero tenere conto di una opinione pubblica che non deve essere manipolata e che, se si rende conto di esserlo, non va più a votare.
Paolo Girola
Pubblicato su Rinascita Popolare dell’Associazione dei Popolari del Piemonte (CLICCA QUI)