Negli ultimi venti anni, grazie alle severe politiche di risparmio, la dinamica della spesa sanitaria in Italia ha descritto una curva positiva, nonostante il lungo periodo di crisi: 115 mld di Euro nel 2018, +1,6% rispetto al 2017. Nel 2019 la somma è stata di oltre 118 mld di Euro e per i prossimi anni è prevista ancora in crescita. Tuttavia, queste performance economiche spesso sono realizzate a discapito dei Livelli Essenziali di Assistenza, in particolare ciò è stato rilevato nelle Regioni con Piano di Rientro. Sono molti gli studi che attestano la contrazione della copertura del Ssn sulla spesa pubblica, ad esempio il Cergas SDA Bocconi. La spesa privata delle famiglie è un indicatore indiretto di questa contrazione. Secondo l’Osservatorio Welfare Familiare, nel 2017, essa era pari a 21,6 miliardi di Euro. Un calcolo fatto sui dati Caf Acli relativi alle dichiarazioni dei redditi mostra che, nel 2018, la spesa sanitaria privata pro capite ammontava a 1.118 Euro. Il disegno che emerge da questi dati descrive una sanità pubblica troppo concentrata sulla spesa, solo in grado di garantire con difficoltà l’ordinario. In alcuni casi neanche quello, basti pensare al fenomeno delle migrazioni sanitarie che vede molti pazienti, soprattutto del Sud Italia, costretti a trasferirsi per periodi medio lunghi con le loro famiglie al Nord per curarsi. Se a questi dati aggiungiamo il blocco del turnover imposto per le Regioni in PdR, la mancanza cronica di posti in terapia intensiva, ecc., la situazione è tutt’altro che positiva.
Purtroppo concentrare l’attenzione sui bilanci economici (questione sicuramente fondamentale) ha reso il nostro sistema fragile e poco adatto alla gestione degli eventi eccezionali, pur nell’eccellenza della qualità delle prestazioni sanitarie rese. L’emergenza in corso infatti ha messo in luce proprio questa nostra sostanziale debolezza. E’ da questa considerazione che dobbiamo ripartire, guardando all’emergenza del Coronavirus anche come occasione per ripensare la sanità pubblica, con la dovuta calma, cercando ovviamente di superare la crisi, prima, immaginando un nuovo modo di fare e offrire salute, poi.
Qualche segnale da questo punto di vista è già rintracciabile: molte delle Regioni in dissesto stanno migliorando i conti economici e stanno man mano adeguando gli standard dei servizi (Lea) a quelli delle Regioni non in PdR. Anche sul piano del personale il cosiddetto “Decreto Crescita” ha previsto lo sblocco del turnover. Quello che però non dovrà mancare nei prossimi anni è una programmazione di sistema che sappia guardare oltre la sola previsione di spesa.
Quella attuale è la prima crisi sanitaria di grandi dimensioni al tempo dei social. In questi giorni ognuno di noi ha potuto sperimentale la “viralità” con cui gli articoli/post sul Coronavirus hanno invaso la rete, diffondendo, assieme a quelle vere, una quantità incalcolabile di vere e proprie “balle” e, generando vere e proprie crisi tra gli utenti, corse ad accaparrarsi l’ultima mascherina, intollerabili fenomeni di razzismo contro cittadini di origine asiatica, ecc. La stessa velocità di spostamento da una parte all’altra del pianeta, tipica della nostra epoca, ha generato problemi: con pochissimo tempo il Virus Covid-19 si è spostato dalla Cina, invadendo il mondo raggiungendo l’Europa, l’Africa (Egitto) … e da ultimo gli Stati Uniti. Tuttavia, se da una parte le facili comunicazioni in rete hanno sicuramente degli aspetti negativi; dall’altra, non sfugge che grazie ad esse possiamo arginare il contagio efficacemente. Ci riferiamo in particolare alla capacità di monitorare l’evoluzione dei contagi in tempo reale e intervenire con misure di contenimento: blocco dei voli, quarantena, ricoveri, ecc. Inoltre, grazie alla buona comunicazione è possibile a tutti consultare i siti ufficiali, telefonare al numero verde messo a disposizione dalle autorità, insomma informarsi direttamente da fonti autorevoli. Per non parlare delle potenzialità della telemedicina, che potrebbe essere il vero asso nella manica del sistema. Insomma, la società della comunicazione ha sicuramente maggiori possibilità di affrontare con successo questo tipo di problemi rispetto a quelle precedenti.
Questa esperienza pone, dunque, nuove sfide, ma mette in evidenza anche nuove opportunità per far fronte alle vecchie e anche inedite esigenze. Occorre quindi farne tesoro valorizzando gli aspetti positivi, eliminando o limitando quelli negativi.
Un sistema sanitario che si rispetti deve andare oltre la mera capacità di contenimento, deve essere sempre preparato a fronteggiare le emergenze sanitarie, deve prevenire prima ancora che curare, come diceva una vecchia pubblicità. L’attenzione al bilancio e all’ordinarietà non aiuta, in questo momento occorre una nuova prospettiva multilevel che coinvolga tutti: dal Sistema Sanitario Nazionale ai professionisti che operano nel settore più ampio del sistema complessivo di welfare, fino ai pazienti reali o potenziali. Occorre diffondere una nuova cultura della salute totale, che coinvolga i cittadini, le istituzioni locali, nazionali e internazionali.
Da un approccio di questo tipo passa la scelta del ritorno al perseguimento della sicurezza sanitaria, che si realizza nella percezione che ogni cittadino ha del sistema sanitario e non solo dagli standard che quel sistema offre. Il Coronavirus sta mettendo a nudo proprio questo nervo scoperto della sanità italiana, un sistema che ha scelto giustamente di mettere a posto i conti nell’interesse di tutti a una spesa efficiente, ma ha dimenticato il tema delle prossimità delle cure che genera sicurezza nei cittadini. Non si vuole ovviamente con questa riflessione richiedere il ritorno al passato con la riapertura degli ospedali di paese, ma porre la questione che nessun cittadino può sentirsi solo davanti a un’esigenza di salute, sia che questa sia di massa come il Coronavirus ci sta insegnando, sia che questa attenga a una persona sola che a fronte di un bisogno, non ha nulla oltre il medico di medicina generale del proprio territorio.
L’emergenza Coronavirus ci conduce così a riflettere ad un cambio di paradigma verso la salute totale, dove ognuno di noi è chiamato a rispondere delle proprie azioni a partire dall’osservanza scrupolosa delle normali norme igieniche, ma dove anche ritorna fortissima la definizione di salute che l’OMS ha formulato diversi anni or sono come “stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non semplice assenza di malattia”. Ogni cittadino insomma è tenuto ad avere cura degli altri, tutelandoli, adottando comportamenti adeguati. Il comportamento individuale però deve essere sostenuto dalle Istituzioni pubbliche con: un diffuso programma di prevenzione sanitaria, di cui la diagnostica costituisce un vero e proprio asse portante insieme ai corretti stili di vita; con il ritorno al presidio di tutti i territori, con una medicina di base che si associa e garantisce la continuità assistenziale H24 come il Decreto Balduzzi del 2012 (!!!) obbligava a fare e come contrappeso alla chiusura dei piccoli ospedali, strada obbligata a detrimento però della percezione di sicurezza sanitaria dei cittadini, avendo visto gli ospedali chiudere e i medici di base restare prevalentemente in proprio. Per non parlare dell’altro nervo scoperto di insicurezza sanitaria, la diagnosi veloce e precoce, tallone d’Achille del sistema, essendo uno dei motivi più diffusi che spinge i cittadini a migrare da una Regione all’altra o, peggio, soprattutto per i più poveri, a rinunciare alle cure stesse.
È tempo di ripensare a un sistema diffuso, di prossimità e accessibile a tutti che passa per un lavoro di coordinamento costante tra i livelli regionali (orizzontale) e tra questi e lo Stato (verticale), ma anche per l’integrazione socio-sanitaria con i Comuni e gli Ambiti Territoriali Sociali, dove quella attuale è lontana anni luce dai principi della più che maggiorenne Legge 328/2000.
Insomma, grazie anche alle straordinarie potenzialità delle nuove tecnologie, oggi abbiamo la grande occasione di ripensare il sistema, di cambiare paradigma, passando dalla sanità della prestazione alla salute totale, che richiede sicurezza sanitaria e prossimità (fino alla domiciliarità delle cure), oggi esclusivamente affidata all’imbuto dei pronto soccorso, per chi può raggiungerli e non ha ridotta mobilità.
Non è la lezione del Coronavirus che ce lo impone, ma la sveglia che questa emergenza ha suonato nel corso di un sonno non profondo del sistema sanitario, e più in generale di welfare, italiano. Non profondo perché la sanità italiana resta un’eccellenza, ma il sistema di risposta ai bisogni di salute è un’altra cosa, perché richiede prestazioni eccellenti, accessibilità a tutti dei servizi, comunicazione efficace,ecc.; in una espressione sola, una presa in carico globale ed efficace dell’individuo e del collettivo comunitario, multidisciplinare e multidimensionale, come richiede semplicemente la natura della persona umana.
Gianluca Budano