L’esperienza ci dice che molte volte, taluni organi di stampa, e taluni giornalisti, preparano il terreno alla politica su temi delicati, sui quali si sa quale sia l’orientamento della pubblica opinione. Mezze frasi buttate qua e la. In particolare, approfittando della partecipazione ai cosiddetti “talk show” televisivi che, per alcuni versi, sono, da un lato, più efficaci perché coinvolgono un pubblico più vasto di quello raggiunto da giornali sempre meno letti; e per altri, meno compromettenti: perché carta canta, mentre verba volant.

Per andare al sodo, parliamo del tema acqua. Perché ultimamente abbiamo avuto occasione di ascoltare ripetuti interventi il cui obiettivo ultimo è quello di provare a riproporre la questione della sua privatizzazione.

La giustificazione è sempre lo stessa: la rete colabrodo e , quindi, gli sprechi. Questioni annose che hanno sempre aperto la strada a quei grandi operatori del settore interessati ad impadronirsi di un segmento dei servizi pubblici molto sostanzioso e che riguarda un bene primario di cui nessuno può proprio fare a meno.

Decenni e decenni di grida d’allarme e un concreto rischio di veder privatizzare l’acqua sventato solo dal vittorioso referendum del 2011 che si concluse con oltre il 94% di sostegno alla gestione pubblica, è con una partecipazione di poco inferiore al 55% dei votanti. Il passo successivo avrebbe dovuto essere quella dell’approvazione di una legge d’iniziativa popolare, già presentata nel 2007 e, poi, di nuovo nel 2018, diretta a liquidare gli azionisti privati e a trasformare la natura di tutte le società coinvolte in enti di diritto pubblico. Non se n’è fatto niente in questi ultimi 13 anni con una evidente responsabilità da addossare a tutte le forze politiche, nessuna esclusa.

Chi ha interessi molto rilevanti nel settore conta proprio sulla inazione della politica e, così, manda avanti giornali e giornalisti per provare a creare il clima necessario a coltivare i presupposti per arrivare alla privatizzazione.

Contrariamente a quello che ci si sarebbe potuto aspettare, non aiuterà molto neppure il Pnrr. Esso, infatti, destina, sì , dei fondi all’ammodernamento delle reti, ma non quanto sarebbe necessario. Per quanto riguarda il  dissesto idrogeologico, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) aveva quantificato in 26 miliardi la somma necessaria e, invece, ne arriveranno solo 3,6. In più, il Pnrr non pensa affatto a società completamente pubbliche, ma a quelle per azioni e, addirittura, amplia le competenze delle grandi aziende multiservizi che gestiscono servizi come l’acqua, i rifiuti, la luce e il gas. In questo, è evidente l’interesse trasversale di tutti i partiti e, ovviamente, dei loro interlocutori privati.  Anche il Pnrr, insomma, tradisce il referendum del 2011 e suona davvero strano che le forze popolari e sociali tacciano.

 

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