Quasi quasi, ero tentato di non commentare la più recente delle uscite di Letta, quella, per intenderci, sulla modifica delle imposte di successione. Semplicemente, perché la catalogavo tra le offerte populiste che vanno per la maggiore tra i vecchi partiti autori contemporaneamente, e tutti insieme, della crisi della democrazia, del disagio sociale degli italiani, della crescente incredulità popolare verso le promesse dei partiti. Ma lo stesso Enrico Letta è tornato sulla questione con tweet irridenti e altri hanno commentato tirando fuori chi la legislazione coreana, chi quella cinese, chi le tradizioni successorie di un passato remotissimo.
Allora, a me e a chi ha a cuore la Costituzione, senza sotterranee intenzioni di stravolgerla o di farla cadere in desuetudine (già, c’è addirittura chi vuole mandare in soffitta, facendolo coprire da una coltre di polvere parolaia, il patto fondativo della Repubblica, la legge che ci tiene insieme su valori davvero non negoziabili) preme mettere in campo una riflessione non segnata da contingenti interessi elettoralistici di partito.
L’art. 47 della Costituzione pone come pietra miliare della Repubblica l’incoraggiamento e la tutela del risparmio in tutte le sue forme.
Per chi risparmia, e le famiglie italiane hanno questa buona reputazione sociale, cioè di essere risparmiatrici, l’esito è di formare un patrimonio, piccolo o grande che sia. Perché comunque esso sarà legittimo in quanto deriverà soltanto dal risparmio, cioè da quella parte di reddito sulla quale sono già state versate imposte progressive.
Caro Letta, non le sfuggirà questo particolare. Nel nostro ordinamento le imposte sono progressive! Cioè a costo di apparirle didascalico, si pagano in misura più che proporzionale al crescere del reddito, con qualche eccezione che le è nota e che è figlia di aggiustamenti politici in particolare nell’ultimo trentennio.
Con quale coraggio si può pensare di rompere la promessa costituzionale della tutela del risparmio da parte della Repubblica? E’ vero che pietra dopo pietra molti valori costituzionali vengono intaccati, per la difficoltà che la Corte Costituzionale ha di risalirli con le proprie modalità di intervento, ma in questo caso si crea una rottura del principio di affidamento che risulta particolarmente odiosa, ripugna al senso di giustizia sociale. A meno che, chi ritiene che il risparmio che produce ricchezza non debba essere tutelato in nessuna fase temporale, non abbia il coraggio di proporre la modifica del patto sociale che tiene insieme italiane e italiani.
Ci spiegherà poi l’autore di questa sciagurata proposta che fine farà il credito, altro principio costituzionalmente garantito, ove i percettori di reddito siano spinti a consumarlo per intero, senza trasformarlo in risparmio. Certo è che queste uscite denotano un sottostante disprezzo non solo per i principi costituzionali ma anche per le regole fondamentali dell’economia.
L’irridente tweet di Letta contiene un atto di accusa che sento di dover respingere recisamente. Dice Letta, se non sei d’accordo con la mia proposta appartieni a chi è riccone o difende i ricconi. No, caro Letta, io non ci sto su questo punto. Il problema che questa classe politica, da licenziare in blocco, ha determinato con la propria inefficienza e con il tradimento dei valori costituzionali è più indietro rispetto alla questione delle successioni. Vediamolo più da vicino.
A mio avviso, essendo la Costituzione un meraviglioso affresco equilibratore degli interessi di tutti, gli articoli da considerarsi, per restare sul punto del formarsi della ricchezza, sono il 41 e il 42.
Ricordiamoli per un istante, per la parte che qui interessa. Premesso che l’iniziativa economica privata è libera, l’art. 41 affida alla Legge il suo indirizzamento ed il suo coordinamento ai fini sociali. Così l’art. 42, a proposito della proprietà affida alla Legge il compito di assicurarne la funzione sociale.
La Legge, ricordiamolo, è fuori da ogni bagliore giuspositivistico nient’altro che il frutto della decisione della politica di dare al viver comune gli indirizzi che ottengono il consenso democratico attraverso la condivisione elettorale.
Allora, se c’è bisogno in un certo momento storico di introdurre un temperamento sociale alla quantità di reddito tollerata nel sistema e dal sistema, si deve agire all’origine della formazione del reddito stesso. Come lo si fa?
Con l’applicazione del sistema impositivo progressivo. E cioè dichiarando ex ante la finalità politica che si persegue e non intervenendo ex post a colpire chi abbia fatto affidamento sulle leggi dello Stato (cosa che hanno fatto formazioni politiche di recente costituzione cui si sono accodate tutte le altre)!
Senza contare che in questo nostro bellissimo Paese tutti coloro che diventano bersaglio di interventi legislativi punitivi sono quelli che hanno rispettato la Legge.
I patrimoni oggetto di eventuale percussione in sede successoria sono quelli che il fisco conosce. I risparmi sono quelli legalmente depositati nelle banche ovvero negli strumenti finanziari consentiti dalla Legge, ovvero nelle altre forme di investimento, compresa la casa per se e per i figli.
Ciò che sfugge allo Stato, e da troppo tempo registriamo l’incapacità dei partiti di fronteggiare i fenomeni sottostanti, sono i redditi illegali che provengono dall’evasione, dall’elusione, dal malaffare, dalla corruzione, dall’esercizio violento di attività che sono in contrasto con l’intero Paese.
Allora, e per concludere, si devono licenziare tutti coloro che non solo violano i principi generali della Costituzione, non riuscendo a riordinarli ai fini generali, ma anche tutti coloro che non sanno stabilire l’ordine di priorità tra ciò che è illecito e ciò che è lecito. Coloro cioè che non hanno saputo o voluto combattere l’illegalità e le mafie.
Per questo la trasformazione dello Stato deve essere invocata da tutti, italiane e italiani, per rigenerare il patto costituzionale. Per questo occorre mobilitarsi massicciamente per trasformare l’invocazione in azione, concreta ed attuale.
Alessandro Diotallevi