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Ai giorni del lutto si addice il silenzio – di Domenico Galbiati

Ai giorni del lutto si addice il silenzio. Né il baccano smodato degli adulatori né lo stridere ed il vociare, altrettanto sopra le righe, dei detrattori. Solo due esperienze tutti gli uomini condividono, davvero tutti e nessun’altra: essere figli e morire. Tanto basta per conferire alla morte un’ aurea di imponderabile sacralità che esige un rispetto profondo, chiunque sia il defunto, creda o meno che, appena al di là dell’ ultimo respiro, lo attende l’ incontro con il Padre.

Noi siamo indotti a concepire la morte quale antitesi alla vita, eppure vita e morte sono inestricabili l’ una dall’ altra e si intrecciano, anche dal punto di vista strettamente biologico, più di quanto non facciano le classiche due facce della stessa medaglia. La morte merita rispetto perché più di quanto noi pensiamo appartiene anch’ essa alla vita e, in ultima istanza, ne rappresenta il compendio.

Celebriamo i nostri compleanni, ma non facciamo mai mente locale al fatto che ogni anno transitiamo per una data del calendario che, quando sarà successo, qualcuno ricorderà come anniversario della nostra morte. Non è un pensiero lugubre se lo poniamo nella prospettiva evangelica, secondo cui alla morte è bene pensare da vivi, per non essere colti di sorpresa e, in definitiva accettarla, come fosse un ultimo dono.

E’ un ammonimento che ha un formidabile valore anche di ordine prettamente laico, come molte parole evangeliche in virtù del significato umano che contemplano, come presupposto del loro stesso valore religioso. Peraltro, come ha ricordato l’Arcivescovo di Milano, Mons. Delpini, sono tali e tanti i livelli che si sono intrecciati nella vita di Silvio Berlusconi, per cui, a maggior ragione, è d’obbligo separare i piani e distinguere ciò che attiene la valutazione politica, che ci compete, da altri aspetti che non tocca a noi giudicare. Mischiarli e confonderli rischia di non favorire l’ oggettività di cui, sotto il profilo politico, abbiamo bisogno. E questo deve valere per tutti.

Per chi vorrebbe santificarlo, perfino a sprezzo del ridicolo, come ha fatto, ieri l’altro, un noto giornalista televisivo raccontandone, seriamente, un quasi miracolo. E per chi vorrebbe dannarne la memoria. Forse è il momento di riguadagnare quella sobrietà che, soprattutto sul piano della comunicazione, ma non solo, l’ impero televisivo di Berlusconi ha fortemente concorso a smarrire.

Domenico Galbiati

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