Ricordo come se fosse ieri quella mattina del 24 maggio 1992. Era il giorno successivo all’assassinio di Giovanni Falcone. Quell’anno, a Montecitorio, svolgevo le mansioni di Segretario particolare dell’Onorevole Michele Zolla, allora Vicepresidente della Camera. Intorno alla 10, come di consueto, andai nel suo Ufficio per fargli vedere la corrispondenza. Lo trovai molto turbato e angosciato. Il tempo di dire Buongiorno Presidente, e lui subito mi chiese: Ha saputo della morte del Giudice Falcone? Sì Presidente – risposi – ho saputo e ho seguito tutto in televisione. E’ incredibile quello che è successo a Palermo. No – mi interruppe subito Zolla – non è affatto incredibile, caro Rutigliano. E lo sa perché? Si fermò un attimo e, sillabando con calma le parole, aggiunse: Perché in Sicilia lo Stato non esiste.
Dopo tanti anni, con la Prima Repubblica consegnata ai libri di Storia, credo che questa espressione possa applicarsi anche ad altri contesti. Ad esempio, al Mezzogiorno. Pur in presenza di lodevoli eccezioni, non possiamo far finta di niente e dimenticare quello che (non) è stato realizzato in questi lunghi anni di Seconda Repubblica. In tante regioni del Sud, lo Stato si è fatto notare soprattutto per la sua assenza.
Alcuni giorni fa, sono rimasto molto colpito dalla frase pronunciata del Presidente del Consiglio di fronte ai dirigenti e ai parlamentari di Fratelli d’Italia. “Non dobbiamo commettere errori, perché stiamo facendo la Storia”.
Ma quale Storia! Piuttosto per le storielle piccanti di alcuni ministri e dei loro cerchietti magici. Ma questo sarebbe niente.
Sul fronte più squisitamente politico, penso soprattutto al Mezzogiorno, per fare una domanda: sono già due anni che state al Governo, ma non abbiamo ancora capito qual è la vostra visione, qual è il vostro progetto per risollevare il Sud dalla crisi che lo ha colpito. Può bastare il Pnrr per rianimare il Sud? Magari!
Su diversi fronti, purtroppo, la Seconda Repubblica non ha prodotto granchè. Anzi, alcuni fenomeni come la fuga dei cervelli, lo spopolamento delle aree interne e le “migrazioni sanitarie”, non solo non si sono attenuati, ma, in certi casi, si sono aggravati.
Secondo un’inchiesta, andata in onda alcuni giorni fa su “Presa diretta”, la trasmissione di Rai Tre condotta da Riccardo Iacona, il nostro Mezzogiorno è a rischio di desertificazione sociale. Solo negli ultimi vent’anni un milione di laureati ha abbandonato il Sud per non farvi più ritorno. Non lo dicono gli avversari di questo governo né i giornali di sinistra. Lo dice la Svimez. L’Associazione per lo sviluppo del Mezzogiorno che aggiunge un altro dato a questo panorama così sconfortante.
Sul fronte industriale tante aziende manifatturiere abbandonando il Sud, si sono desertificati interi territori che ormai non attraggono più nessuno. Infine c’è la “Questione meridionale” nella Sanità italiana.
Secondo quanto riportato, in un articolo di Michele Bocci su “Repubblica”, è in aumento il flusso di pazienti che dal Sud vanno a farsi curare al Nord. Prima, si andava solo per gli interventi chirurgici. Oggi, si va anche per effettuare terapie ed esami diagnostici. Tutto questo, ovviamente, rende ancora più pericoloso il divario tra regioni ricche e regioni povere, se consideriamo che il fondo sanitario nazionale interviene per “compensare” quelle regioni che offrono assistenza ai pazienti che vengono soprattutto dal Sud.
Sono già due anni che il Centro-destra sta governando, ma svolte, non dico rivoluzioni, nella politica per il Mezzogiorno non se ne vedono. E per tante ragioni: non solo politiche, ma anche economiche, sociali, culturali.
Intanto, sfatiamo questa leggenda metropolitana del Governo forte e coeso. A me, a tanti, sembra esattamente l’opposto.
Le divergenze tra i partiti della coalizione (vedi la legge sull’Autonomia differenziata) ricadono su diversi provvedimenti che riguardano il Sud, con l’effetto di rallentare l’approvazione di misure efficaci. Intanto, c’è la gestione del PNRR. L’attuazione dei progetti previsti per il Mezzogiorno ha subito ritardi, spesso dovuti a problematiche burocratiche e difficoltà di coordinamento tra governo centrale e amministrazioni locali.
A complicare le cose è poi intervenuta questa benedetta legge sull’Autonomia differenziata. Il progetto, promosso dalla Lega, ha sollevato preoccupazioni tra i governatori delle regioni meridionali. Tant’è che alcuni di loro temono una possibile riduzione delle risorse per il Mezzogiorno e un divario ancora più accentuato tra Nord e Sud.
Nulla è cambiato sul fronte degli squilibri strutturali. Il Sud soffre di storiche debolezze economiche, tra cui bassi livelli di industrializzazione, elevata disoccupazione (soprattutto giovanile) e un sistema infrastrutturale arretrato. Aggiungiamo anche l’altro fattore che a lungo andare deprime e cioè la mancanza di investimenti privati. Le imprese private sono spesso riluttanti a investire nel Sud a causa di fattori come l’incertezza politica, la criminalità organizzata e la mancanza di infrastrutture adeguate. Tutti fattori che limitano le possibilità di crescita economica.
Accanto ai fattori politici, aggiungiamo poi le ragioni sociali che aumentano sempre più la spaccatura del Paese. Al primo posto non possiamo che inserire la disoccupazione e la migrazione giovanile. La prima, particolarmente alta tra i giovani, porta molti di loro a migrare verso il Nord Italia o all’estero, in cerca di opportunità lavorative. Questo fenomeno provoca una fuga di talenti che aggrava ulteriormente la stagnazione economica e sociale del Sud.
Tutto questo groviglio di fattori non fa altro che generare sfiducia nelle istituzioni. Lo dimostra la sempre più bassa affluenza alle urne.
Nella mia regione, la Basilicata, alle ultime elezioni europee, la maggioranza dei lucani non è andata a votare. La prima volta che succede nell’Italia Repubblicana. Altro che fare la Storia. Qui la stiamo rinnegando! Al Sud è sempre più diffusa una sensazione di abbandono da parte delle istituzioni nazionali. Questo stato d’animo alimenta sfiducia verso la Politica e, quindi, verso lo Stato. Per far riprendere il Mezzogiorno ci sarebbe bisogno di una visione originale e coraggiosa del proprio futuro. Una visione che stimoli le migliori energie morali, sociali e professionali che non sono affatto scomparse nelle regioni del Sud.
Diciamoci la verità: i partiti che ora ci governano lasciano molto a desiderare in quanto a competenza, affidabilità e coerenza. I continui cambi di casacca, anche al loro interno, stanno lì a dimostrarlo. La sensazione che si avverte è che, su tutto, debba prevalere la logica dell’appartenenza. In Parlamento, nelle Regioni e nei Comuni, molti nostri rappresentanti – non tutti per fortuna – non si sottraggono a questa logica. Ingannevole e maliziosa, perché punta sempre a osservare il dito, anziché lasciarsi incantare dal fascino della Luna.
Michele Rutigliano