Così, Alitalia giunge mestamente al capolinea. Ne scompare persino il nome, collegato semmai ad una cosiddetta “bad company”, a tutti i suoi debiti e a ciò che dev’essere dismesso per coprire un’autentica vergogna nazionale. Quella di aver distrutto la nostra compagnia di bandiera che, a lungo, una classe politica e una serie d’interessi, voraci ed ottusi, hanno fatto finta di difendere mentre esisteva la consapevolezza che ben altro andava fatto per non farci essere l’unico paese europeo importante senza una sua flotta aerea civile degna di questo nome.
Adesso, però, quanto avviene in maniera definitiva ed irreparabile è solo l’ultimo sigillo su una vicenda trascinata per anni ed anni perché classe politica, realtà imprenditoriale e sindacati, nonostante le proclamazioni di segno contrario, non si sono mai voluti realmente applicare ad una risistemazione dell’intero “sistema paese” che, per quanto riguarda in particolare il sistema delle reti, delle infrastrutture, e quindi dei trasporti, oltre che dei servizi, dovrebbe andare al di là delle transeunte vicende politiche e della difesa di quelli che restano interessi parziali, per quanto forti e tenaci essi siano. Una classe dirigente si valuta anche sulla base dei fermi “no” che riesce ad esprimere, se necessario per l’interesse generale, e sulla capacità progettuale di lunga scadenza che un paese moderno deve saper mettere in campo.
Abbiamo vissuto un lungo periodo durante il quale si sono fatte cadere tante ipotesi di possibili alleanze di Alitalia con altri vettori europei ed internazionali. Un periodo in cui la questione degli aiuti statali non è sempre stata risolta con coerenza e linearità all’interno dell’Unione europea.
A dispetto della nostra collocazione geografica e della nostra grande vocazione turistica, siamo riusciti a perdere l’Alitalia dopo averci profuso tantissimi miliardi di vecchie lire e centinaia di milioni di nuovi euro. Ci siamo inventati di tutto nel corso dei decenni senza avere il coraggio di andare al fondo del problema. Siamo giunti persino ad affidarci a dei “capitani coraggiosi” senza vedere alcun piano industriale serio.
Resta la considerazione che l’Alitalia è il simbolo negativo di un’Italia da trasformare. Di una classe dirigente cui manca la capacità di ragionare pensando ai decenni a venire, invece che alle modeste vicende domestiche che affrontiamo sempre in termini di “faida di comune” di carducciana memoria. E ancora oggi proviamo ad affidarci in buona parte alla logica del sussidio.
Purtroppo della vicenda Alitalia, e delle tante simili che hanno costellato la nostra storia, e ancora costellano la nostra cronaca, non ce ne ricordiamo mai al momento del voto e continuiamo a schierarci con questo o quell’altro fronte facendo finta di non sapere che esistono una incapacità e una responsabilità condivisa su cui nessuno dei leader dell’oggi vuole riflettere adeguatamente. Complice anche un sistema dell’informazione che appare, a volte, persino più smemorato dei politici, degli imprenditori e dei sindacalisti.
Giancarlo Infante