Nel ‘94, grazie alla particolare natura del momento ed alla suo prorompente “discesa in campo”, fu possibile all’ ancor giovane Berlusconi mettere insieme elettoralmente Nord e Sud dell’Italia. In altri termini, Lega Nord e la neonata Alleanza Nazionale, insediata prevalentemente nel Meridione. In sostanza, due forze che hanno potuto convivere solo nella misura in in cui, l’ una e l’altra, hanno saputo mettere la sordina alle loro stesse antitetiche ragioni fondative: la “secessione”, la derisione per il Tricolore, il disprezzo per le popolazioni del Sud da una parte, l’idea di “nazione”, con quel che ne segue, dall’altra.
A riprova del fatto che una forza politica quasi mai può affrancarsi dalle sue origini, la questione si ripropone, se vogliamo in forme meno rozze, più edulcorate, ma sostanzialmente simili. Insomma, l’ identità di una forza, la sua storia, il suo abito mentale persistono molto più di quanto comunemente non si voglia credere e le linee di fondo dei suoi sviluppi prima o poi riemergono.
Il disegna di legge Calderoli, a ben vedere, è una contraddizione in termini. Nella misura in cui ne propone una forma “differenziata” di fatto tradisce l’autonomia, il cui vero significato nulla ha a che vedere con un intento divisivo del Paese, ma piuttosto ne valorizza le peculiarità in funzione di una più forte unità nazionale. Le “autonomie” vanno, in sostanza, declinate in termini di solidarietà e sussidiarietà in un concerto di integrazione tra differenti livelli territoriali ed istituzionali, che incarnano diversi e graduati ambiti di sovranità.
Intanto, nella maggioranza è un po’ come se si giocasse a “guardia e ladri”, si annusano, si attestano nel punto di osservazione più adatto per cogliere l’uno le mosse dell’altro. La Lega vuole subito l’ “autonomia differenziata”.
Ne ha urgente bisogno in vista delle Europee del prossimo anno. Non ha tempo da perdere e non può attendere, a prescindere dai possibili indirizzi, le lungaggini della riforma costituzionale cui pensano Fratelli d’ Italia. Ottenere l’autonomia “differenziata” vorrebbe dire, per il partito fondato da Bossi, portare a compimento, almeno nelle forme al momento praticabili, un ciclo storico ed esaudire le ragioni della propria identità.
La Padania, il Parlamento Cisalpino, il rito pagano delle ampolle, le acque sorgive del Po versate nel mare di Venezia, le picche, le alabarde, gli elmi cornuti del pratone di Pontida, la gallina dalle uova d’oro, le invettive contro Roma ed il Meridione, perfino il tifo avverso alla Nazionale. Un repertorio patetico che non è stato solo folklore.
E’ stata una stagione di istigazione all’odio di una parte del Paese verso l’altra, eretta a motivo di identità
di un movimento politico. Alla Lega va riconosciuto di avere convogliato in Parlamento, anziché nelle piazze, un moto di protesta che oggettivamente il Paese soffriva, eppure ha introdotto, nel confronto politico, un linguaggio violento, un costume sprezzante che ha seminato rancore, sospetto e reciproca diffidenza, ostilità, veleni che ancora non sono stati riassorbiti e, se mai, si sono sedimentati nel populismo sovranista e demagogico che sfoggia tuttora.
La logica è pur sempre quella del “nemico” da mettere nel mirino.
Ieri i “terroni”, oggi tocca ai migranti ed ai rom piuttosto che ai sinti, insomma agli “esclusi” sui quali è facile infierire, ai “diversi” da additare come termine spregiativo che, per contro, alimenta un sentimento fasullo di superiorità, che è pur sempre il seme di una postura razzista.
Non bisogna demonizzare, ma neppure dimenticare. Si possono addolcire le forme, si può anche sinceramente evolvere e maturare, ma la cifra delle origini, il percorso che dalle origini giunge all’attualità del momento è pur sempre di quel timbro. E la riforma Calderoli cerca di sdoganare questo mondo, di farne uno dei capisaldi del nostro ordinamento istituzionale. Per contro Meloni vorrebbe, con il presidenzialismo, marciare in una direzione esattamente opposta, orientata ad un accentramento del potere di comando della “nazione”. Ha meno fretta di Salvini. In vista delle Europee può accontentarsi di una politica dell’ annuncio. Del resto, deve pensarci due volte e poi ancora, prima di misurarsi davvero con il popolo italiano. Staremo a vedere, direttamente in campo, gli sviluppi della partita.
Domenico Galbiati