La manifestazione di due giorni fa organizzata dalle opposizioni a Roma ha avuto un discreto successo. Proprio nel vivo del processo legislativo che, con i primi passi del Premierato e l’approvazione definitiva dell’Autonomia differenziata, ha avviato la trasformazione dell’assetto costituzionale che abbiamo conosciuto finora. Oltre che aumentato i costi e le difficoltà nel sistema di gestione delle Autonomie regionali e locali.
In entrambi i casi, è stato pagato il prezzo alle enunciazioni programmatiche con cui i partiti della destra sono giunti al successo nel settembre 2022. Nel caso del Premierato solo in parte, però. Perché, in realtà, la promessa elettorale dei Fratelli d’Italia, ma cui c’è da aggiungere quella che Forza Italia chiama la realizzazione del “sogno” di Berlusconi, doveva portarci alla Repubblica presidenziale tanto cara anche alla P2. Siamo, all’italiana, invece, rimasti a metà con un pastrocchio ancora, forse, peggiore. Qual è quello di un sistema che non ha uguali in nessuna parte del mondo e capace, assieme, di sconvolgere l’assetto parlamentare della Repubblica, limitare i poteri di garanzia del Presidente della Repubblica. Probabilmente, senza riuscire a risolvere neppure il problema della governabilità.
In effetti è tutto rimane all’interno di quel brodo di cottura rappresentato dal nostro generale sistema politico e istituzionale. Resterà nelle mani di partiti che non sono più tali e, così, preferiscono l’ingegneria costituzionale invece di affrontare le gravi questioni che li riguardano. E il monito che viene dall’astensionismo non è affatto ascoltato.
Il problema resta sempre quello di una sovrastruttura politica che continua a preoccuparsi del modo di perpetuarsi, a dispetto di tutto, invece di andare a quei problemi profondi della nostra democrazia che chiamano ad una ben più profonda trasformazione. La quale non può partire dall’alto e dai massimi sistemi, ammesso che quello a cui assistiamo meriti una tale definizione. Bensì dal porsi il problema del modo in cui la politica riesca a tornare ad essere una effettiva rappresentazione dei reali interessi della società e dei corpi vivi che in essa operano.
Un testo pasticciato si porta dietro, inoltre, problemi di non facile soluzione e bisogna vedere se la inevitabile legge elettorale, che ne deve conseguire, favorirà o, addirittura, peggiorerà le cose che non è detto saranno caratterizzate da una possibile maggiore libertà d’azione da parte del Primo ministro eletto direttamente dal popolo. Fatta la legge vedremo se, e quanto, l’eletto/a sarà meno condizionato/a dagli alleati e, soprattutto, da quegli interessi esterni, ampi e complessi, che si pensa di comprimere ancora di più.
Per quanto riguarda l’Autonomia differenziata, c’è da dire che si tratta del prezzo più alto pagata dai nazionalisti e centralisti Fratelli d’Italia alla Lega, e proprio nel suo momento di crisi e di isolamento più alto. Una patata bollente che, come conferma la presa di posizione del Presidente della Regione Calabria, Occhiuto, che è di Forza Italia, sta scottando le dita del centrodestra in tutto il Meridione. Adesso devono inventarsi il modo con cui disinnescare una mina che va nella direzione opposta verso cui il Paese si sarebbe dovuto incamminare dopo la constatazione che, talune gestioni delle politiche regionali, e su un’ampia sfera di competenze, hanno solo aumentato la spesa pubblica, aggravato le divisioni geografiche e sociali e non risolto il problema della prossimità con i territori e i cittadini.
Ma per rispondere ai problemi che questi provvedimenti, ma anche tanti altri di cui si parla poco, troppo poco, basta la mobilitazione delle piazze? Certamente no. In taluni casi è ciò che serve solo a coprire i problemi irrisolti sia dal centrosinistra, sia da quelli che parlano di centro.
Ci sarà la mobilitazione, cui pure noi parteciperemo, ci sarà una raffica di referendum. Ma è chiaro che le battaglie di principio non si vincono se non c’è anche la risposta allo smarrimento generale che pervade la nostra società contemporanea. Basato soprattutto sulla mancanza di certezze sui conti pubblici e la mancanza di una politica credibile sull’economia, sugli investimenti necessari a trasformare il Paese, a restituire forza alla Sanità, alla Scuola, al Lavoro, a tutto il Lavoro, cioè a lavoratori e imprese, a rigenerare la struttura pubblica, a partire da comuni e province.
Solo rispondendo così la gente capirà il perché si debba difendere la Costituzione, che le cose sopra menzionate prevede, e la “vera” Unità nazionale. È questa è una riflessione cui sono chiamati, in particolare, i popolari che, nel corso degli anni, sono sembrati sempre più interessati ai giochi di schieramento. I tempi richiedono ben altro.