Sono arrivati ad indulgere in arzigogolate ricostruzioni etimologiche per giustificare il populismo, valorizzandone la derivazione evocativa del popolo e, addirittura, hanno tentato di affievolire, scolorendole, le differenze con il popolarismo. Il risultato è che ci troviamo, in casa, a dover spiegare che i cristiani hanno il dovere di andare al di là delle “proclamazioni d’intenti”. Opportunamente amplificate dalla propaganda le proclamazioni diventano urla e proiettano persone e paesi nella tragedia della negazione della persona, che il frutto avvelenato, storicamente accertato, del populismo.
Nella propaganda alligna la menzogna . Le prove? Intanto, la negazione dei dati; e, poi, la sconfessione delle competenze. Hanno ragione tutti coloro che scorgono sotto le apparenze della legalità (talvolta forzata, talchè è già illegalità) la sostanza dell’eversione populista.
La menzogna, lo dice Kant, è proprio il luogo elettivo della corruzione della natura umana.
Talchè, siamo autorizzati a credere che la menzogna propagandata come verità è disumananizzante.
Guardiamoci intorno, per un attimo, a senza aspettare analisi sociologiche (che arriveranno con tragico ritardo), verifichiamo se sia vero o no che una violenza nuova, quotidiana, una violenza strumentale accompagna la gran parte di ciò che definiamo politico.
Allora, non c’è tempo da perdere. Dobbiamo convenire che ogni indugio, anche provocato in buona fede dal desiderio di far bene, si aggiunge al carro trionfale del populismo e dei suoi cantori.
Avremmo forse il bisogno di un Condorcet, oggi più che mai (eppure veniamo da stagioni di populismo crescente), che addirittura fondò un “Giornale d’istruzione sociale” che ebbe per scopo di “combattere i ciarlatani della politica”.
In assenza, dobbiamo rimboccarci le maniche e partire con un approccio diverso da quello utilizzato in tempi di politica democratica.
Né il Parlamento né il Governo sono istituzioni populiste. Tanto meno, c’è copertura costituzionale del populismo, neanche nell’assegnazione della centralità della sovranità popolare.
Il populismo nasce e cresce fuori dalle istituzioni democratiche, nasce dove qualcuno riesce a far passare l’immagine di se stesso, come fece Gaitan, non di uomo ma di popolo (“non sono un uomo, sono un popolo”).
Dovremmo tutti fare lo sforzo di documentarci sul populismo per poterlo arrestare!
Per il momento, si deve capire dove esso sia nato, oggi, in Italia.
Non all’interno delle istituzioni democratiche che hanno gli anticorpi degli equilibri costituzionali, dei pesi e dei contrappesi.
Il populismo nasce senza contraddittorio interno. Nasce nei partiti e nei movimenti, dove vige il principio di assenza di trasparenza, dove si formano gli uomini forti (quelli che eliminano gli avversari annientandoli sul piano personale e sono abbastanza spregiudicati da far credere di potere tutto a vantaggio di tutti). Si impossessano, in Italia, oggi, della suggestione populista latino-americana di Gaitan e dicono “non sono un uomo, sono un partito, sono un movimento”.
Non dicono sono il partito, sono il movimento, perché hanno appreso la lezione elementare che chi lo dice si guadagna feroci inimicizie interne.
La Costituzione consacra il ruolo dei partiti (“tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”):
Non sto qui ad indugiare né sulla loro natura, né sulle regole di funzionamento. Le lascio alla dottrina.
Qui, in chiave politica e costituzionale, propongo formalmente di impedire ai partiti di essere agenti del populismo. Come si fa è noto ed anche banale. La si spara grande, grossa e rumorosa la proposta politica. Se intacca il bilancio dello Stato, non importa. Se spinge il paese fuori dall’Europa, non importa. Se offende il senso comune, non importa.
Non importa perché chi spara non sarà chiamato a risponderne, non ne risponde legalmente. E, quando, anni dopo, magari un ventennio, sarà cacciato, il paese avrà già sofferto il dramma di una scelta in cui è stato indotto con mezzi fraudolenti.
Il partito, i movimenti con natura criptopartitica, non possono essere esonerati dal rispettare la legalità costituzionale.
Faccio un esempio: se propongo agli elettori di votarmi in cambio di un reddito di cittadinanza, io partito-movimento, debbo rispettare il canone costituzionale dell’articolo 81, debbo dire agli elettori come e dove trovo la copertura di bilancio. Perché dopo che l’elettore si è fatto tentare, dopo che l’abuso della credulità popolare si è perfezionato, dopo che il populismo del partito-movimento s’è impadronito delle istituzioni, allora è troppo tardi. E così per mille altre false promesse elettorali.
E’ una battaglia politica da farsi subito. Io so che gli amici di politica insieme, che si accingono a presentare una offerta politica di ispirazione sociale, daranno copertura legale a tutte le loro proposte.
Ma non debbono soffrire della ingiusta concorrenza del populismo nostrano.
Sappiamo che non è facile risvegliare dal torpore delle false rappresentazioni quelli che “ci sono cascati”, ma sono una minoranza. Appartengono al quel 50% di brave persone che spinte dal bisogno hanno votato i populisti. Un altro 50%, parimenti toccato dalla crisi morale del nostro paese, demoralizzato per l’assenza pluriennale di un modello sociale di riferimento, non è andato a votare.
Insomma, se si ha, finalmente, il coraggio di agire, nel quadro delle libertà democratiche, non sarà difficile venirne fuori.
Qualcuno dirà, infine, come si possa impedire il populismo dei partiti.
Io dico con l’applicazione ai partiti dell’obbligo di rispettare la Costituzione in tutte le sue prescrizioni. E davanti a chi sarà fatta valere l’eventuale violazione? Ovviamente davanti alla Corte Costituzionale, per il tramite di una modesta legge costituzionale.
Infatti, parafrasando la migliore dottrina, il Paese, noi tutti, va rassicurato, prima che le nuvole dell’involuzione democratica si addensino, sulla sopravvivenza, ad aeternum, del principio per il quale l’esercizio del potere pubblico è e resta al di sopra di ogni contesa politica.
Mi sono lasciato una citazione, per concludere, tratta da Rosanvallon, la sintetizzo: attenzione, perché le democrazie sono insidiate, tutte dallo scarto tra il linguaggio elettorale (elettoralistico) ed il linguaggio di chi governa.
Incamminiamoci verso una vera proposta nell’interesse dell’Italia, come non ce ne sono da un trentennio!
Alessandro Diotallevi