Prima di esaminare gli aspetti filosofici etici e morali della realtà economica attuale, sarebbe importante esaminare lo stato effettuale di trenta anni di globalizzazione senza regole, che ha caratterizzato tale periodo.

Per quanto riguarda gli Usa, il BMI (Indice massa corporea, ndr) tendenziale prevede che il 50 % degli statunitensi entro il 2030 sarà obeso; tale situazione determinerà un incremento degli interventi di chirurgia bariatrica, un incremento delle patologia legate all’obesità, quali diabete, patologie cardiovascolari, morte prematura, rischi metabolici e malattia coronarica,  cancro, disturbi muscoloscheletrici , disturbi gastrointestinali , problemi riproduttivi, conseguenze genito-urinarie, conseguenze respiratorie, infezioni,  conseguenze dermatologiche, comorbidità con disturbi psichiatrici.

Oltre all’incremento delle spese sanitarie legate al fenomeno dell’obesità, si verifica l’incremento dei prodotti dietetici, che l’industria offre come antidoto; pertanto, il processo mentale che si proietta al cittadino si condensa nella formula di mangiare quello che vuole tanto vi è il rimedio che risolve il problema.

Infatti, i messaggi pubblicitari relativi ai cibi, decantano la prelibatezza e la golosità degli stessi a prescindere dalla loro salubrità; è la soddisfazione del desiderio, quale esso sia, che si persegue e mai – o quasi – l’effettivo bisogno equilibrato di alimenti finalizzati al benessere fisico.

Inoltre, da molto tempo si pratica la induzione al nuovo bisogno per poter vendere qualsiasi cosa ad iniziare dai prodotti alimentari, producendo dipendenza più o meno accentuata, tanto da diventare abitudine consolidata.

L’individuo, che prima era “persona”, attualmente è solo “consumatore”, dipendente da tutte le produzioni esistenti e il “desiderio”, come si è puntualizzato prima, è indotto con sofisticati sistemi espliciti e subliminali per ogni cosa, senza che il cittadino, che di fatto ha perduto il suo diritto di scelta, possa difendersi.

In molti Paesi si verifica che le legislazioni siano funzionali al sistema produttivo, piuttosto che alla tutela del cittadino; attualmente il problema della produzione di energia tende a convertire tutto verso il sistema elettrico per ridurre le fonti fossili e privilegiare le fonti rinnovabili.

Lodevole lo scopo, ma attualmente le fonti rinovabili producono il 13,47 % di energia nel mondo e il 18,36 % in Italia (indagine del 2021 della British Petroleum); del 13,47 % di energia da fonti rinnovabili, misurata in 7.931 TWh, 4274 TWh (54 %) sono prodotti dall’idroelettrico, 1.862 TWh (23 %) dall’eolico, 1.033 TWh (13 %) dal solare.

Con tali valori mondiali, che possono essere rapportati proporzionalmente nella UE, è verosimile che entro il 2035 tutto il parco macchine europeo possa essere alimentato da energia prodotta da fonti alternative?

Come si potrà risolvere il problema della produzione delle batterie e quello del loro smaltimento, considerato che hanno componenti altamente inquinanti?

Come sarà affrontato il rapporto con la Cina, che attualmente detiene il primato della produzione?

Attualmente non ci sono risposte e in mancanza tutto il sistema produttivo entra in fibrillazione, perché non vi sono le condizioni per fare una programmazione che sia affidabile come per il passato.

La Germania e l’Italia, le prime manifatture europee, hanno i sistemi industriali bloccati dall’incertezza del futuro e da provvedimenti legislativi ideologici più che programmatori, per soddisfare correnti di pensiero, che non fondano la propria sussistenza sulle analisi e sui bisogni dei cittadini, ma sulle indicazioni di un presunto “nuovo ordine mondiale”, di cui non si conoscono le coordinate, ma solo gli effetti nefasti.

In particolare, vi sono tre grandi problematiche che hanno la necessità di essere affrontate con tempi congrui, che vengono negati dalle circostanze dei mercati mondiali.

La prima è l’innovazione tecnologica dei processi produttivi, che necessita di capitali e formazione del personale, che attualmente non sono disponibili in sufficienza per effetto del ciclo negativo che sta vivendo l’industria europea e tedesca e italiana in particolare; una situazione analoga si sta vivendo negli USA nel settore metallurgico e automobilistico.

La seconda riguarda l’approvvigionamento delle materie prime, legato più a fattori politici che economici, che deve trovare un riequilibrio tra Paesi produttori e consumatori, evitando lo sfruttamento dei Paesi in via di sviluppo.

La terza è rappresentata dalla gravissima crisi in atto tra la Russia e l’occidente per la guerra con l’Ucraina; dalla crescente crisi in Medio Oriente, con l’Iran che intende andare ad uno scontro con Israele e gli USA, che infiammerà tutta quella parte di mondo, nonostante vi siano Paesi che stanno lavorando alacremente per costruire condizioni di pace come l’Egitto, l’Arabia Saudita, la Giordania, il Qatar, lo Stato del Libano (e non gli hezbollah), l’Iraq e in qualche misura la Siria; la Turchia gioca un ruolo equivoco e comunque contro Israele. 

La Cina, che verosimilmente vorrebbe disinteressarsi dei focolai di guerra esistenti perché ha grandissimi problemi interni relativi al ciclo economico sostanzialmente fermo, gioco-forza si trova legata ad alcuni Paesi che sono in guerra e che fanno parte dei BRICS, con i quali è costretta a tenere una posizione di solidarietà formale, senza sbilanciarsi più di tanto sulle vicende belliche.

Una emergenza mondiale è rappresentata dal sistema finanziario e monetario mondiale, che non tiene conto delle situazioni di modifiche strutturali esistenti in moltissime aree economiche mondiali, che dovrebbero indurre a modificare il multilateralismo teoricamente esistente per renderlo effettivo:

La presa d’atto delle modifiche delle condizioni economico-finanziarie degli Stati e l’adeguamento del sistema di regolamento delle transazioni internazionali dovrebbe essere garanzia di un ritrovato equilibrio politico, che duri nel tempo, ma, purtroppo, la resistenza ai cambiamenti necessari, che dovrebbero essere frutto di negoziati essenziali per il mantenimento della Pace, induce i Paesi in crescita economica a ricercare forme diverse nei metodi transattivi e nuovi strumenti di regolamento dei rapporti (un esempio e la creazione di una Nuova Banca per lo Sviluppo BRICS in sostituzione del FMI e la WB, nati con gli accordi di Bretton Woods,  che tende a sostituire il dollaro come moneta di scambio internazionale con la nuova moneta R5 (Real brasiliano, Rublo russo, Rupia indiana, Renminbi cinese, Rand sudafricano).

Resta ancora parzialmente irrisolto il problema della fame nel mondo, vissuto da circa ottocento milioni di persone, prevalentemente in Africa, ma non solo, anche in Centro-America e America Latina, a fronte delle altissime percentuali di sprechi alimentari dei Paesi sviluppati pari, secondo la FAO, ad un terzo del totale e a circa 1000 mld di dollari l’anno, mentre l’overshoot day annuale del pianeta è stato fissato al 1° agosto 2024; va precisato che le produzioni mondiali attuali sarebbero in grado di soddisfare il fabbisogno di tutta la popolazione mondiale e, anche, molto oltre, ma quella che è deficitaria è la distribuzione nelle varie aree, secondo le necessità.

 L’altro problema gravissimo è quello dello sfruttamento delle risorse naturali da parte dei Paesi sviluppati, della Cina e della Russia a danno dei Paesi in via di sviluppo; tutto questo crea un gravissimo disequilibrio oltre che una palese ingiustizia, perché non esistono dappertutto le medesime condizioni di sviluppo delle popolazioni.

Condividendo la definizione di “economia meccanicistica”, che ha come cardini di riferimento la ricerca del “profitto” e della “utilità”, finora decisa e perseguita nei grandi consessi informali economico-finanziari come il WEF di Davos, con uno status pubblico-privato, che si pronuncia anche sulla necessità di programmazione demografica, violando il Principio fondamentale dell’Umanità, sarà necessario interrogarci sulla cosa da fare, come farla e da dove cominciare per dare risposta agli otto miliardi di persone nel mondo.

Come riportare al centro dell’attenzione la persona, la sua esistenza, la sua dignità, la sua propria intelligenza, la sua indipendenza, la sua totale e completa libertà, per scegliere il suo percorso di vita, il suo futuro, nel rispetto sacro della sua persona da parte di tutti, come garanzia di uguaglianza, è l’interrogativo che una società civile dovrebbe porsi e risolvere.

Attualmente il livello delle Istituzioni più si allontana dalle persone e più le stesse diventano vessatorie e non rispondono delle violazioni dei diritti che molte volte vengono perpetrate.

Si è arrivati al punto che l’OMS pretende di rendere obbligatori i suoi regolamenti e protocolli, senza che gli Stati ne abbiano verificato e approvato i contenuti: l’OMS è una struttura mondiale di servizio per gli Stati Membri e non altro.

Altre Agenzie si sono spinte a calcolare i dati per una “sopravvivenza sostenibile”; l’espressione è costruita lessicalmente per celare l’obiettivo di un contingentamento delle nascite, come si è fatto per tanti anni in Cina, salvo poi a scoprire che attualmente non è più perseguibile; inoltre conosciamo perfettamente la costruzione lessicale, perché ci siamo opposti nei documenti europei a condividere la espressione “salute riproduttiva”, che legittimava e liberalizzava l’aborto, senza nessuna remora morale.

Lo scontro tra visioni etiche e laiche dell’economia e ben presente e finora hanno prevalso le scelte laiche con la narrazione efficientista dei percorsi di sviluppo economico, sacrificando il soggetto principale a cui tali percorsi dovrebbero essere asserviti, cioè l’umanità.

Le scelte economiche, da chiunque siano fatte, hanno delle motivazioni morali che non possono essere disconosciute, se non si vuole arrivare alla barbarie della “selezione della razza” di passata memoria, condannata coralmente in altra epoca tanto da componenti religiose che laiche, come i regimi comunisti.

Entrando nel dibattito in corso sulla “bioetica” e “bioeconomia”(Nicholas Geourgescu Roegen) e in generale sulla “bioetica degli eco-sistemi”, ritengo che la distinzione tra attività “hard” e “soft” possa rappresentare un sofisma se non si definiscono i termini non tanto della ricerca, che deve essere libera, ma delle applicazioni, che, a mio avviso, dovrebbero sempre essere scelte e governate dall’uomo nella consapevolezza degli effetti che producono.

Non si vuole negare la validità della ricerca, né essere luddisti di ultima generazione, ma è necessario che l’evoluzione dei “sistemi viventi” e le pratiche commerciali seguano dei criteri di liceità, che a monte implicano un sistema morale di riferimento, senza il quale si concretizza il rischio della regola sociale “homo homini lupus” di Plauto, come è avvenuto negli ultimi trenta anni con la globalizzazione senza regole.

Ai fini della evoluzione dei sistemi, le previsioni che si possono fare non possono tenere in considerazioni le mutazioni che nel corso del tempo si possono verificare, che migliorano o peggiorano lo stesso corso evolutivo; pertanto, quando si pensa di immaginare un percorso temporale evolutivo tenendo in considerazione i dati noti delle risorse disponibili, è innegabile che le previsioni dei processi entropici scontano il rischio delle mutazioni delle condizioni e quindi perdono di attendibilità.

Sarebbe più giusto immaginare che l’evoluzione dei sistemi bio-economici contemplino dei correttivi che si possono utilizzare in presenza di variazioni strutturali o qualitative o quantitative delle condizioni prese in esame.

Una considerazione generale da fare è quella che le leggi della fisica, compreso il secondo principio della termodinamica, partendo da condizioni date, descrivono i processi naturali che si innescano e che saranno sempre gli stessi se non cambiano le condizioni.

Tentare di misurare anche il benessere complessivo umano o addirittura la felicità appare arduo perché le condizioni date sono molteplici e mutevoli, non rispondono a leggi precise, ma si verificano e soddisfano il gruppo umano di riferimento in un tempo e successivamente possono risultare inadeguate in relazione alle mutazioni delle condizioni o alla evoluzione delle esigenze del gruppo umano, il quale tende costantemente a migliorare le proprie condizioni di esistenza.

Alcune considerazioni formulate per la società post-sviluppata, che porterebbero ad immaginare una società della “decrescita”, hanno la caratteristica di essere operazioni dirigistiche di memoria “comunista”, perché non danno alcuna rilevanza alla volontà di condivisione sociale, che dovrebbe, in definitiva, auto-limitarsi nella propria aspirazione a migliorare la propria condizione di vita o riducendo il livello di “benessere” acquisito o contraendo la dimensione del gruppo sociale e su larga scala quella dell’umanità.

Il testo della Commissione Europea, revisionato nel 2017 e aggiornato nel 2018 sulla “bioeconomia”, usa due termini “sostenibilità” e “circolarità”, che in linea generale definiscono un metodo, ma chi ritiene di interpretare tale documento come la abolizione della PAC nell’Unione Europea, va oltre le intenzioni della Commissione e sicuramente si pone contro la volontà di tutti gli operatori del settore agricolo diretto, indotto, strumentale e di servizio, che sicuramente intende procedere al miglioramento delle produzioni, ma non all’annichilimento del comparto per favorire l’industria alimentare dei surrogati.

Ritorna d’attualità l’affermazione di Charles de Foucault, che riporto integralmente «è appunto il corpo vitale e vivente, il bios, ciò su cui l’economia fa presa e di cui si prende carico. In questo senso, il controllo sociale esercitato attraverso l’economia, nella prospettiva etica dei futuri, significherà salvaguardare i processi scientifici da fenomeni di discriminazione sociale o di coartazione delle volontà individuali»

In tal senso e attualizzando il pensiero di de Foucault, condivido chi sostiene che la correlazione tra mercato ed digitalizzazione potrà rappresentare un rischio altissimo di condizionamento, se non si combatte l’analfabetismo digitale diffusissimo in ogni parte del mondo, se non ci si ferma alla superficie di considerare alfabeta digitale chi sa usare il cellulare o il bancomat.

Le potenzialità del digitale sono enormi e coniugate con l’AI diventano quasi ingovernabili dalla maggior parte dei destinatari utenti, che non entrano nella conoscenza dei processi di elaborazione delle velocissime connessioni algoritmiche, costruite per intercettare milioni di opzioni diverse e formulare innumerevoli risposte alle domande dell’utenza. 

Un antidoto, se così si può dire, alla incontrollabilità del mercato se non da pochissimi attori, che opereranno sempre senza alcun controllo, potrebbe essere rappresentato dalla espansione del metodo dell’economia circolare, che dovrà assumere la fisionomia di un percorso di trasformazione dell’economia in atto, affrancando il processo economico dalle spire dell’intermediazione e favorendo transazioni possibilmente dirette, che potrebbero avere anche dimensioni internazionali con la costituzione di organismi promossi direttamente dagli operatori economici dei settori.

Ovviamente l’economia circolare si declina in tantissimi modi e a tantissimi livelli, iniziando da quello personale e arrivando a quello di dimensioni più rilevanti; quello che più interessa sarà il cambiamento di rapporto interpersonale e la modifica del pensiero attualmente dominante del raggiungimento del successo attraverso l’accumulo della ricchezza, come fine ultimo e assoluto, prescindendo dalla ricerca della soddisfazione personale ideale più che materiale.

L’”economia circolare” integra di fatto i processi economici e crea un equilibrio tra tutte le componenti della produzione e del consumo, che si risolve a vantaggio di tutti.

Inoltre, diventa prioritario mettere al centro il “bio” dell’economia e non più il potere dell’accumulo della ricchezza, perché le parti operative sono concorrenti e ricercano entrambe la soluzione soddisfacente per entrambi; quindi, si potrebbe realizzare uno stato di “sintropia”, che rappresenterebbe l’equilibrio del sistema ad ogni livello.

Se l’insieme delle controparti realizza una “sintropia”, ciascuna parte lavorerebbe in regime di “entropia” e questo rappresenterebbe la spinta costante a ricercare le condizioni migliori e quindi un più alto livello di evoluzione.

Per concludere questa breve riflessione sarebbe necessario che i protocolli di Torino, di Berlino, dell’unione Europea e delle altre Istituzioni internazionali, comunitarie e nazionali, adottassero provvedimenti significativi per trasformare l’attuale “globalizzazione senza regole” del cui fallimento siamo tutti consapevoli, tranne gli accumulatori seriali di ricchezza, in strumenti legislativi operativi, con il coinvolgimento di tutte le categorie economiche, produttive, professionali e sindacali, per realizzare una trasformazione virtuosa dell’economia (Bioeconomia) e realizzare quell’equilibrio di sistema di fruizione delle risorse nel rispetto del Creato, secondo la “Laudato sì”.

Vitaliano Gemelli

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