C è un tempo per nascere e un tempo per morire. È la regola scolpita nell’Ecclesiaste. Una legge senza deroghe a cui nessuno può sottrarsi, anche se ti chiami Silvio Berlusconi e hai segnato la vita pubblica di un intero Paese. Anche se hai accumulato straordinarie ricchezze, hai forgiato l’immaginario collettivo attraverso le tue televisioni, hai rivoluzionato la politica italiana, hai frequentato i potenti del Mondo, hai spaccato inesorabilmente l’opinione pubblica in due fazioni, hai dato grave scandalo in pubblico e in privato, sei stato amato e sei stato odiato, hai frequentato da imputato le aule di tribunale e ne sei uscito assolto e condannato, hai lasciato il segno nel calcio italiano, ti sei fatto concavo e convesso, hai frequentato e blandito l’alto e non hai mai disdegnato il basso, hai vestito i panni del principe mecenate e non ti sei sottratto ai bagni di folla da popolano fra i popolani.
Ecco perché viene facile e al tempo stesso difficile scrivere di Silvio Berlusconi e della sua vita spericolata. Una vita da «arcitaliano», proprio per questa sua innata vocazione a rappresentare difetti e pregi degli italiani. Per non parlare della sua discutibile «antropologia», volta a magnificare il successo, la ricchezza, il potere e il consumo sessuale. Un modello che sinceramente, da cittadini e da credenti, non possiamo apprezzare.
Con l’uscita di scena di Silvio Berlusconi e la consegna della sua figura agli studiosi che certamente gli dedicheranno pagine importanti, si chiude oggettivamente l’Italia del Novecento. Lui era nato sotto il Fascismo, era cresciuto sotto
il segno della Democrazia Cristiana, era diventato imprenditore negli Anni del pentapartito, era l’amico del cuore di Bettino Craxi. Con il crollo della Dc e del Psi inventò letteralmente dal nulla il bipolarismo all’italiana, sdoganando la destra e legittimandola a governare. Ha occupato la scena politica per trent’anni, con un’invidiabile longevità. Ma quello era il Novecento dell’anticomunismo liberale, a fronte dell’antifascismo militante. Un pezzo di storia politica irripetibile proprio per il suo carico ideologico e la reciproca dichiarata avversione che hanno segnato il nostro
bipolarismo nascente, privandolo del suo aspetto decisivo per radicarsi nel futuro, ovvero la reciproca legittimazione. Ed è questo il vulnus che si presenta ancora dinanzi a noi e che neppure Berlusconi, pur con la sua innata bonomia, è riuscito a sanare.
Per uscire dal Novecento e per non aggrapparsi al passato che ti risucchia nelle peggiori pratiche di ieri, tocca oggi a due donne speciali come Giorgia Meloni ed Elly Schlein fare la scelta giusta e proiettarci definitivamente nel nuovo secolo politico. Con le sue contraddizioni e con le sue sfide epocali. Di sicuro Berlusconi lascia un chiaro testamento
politico che nasce anche dalla sua coerente militanza nel Partito popolare europeo: senza i moderati è difficile governare con equilibrio, tanto a destra quanto a sinistra. Questa consapevolezza dovrebbe far riflettere tutte le
forze in campo che spesso si fanno incantare dalle sirene del radicalismo, malattia infantile delle democrazie.
L’importanza dei moderati è tutta lì, nella garanzia della ricerca del rispetto dell’avversario e nella capacità di tenere
compatta la coalizione in cui si milita. Con la morte di Berlusconi è difficile che sopravviva, un giorno di più,
l’antiberlusconismo militante che ha fatto da collante per la sinistra. Anche questa è una pagina di storia politico-giudiziaria che si chiude per l’uscita di scena del protagonista assoluto con il suo peccato-reato: il conflitto
d’interesse. Ai suoi irriducibili avversari il compito di ridefinirsi fuori e aldilà dell’antiberlusconismo, ai suoi alleati la
responsabilità di preservare lo spirito di una coalizione moderata, liberale e conservatrice. A ciascuno di noi la memoria di uno spezzone di questi trent’anni di politica pop che Berlusconi ha costruito giorno dopo giorno, quasi come una delle sue amate soap opera.
Domenico Delle Foglie
Pubblicato su Toscana Oggi