Il giorno dopo i solenni funerali di stato, cui non ha fatto mancare la sua presenza, morigerata e discreta, il Presidente Mattarella, la vita della nazione riprende ordinariamente il proprio corso, così come è successo in passato dopo la scomparsa di grandi imprenditori come Olivetti o Mattei, industriali che hanno lasciato il segno come Ferrari o Agnelli, politici come Moro, Berlinguer o Tatarella.
Ma si riparte, superata qualche polemica sul carattere formale dei Funerali di Stato con proclamazione del lutto nazionale, spettanti di norma ad un ex monarca o capo di Stato, alla luce di qualche perplessità sia sul futuro di Forza Italia (ed in un certo senso, poi, sulla stabilità governativa), il partito-azienda eretto a baluardo anticomunista, sia sulle sorti della primaria azienda televisiva, commerciale, Mediaset.
Ciò premesso, desidero esimermi dal giudizio politico, anche per “amor di Patria”, sull’uomo – così definito semplicemente e religiosamente dall’arcivescovo di Milano – più simpatico tra i tanti grigi personaggi della politica, esuberante ed anche innovativo – ricordo nel mio libro, romanzo documentale, “Una vita nel Palazzo”, l’episodio in cui si presentò, prima volta in assoluto, nel Palazzo (Madama), il 28 aprile 1994, ed all’uscita dopo il colloquio con il Presidente del Senato (per concordare la data della seduta pubblica per la votazione della Fiducia), si fermò a scambiare brevi frasi con alcuni passanti, rompendo un consolidato protocollo per cui il Presidente in pectore non si concedeva alla stampa, né tantomeno alla gente comune.
Mi piace ora sottolineare come, con ogni probabilità, neanche il “Cavaliere d’Italia” sarebbe riuscito a pre-organizzare le proprie esequie in maniera più bella e fastosa, in cui ad una serie di tributi popolari (in particolare i tifosi milanisti) hanno fatto da contraltare quelli istituzionali, nazionali ed internazionali, direi inimmaginabili per un comune mortale, suscitando forse qualche imbarazzo per Mattarella, cattolico osservante, di fronte a tali e tanti, prolungati applausi nel Duomo ambrosiano, casa di nostro Signore.
Coerentemente, dunque, con la mia astensione dall’esprimere un giudizio di merito (preferibile delegare gli storiografi o i politologi, con la speranza/auspicio che non saranno faziosi), espongo di seguito un elenco di definizioni percepite durante la “48 ore” dedicata al personaggio in questione, il quale è stato obiettivamente il politico della cosiddetta II Repubblica che ha maggiormente unito e diviso, nel contempo, il popolo italiano: ottimista, appassionato per la politica, il lavoro, il calcio e la comunicazione (oltre alle belle donne, possibilmente giovani), genio intuitivo, energico, caparbio, fantasioso artistoide, generoso (lascia 5 figli, tre mogli/”quasi mogli”, più 45.000 dipendenti delle sue aziende), dongiovanni incallito (talvolta eccessivo nei modi), accattivante nel sorriso e molto socievole nel porgersi agli altri, milanese di razza specialmente nella voglia di fare e nell’orgoglio meneghino, egocentrico protagonista, moderatamente maschilista, trascinatore carismatico, ex socialista, poi convinto liberal-democratico – soltanto lo sciocco non cambia mai idea politicamente …
E dalla Puglia che egli amava, quasi quanto la Sardegna, è tutto. Ai posteri l’ardua sentenza!
Michele Marino