Percepito come un’occasione di dialogo tra i potenti della Terra, e quindi come un’occasione di grande valore politico in un momento assai cupo del sistema internazionale; partito con grandi ambizioni e accompagnato da ancora più grandi speranze,  il summit dell’APEC (Asia Pacific Economic Cooperation) tenutosi a San Francisco a metà novembre ha avuto il suo più forte momento di suspence alla conclusione della conversazione riservata, durata quattro ore, tra Xi Jinping e Jo Biden, i Presidenti delle due maggiorie economie del mondo.

A questo  tête-à-tête ha fatto seguito un incontro molto più  glamourous – ma non per questo meno importante, dal punto di vista politico – tra il leader cinese ed il Gotha dell’imprenditoria americana, tra cui spiccava l’uomo più ricco del mondo Elon Musk (che è ormai anche il più enigmatico personaggio pubblico degli Stati Uniti).

A fianco a lui, tra molti e illustri altri, quello che stava per diventare l’uomo del giorno: Sam Altman, iI Capitano d’Industria – come si sarebbe detto un tempo – cui nessuno potrà mai togliere il trionfo di aver messo alla portata del mondo intero nientemeno che l’AI, l’Intelligenza Artificiale. Cui, per motivi che restano tutti da scoprire, un oscuro Board ha voluto – come accade spesso a scapito delle persone veramente superiori – togliere la leadership della sua straordinaria creatura, la società OpenAI. E quindi del suo popolarissimo chatbot, quel ChatGPT che, nei brevi mesi tra il suo lancio, nel Novembre 2022, e il Maggio 2023 è giunto a sfiorare i due miliardi di visite mensili, prima che queste incominciassero a declinare.

Alla questione dell’Intelligenza Artificiale sembrava assai probabile – ancora alla vigilia del summit dell’APEC – che grande attenzione sarebbe stata prestata dai  Presidenti delle due massime potenze mondiali, per le quali attualmente si teme possano scivolare su percorsi conflittuali. E che avrebbero annunciato la rinuncia a dotare di capacità AI le cosiddette “armi autonome”, cioè i droni, nonché i sistemi di dispiegamento e di controllo delle armi nucleari.

Dalla delusione alla riflessione

Si trattava di un’aspettativa legittima, anche perché, già a Febbraio 2023 Washington ha emesso una Political Declaration on the Responsible Military Use of Artificial Intelligence and Autonomy, una sorta di appello per un accordo globale sui limiti allo sviluppo delle potenzialità militari della AI. Un atto con cui, di fatto, gli Stati più potenti del pianeta tendono ancora una volta a disciplinare se stessi e la loro hubris di potenza militare e politica. A scapito però, dei progressi che potrebbe fare la società civile, scientifica ed imprenditoriale, qualora le nuove tecnologie non venissero guardate con sospetto, limitate nelle loro applicazioni, o riservate a pochi grandi gruppi privilegiati dalla loro vicinanza col potere.

AI summit di San Francisco – è inutile nasconderlo – si è giunti invece a risultati che sarebbe indubbiamente errato considerare come del tutto deludenti e trascurabili, ma che risultano  abbastanza inferiori alle aspettative da imporre una seria riflessione. Di fatto, solo due accordi, entrambi fortemente voluti da Washington, sembrano aver preso forma concreta: da un lato la ripresa della collaborazione tra gli organismi militari (di USA e Cina) che cercano di evitare gli incidenti che possono derivare dal grande traffico di navi e di aerei nei punti più caldi del pianeta; e dall’altro un maggior controllo, da parte cinese della produzione e del commercio di sostanze chimiche (i cosiddetti oppiacei) che – spacciate dalla malavita internazionale nella caotica società americana – provocano ogni anno qualche centinaio di migliaia di morti.

Non può essere, questo, considerato un risultato proporzionato ad un’occasione diplomatica del più alto livello. Specie se si considera che –  a questo incontro – Xi Jinping, l’ospite della città californiana che conta una delle più numerose, ricche ed integrate comunità cinesi all’estero,  si è presentato con un’offerta di collaborazione pacifica e addirittura amichevole, volutamente in forte contrasto con il tragico scenario di guerra e di rivalità strategiche che domina oggi il quadro internazionale. Un atteggiamento che egli ha voluto mantenere durante tutta la durata dell’evento, persino – nella misura del possibile – dopo che una delle tante gaffes (se le si vogliono chiamare così) dell’attuale inquilino della Casa Bianca è venuta a turbare assai gravemente l’atmosfera che aveva prevalso durante il Summit.

“Stamattina, ha infatti detto Xi Jinping una volta concluso l’incontro bilaterale, “il Presidente Biden ed io abbiamo concordato di promuovere il dialogo e la cooperazione, in uno spirito di mutuo rispetto, in campi che includono la diplomazia, l’economia e gli scambi tanto commerciali quanto tra le persone,  l’istruzione, la scienza e la tecnologia, l’agricoltura, le forze armate, l’applicazione del diritto, e (tema nuovo ed esplosivo, questo, N.d.R.) l’intelligenza artificiale. E abbiamo convenuto di rendere ancora più lunga questa lista, e più sostanziosa la torta della cooperazione.” Vaste programme !, avrebbe ironicamente detto un celebre uomo di Stato del secolo scorso. Ed uno dei pochi capace di essere anche spiritoso.

Gestire la competizione

A questa più che ottimistica lista di temi sui quali si deciso di promuovere un  “dialogo” per il quale si è persa l’occasione, e che rimane quindi futuro, Biden ha risposto con un approccio assai diverso, e volutamente più realistico: un’arringa a favore di una migliore gestione della competizione tra potenze che rimangono comunque rivali.

Anche Xi ha tenuto su temi precisi, posizioni assai ferme per Biden, in particolare sul tema di Taiwan. Secondo un comunicato del ministero degli Esteri cinese., gli Stati Uniti dovrebbero… smettere di armare Taiwan e sostenere la riunificazione pacifica della Cina”, ha detto Xi a Biden, “La Cina realizzerà la riunificazione, e questo è inarrestabile”.

Dopo la conclusione del lungo incontro bilaterale, egli ha infatti aggiunto, come per mettere i puntini sulle i : “gli Stati Uniti sono una potenza del Pacifico, e su questo tema ho avuto una breve discussione con il presidente Xi. Egli mi ha chiesto perché noi siamo tanto impegnati” in quella regione del mondo. Ed io “gli ho ricordato che è proprio grazie al fatto noi siamo  presenti se in quella regione ci sono state la pace e sicurezza che hanno consentito [alla Cina] di svilupparsi.”  Xi Jinping, sempre secondo Biden “non si e dichiarato in disaccordo. E a  questo proposito va detto che si è trattato di un incontro eccellente e molto  sincero.”

La valutazione che lo stesso Presidente americano – e forse futuro candidato alla rielezione- ha dato della lunga conversazione tête-à-tête è stato insomma positivo. Perché a suo giudizio i due leader “hanno trovato un modo per gestire in maniera razionale la loro relazione bilaterale”. Almeno fino a quando, rispondendo in maniera poco intelligente ad una domanda provocatoria, non ha definito “un dittatore” il suo interlocutore del dialogo “very good and straightforward” cui aveva appena dedicato ben quattro ore del proprio tempo. Un insulto gratuito, “brutal and undiplomatic”. Ed un errore poco meno grave di quello commesso in Polonia, quando si lasciò andare ad affermare che “Putin non può restare al potere.”

Open for business

Al di là dei problemi così sorti nel quadro bilaterale,  il presidente cinese ha comunque dimostrato un grande ottimismo ed una grande disponibilità alla collaborazione internazionale;  il che era indefinitiva prevedibile data la congiuntura attualmente attraversata dall’economia cinese.

Non a caso, Xi Jinping ha infatti vivacemente sottolineato l’importanza di un rinnovato impegno da parte dei paesi APEC  alla cooperazione e all’apertura reciproca. Ha addirittura chiesto a tutti i membri dell’organizzazione di “cercare collettivamente una risposta alle sfide globali, ed a promuovere uno sviluppo comune ed interdipendente, per favorire il benessere dell’intera umanità.” E li ha ovviamente invitati a partecipare  ed investire ancora nello sforzo nella Cina per svilupparsi e modernizzarsi.

A sentire il Presidente cinese, fiumi di miele sarebbero insomma sgorgati durante le Quattro ore trascorse dai due leaders in tete-à-tete, prima che essi scendessero in giardino a stringersi la mano. E ad annunciare che la Cina d’ora in poi controllerà severamente la produzione degli ingredienti necessari per produrre il fentanyl, una droga che sarebbe – lei e non i drogati che ne fanno uso negli Stati Uniti – responsabile di una mortale “epidemia” da abuso di oppiacei.

Ma, almeno a giudizio degli osservatori americani ed occidentali in generale, l’aspirazione evidente della maggioranza tra i paesi che hanno partecipato al summit dell’APEC a San Francisco  era piuttosto quella ottenere migliori condizioni di accesso al mercato americano e a possibili accordi commerciali.  Questa aspirazione si è però scontrata con l’obiettivo che Biden ha invece dimostrato di ritenere assolutamente prioritario per il proprio paese:, quello di un rilancio e di una protezione  dell’industria statunitense, e soprattutto del reshoring  delle produzioni tecnologicamente più avanzate.

Dove invece le proposte di Xi Jinping  hanno trovato accoglienza estremamente favorevole  è stato presso la piccola folla di Chief Executive Officers che rappresentavano le grandi imprese americane. Questi – che per ascoltare il Presidente cinese in viva voce avevano acquistato un biglietto che costava 2000 dollari – hanno molto  apprezzato la sua dichiarazione secondo la quale la Cina,  superati questi anni di crisi,  è nuovo open for business; e che,  nei prossimi mesi, i loro investimenti saranno accolti molto calorosamente.

Cina amichevole e disponibile, persino umile, dunque? E in contrapposizione ad un’America in cui la Società rimane come sempre amichevole ed attenta a tutto quel che il mondo esterno può offrire, mentre lo Stato appare chiuso e minaccioso  come le dita di un pugno? E  pronto a considerare una dittatura qualsiasi società che non si ispiri e applauda al suo modello polittico? E’ questo il quadro emerso dal deludente summit di San Francisco? In parte, e soprattutto per quel che riguarda Biden personalmente, più che non la diplomazia degli Stati Uniti.

Dal Pacifico al mondo intero

A guardare con occhio obiettivo l’immagine più eclatante e politicamente più rilevante che, in occasione del Summit dell’APEC a San Francisco, Xi Jinping ha cercato di proiettare – e che in una certa misura è riuscito a far accettare alla controparte Americana – è infatti facile rilevare   un ambizioso obiettivo politico abilmente confezionato in poche parole che sembrano una ovvietà  e al tempo stesso una proposta di pace.

Si tratta di una “frase fatta”, quasi uno slogan” che il Presidente cinese non aveva mai speso, in precedenza con Joseph Biden, che pure egli aveva incontrato di persona ancora un anno fa, a Bali nel novembre 2022, prima che le relazioni si inasprissero al punto che nel febbraio di quest’anno Stati Uniti hanno senza tanti riguardi abbattuto un presunto pallone-spia cinese.

Ma si tratta di un “quasi slogan” di una frase fatta che era già circolata in occasione di precedenti meeting con i Presidenti Barack Obama e Donald J. Trump, tanto da poter essere considerata quasi uno dei pochi punti fermi nella definizione del rapporto tra i due paesi. Una ovvietà che conteneva  un messaggio che non poteva essere interpretato che come un invito alla convivenza tra le due maggiori potenze del mondo contemporaneo. Quel che Xi aveva detto era infatti che “l’Oceano Pacifico è abbastanza grande da poter ospitare entrambi i Paesi”, e – sottinteso – le loro aspirazioni internazionali

A San Francisco, all’incontro del 15 Novembre 2023, in questo slogan, il Presidente cinese ha modificato un piccolo dettaglio. Ad essere “abbastanza grande per ospitare entrambi i Paesi” non è più l’Oceano  Pacifico, ma “la Terra”. Appena una sfumatura, in apparenza. Ma una sfumatura che può facilmente spingere qualche osservatore veramente attento a dire che egli ha voluto porre le relazioni tra Stati Uniti e Cina in una prospettiva non più regionale, relativa all’Indo-Pacifico, bensì in una prospettiva planetaria. Ha cioè voluto far intendere – e neanche tanto implicitamente – che Repubblica Popolare Cinese ha raggiunto ormai una statura politica internazionale diversa da quella del passato, anche recente. Una statura se non proprio pari a quella degli Stati Uniti d’America, almeno dello stesso ordine di grandezza.

Xi Jinping ha presentato – va precisato – questo importante punto con un atteggiamento tutt’altro che aggressivo. Anzi, la ha accompagnata facendo mostra di spirito collaborativo  e con l’asserita disponibilità  alla stipula, con Washington, di un gran numero di accordi volti a rendere concreta non solo una convivenza pacifica, ma addirittura una collaborazione. Con l’obiettivo, ha detto ancora Xi, di stabilizzare le relazioni dopo un periodo di turbolenza. E di farlo in modo permanente e costruttivo, al punto che d’ora in ogni successo di una delle due parti non sarà una sconfitta pe l’altra, bensì un’occasione.

Ma la rivendicazione di status è evidente. Ed essa non sembra aver impedito che i vertici della società USA, o almeno una non trascurabile parte di questi, forse anch’essi stanchi dell’interminabile, e crescente clima di guerra, accogliessero con favore la mano così abilmente tesa da Xi Jinping, testimone nostro contemporaneo di un’arte cinese del governo e della diplomazia che risale assai lontano nei secoli.

Giuseppe Sacco

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