Con la visita del premier inglese Johnson a Stoccolma e ad Helsinki, l’ atteggiamento particolarmente acceso e bellicoso del Regno Unito a favore di Kiev nella guerra contro la Russia sembra infine aver trovato ieri, mercoledì 11 maggio 2022, una prima applicazione concreta.
“Nel bel mezzo del dibattito sull’adesione alla Nato” – per dirlo con le parole della BBC – l’ex giornalista che aveva già profittato, per fare una rapida carriera politica, dell’incauto referendum con cui l’allora Primo Ministro, David Cameron, aveva creduto di sbarazzare una volta per tutte la Gran Bretagna del partito della Brexit, ha nuovamente colto a volo un’occasione per proiettarsi come un personaggio politico di rilievo, questa volta sulla scena internazionale.
Con una missione di un solo giorno nei due paesi dell’estremo nord, che ha portato alla firma di due patti bilaterali di reciproca assistenza militare, Johnson ha infatti condotto a pieno compimento quella “Drang nach Osten” (Spinta verso l’Est, nde) della NATO che, secondo molti osservatori – e soprattutto secondo Mosca – sarebbe all’origine dell’incauto attacco della Russia all’Ucraina, il 24 febbraio 2022.
Riflesso de “l’estrema difficoltà dei tempi in cui ci troviamo”, e reso “ancora più importante” dall’invasione russa dell’Ucraina, queste due nuove alleanze militari “non sarebbero perciò uno “stop gap” ( ripiego, nde) a breve termine”, ma piuttosto una “garanzia duratura tra due nazioni”. E soprattutto si tratta di una “passerella” per assicurare immediatamente l’automatica garanzia dell’intervento NATO ad immediato contatto con la Russia lungo 1309 kilometri di confine.
Fantasmi del passato e del futuro
Dell’atteggiamento antirusso della Gran Bretagna, considerato da studiosi e storici come una vera e propria “russofobia”, si è parlato spesso in questi ultimi tragici mesi, ma non si è detto molto sulle sue ragioni. Pochi, tra gli “esperti” – spesso del tutto improvvisati – interrogati a questo proposito dai media italiani, tanto i quotidiani quanto i canali televisivi, sono a conoscenza del fatto che esso risale al “grande gioco”: alla rivalità in Asia tra l’Impero britannico che si espandeva dall’India verso nord e quello russo che si espandeva dagli Urali verso est.
Si tratta un un’origine che – rievocata oggi – non poteva non sollevare molte ironie. In particolare, su una sorta di “disorientamento temporale” del Regno Unito; sulla ormai settantennale incapacità dei britannici d’immaginare un nuovo ruolo per il proprio paese, una volta scomparso quello coloniale in Asia ed Africa.
Ma si tratta anche di un’origine che mette in luce come si aggiri, nel Regno Unito, nei circoli conservatori, uno strano fantasma; lo stesso che qualche mese fa ha portato, in funzione anticinese, alla creazione dell’AUKUS del Pacifico. Il fantasma di un futuro in cui, dopo la “fine della pace” – ampiamente documentata nel penultimo numero di Limes, la fondamentale rivista geopolitica diretta da Lucio Caracciolo – dopo le future guerre che dovrebbero portare e l’abbattimento (piuttosto ipotetico) dell’assai ingombrante potenza cinese, si aprirebbe una nuova era di dominio mondiale e coloniale di parte anglosassone. Ovviamente, con l’Inghilterra nel ruolo di junior partner degli Stati Uniti.
Allo stato attuale, tuttavia, con il caso dei due trattati di mutua assistenza militare firmati ieri, lo scopo è più immediato ed evidente. Si è ottenuto non solo di fare del Mar Baltico un lago della Nato, ma anche di mandare un serio segnale a Mosca. E’ diventato, in altri termini, estremamente chiaro e netto che il rigido automatismo per il quale un minimo incidente militare tra Russia e un paese NATO implica l’inizio della Terza Guerra Mondiale, si applicherà – a partire da oggi – non solo tra qualsiasi paese e i 30 membri dell’Alleanza Atlantica, ma anche tra i due paesi nordici e il resto del mondo.
L’attivismo internazionale di Johnson ha dunque prodotto, ieri un risultato assai concreto. E ciò spicca fortemente sullo sfondo della irrilevanza che ha sinora caratterizzato l’azione di Londra nei primi tre mesi del conflitto. Sino a ieri, infatti tutto “l’abbaiare alla Russia” – come ha detto nientemeno che il Papa – si poteva spiegare con ragioni assai meno grandiose.
Distrarre da festini e scandali
Sino all’operazione di ieri, di cui sarà interessante vedere le conseguenze, l’attivismo filo-ucraino e anti russo si spiegava con ragioni assai più meschine, cioè soprattutto con ragioni di politica interna. E’ stato perché messo in imbarazzo dal “Partygate”, lo scandalo dei festini di Downing Street durante il “black out”, che Johnson ha moltiplicato l’attivismo internazionale.
Per aver partecipato ad un festino a Downing Street – festino di cui forse era l’organizzatore, dato che questa aveva avuto luogo nella sua residenza – nel pieno del confinamento finalizzato a combattere il Covid-19, Johnson si era già dovuto scusare pubblicamente e “senza riserve” in un discorso alla Camera dei comuni il 19 aprile scorso. E vi era stato costretto anche perché la sua situazione, si era aggravata nel mese precedente per i dubbi sorti a proposito del suo rapporto con un oligarca russo, Evgeny Lebedev,
Questi, che ha solo 33 anni, ed è proprietario del quotidiano The Independent e del tabloid dalla sera Evening Standard, è riuscito ad affermarsi laddove aveva fallito lo stesso Robert Maxwell. E’ cioè riuscito ad essere accettato dalla estremamente chiusa elite britannica, e a cambiare classe sociale rispetto a quella del padre Alexander, ex agente del KGB, tanto da essere nominato membro della camera dei Lord. Per favorire questa nomina, Boris Johnson– secondo il Sunday Times – sarebbe infatti intervenuto affinché la commissione che esamina le domande di nomina alla Camera alta non tenesse conto dell’opinione espressa dai Servizi segreti MI5 ed MI6 sulla “minaccia” che il giovane Lebedev costituirebbe “per la sicurezza nazionale”.
Alla fine di marzo, autorevoli fonti francesi avevano inoltre spiegato come il rumoroso sostegno del Primo Ministro britannico all’Ucraina fosse finalizzato ad almeno parzialmente distrarre l’opinione pubblica inglese dall’ interminabile scandalo del “Partygate”. Neanche ciò che era avvenuto qualche settimana prima, il 24 febbraio, cioè l’attacco russo all’Ucraina aveva infatti posto fine alla difficile situazione Johnson. E nonostante l’attenzione dei media fosse largamente occupata dalla pandemia, ogni giorno comparivano rivelazioni che talora lo mettevano in ridicolo a proposito dei festini
Le stesse fonti, il 4 maggio 2022, spiegavano come la visita a sorpresa effettuata in Ucraina sabato 9 aprile fosse stata improvvista, perché in quel momento lo scandalo era diventato un argomento troppo popolare.
Il diversivo ha avuto l’effetto scontato, ha scritto l’autorevole quotidiano francese Figaro, dato che il giorno dopo una foto del Primo Ministro britannico, che ostentava un completo ed una cravatta blu (colore del partito conservatore) a fianco del presidente ucraino era sulla prima pagina di tutti i giornali. Anche giornali progressisti, come l’Observer, avevano dedicato l’articolo di apertura alla visita a sorpresa nella capitale ucraina; così come l’arci-conservatore Telegraph, che sottolineava come il premier britannico fosse arrivato in treno, provenendo dalla Polonia, sino a quella che nei giorni precedenti era stata descritta come la linea del fronte. Pochi facevano notare quanto questa improvvisa manifestazione di coraggio fosse favorita dal fatto che le truppe russe si erano nei giorni precedenti ritirate dalla capitale ucraina.
Analogamente, alla vigilia di elezioni locali molto difficili per i conservatori, Johnson è stato il primo dirigente occidentale a fare un discorso al Parlamento ucraino. Mancavano solo due giorni alla tornata elettorale di giovedì 5 maggio, destinate ad essere per Johnson un importante test di popolarità. Ma che si sono tradotte in una solenne sconfitta; ed hanno fortemente accresciuto il valore, ai fini della fragile stabilità politica a Londra di un successo, ai danni di Mosca, sul fronte più settentrionale di un conflitto generalizzato la cui probabilità sembra proiettarsi sempre più nel futuro.
Giuseppe Sacco