E’ giusto che un augurio di buon Natale lo si rivolga anche ai “no-vax”, in nome della serenità che rappresenta quel tratto distintivo della Natività, in cui tutti, indistintamente, ci riconosciamo. In fondo, sull’uno e sull’altro fronte dei vaccini, siamo tutti accomunati da una condizione di timore e di allarme. Come se un rumore di fondo fastidioso ed
incessante, ora più acuto, a tratti più sordo, mai del tutto silente, s’interponesse tra noi e la percezione che abbiamo della nostra stessa vita.
Del resto, il fenomeno “no-vax” non va sottovalutato. Anche chi non condivide nulla, proprio nulla delle sue posizioni, anzi si colloca ai loro antipodi, non può non prendere atto che il fenomeno, come tale, esiste. Non si può confinarlo nell’ invettiva o nella derisione, né fingere di non vederlo, ragionando sul presupposto di un’adesione aprioristica ed “ideologica” al pensiero prevalente. S’impone, quindi, una riflessione tutt’altro che banale. Considerando le cose con la necessaria freddezza, perché sorprenderci se, a fronte dell’irrompere di una condizione talmente inedita, s’affermano opinioni divergenti ed antitetiche, finché addirittura si strutturano fronti militanti contrapposti? Non ci vantiamo, forse, ad ogni piè sospinto, di vivere in una società aperta e disincantata, articolata, polimorfa e plurale?
Senza concedere nulla ai “no-vax”, siamo certi che sarebbe stato meglio ritrovarci in un contesto talmente addomesticato da sovra-ordinati processi di omologazione al pensiero ufficiale, da far sì che tutti la pensassimo esattamente allo stesso modo? Ne avremmo ricavato l’impressione di una straordinaria uniformità armoniosa o piuttosto il sospetto di esserci adagiati in una palude ipo-critica? Per quanto sia francamente del tutto fuori luogo, un rifiuto così radicale del vaccino segnala un’attitudine, una china che, al di là del contenuto di merito, tradisce come vi sia, in strati profondi della coscienza collettiva, una faglia dissonante che, forse, neppure avremmo sospettato, se lo choc della pandemia non l’avesse portata tanto violentemente in superficie. E’ soprattutto su questa condizione, piuttosto che sull’occasionalità della questione vaccinale che ce l’ha rivelata, che dovremmo appuntare la nostra attenzione. Cercando di inquadrare l’argomento in una prima e provvisoria cornice, fatta di domande elementari. Le risposte verranno poi.
Perché in una stagione di fulgore della scienza, c’è – e da parte di persone tutt’altro che sprovvedute – tanto scetticismo, anzi sospetto e perfino timore nei confronti di alcune frontiere, anche le più avanzare, le più sofisticate, della ricerca? Ha a che vedere solo con aspetti relativi ad una comunicazione inappropriata? Oppure c’è di più?
Perché trovano tanto facile consenso, per quanto contorte e cervellotiche, le variopinte “teorie del complotto”?
Perché le tesi “no-vax” sono sostenute con una convinzione spesso talmente incrollabile da essere impenetrabile, non dico da ogni argomentazione, ma perfino dall’evidenza dei fatti, fino ad essere attestate con rabbia e, se appena contrastate, anche con intonazioni aggressive? E ancora, per limitarci a queste considerazioni embrionali, da dove scaturisce questo incontenibile timore che il vaccino invada e pervada, verrebbe da dire, la “persona” come tale, ad esempio alterando lo stesso genoma, non solo la sua corporeità? Come se fossimo assediati da una minaccia invisibile, ma pur sempre in agguato, pronta ad avvolgerci in una dimensione imponderabile, che si sottrae ad ogni nostro possibile controllo.
Per quanto i “no-vax” siano una galassia di presunte argomentazioni e di emozioni che vi si avvitano, deve pur esserci un comune riferimento di fondo che dia ragione del “movimento” che, tanto o poco, unitariamente cercano di mettere in campo. Si può azzardare – camminando sul filo del paradosso e dell’ossimoro o addirittura cadendoci dentro – che esprimano una sorta di ragionevole irrazionalità?
“Irrazionalità” perché molte loro posizioni, tali sono ed anzi sfiorano un profilo che sembra avvicinarsi, talvolta, ad una qualche forma di delirio paranoide. Eppure, in un certo senso, “ragionevole”, nella misura in cui, a suo modo, pur ricorrendo ad una logica difforme da quella di cui facciamo quotidianamente un uso comune, risponde ad una istanza che precede, se così si può dire, le ragioni della ragione e risponde, piuttosto, alla nostra invincibile tensione a ricercare, ad ogni costo, un senso compiuto nell’ordine degli eventi. A costo, se non lo si rintraccia altrimenti, di costruirselo ad arte, sia pure nelle forme distociche del “complotto”.
Domenico Galbiati