Eccoli là. Uno tira da una parte, l’altro dall’altra. Matteo Renzi prende d’aceto, e sostiene che il tracollo grillino alle europee, con annessa boccata d’aria per il Pd, sia merito del suo pop-corn. Mica si vorrà pensare che Zingaretti ne ha imbroccata una, vero?
Carlo Calenda incassa centocinquantamila preferenze – complice la sua posizione privilegiata in lista ed un accordo con il nocciolo duro del Pd – e subito spiega: sono uno di loro, ma loro sono loro ed io sono io. Mica si crederanno che io rimanga a far da spalla? Anzi, rilancio subito e ti dico che non escludo di fare un soggetto politico (leggi: partito) centrista alla Macron. Con tanto di apertura ai ceti medi produttivi, come se fossimo ancora ai tempi di Blair, e ai cattolici democratici, come se fossimo ancora ai tempi di Prodi.
Lasciamo perdere i cattolici democratici del centrosinistra: sono talmente pochi che alla fine non danno fastidio a nessuno.

Quello che stupisce è l’incapacità di un ceto politico giovane e consunto di ragionare con i tempi della politica, che sono invece antichi e sempre validi. Come stupisce l’incapacità della sinistra di uscire dal suo caos – talvolta calmo, oggi caotico – attraverso un vero esame di coscienza. Un’autocritica che parta dalla lettura di un libro, pubblicato nel 2005, ampiamente discusso e subito messo sotto il tappeto, insieme alla polvere. Lo scrisse Luca Ricolfi. Si intitolava “Perché siamo antipatici”.

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