Un grande scrittore, Primo Levi, chiede “ Se non ora, quando?”. Il titolo di uno dei suoi libri più belli si completa con un “ Se non così, come?”.
E’ importante ricordare che si tratta del racconto su ex prigionieri ebrei polacchi che, contrariamente al lasciarsi andare di molti correligionari portati al macero senza colpo ferire, decidono di mettersi in armi per combattere i nazisti e, così, porsi in difesa della propria dignità di esseri umani.
Il ricordo di una domanda, da cui si sviluppa una bella e arricchente lettura, rimanda alla riflessione sull’assenza dei cattolici dalla vita politica in Italia, per quanto iperbolico ciò possa apparire.
Quella della relazione dei cristiani con la politica è divenuta parte della più generale “ complessità” della situazione italiana, appena confermata dai risultati delle recenti elezioni europee e di quelle amministrative.
Dalle costanti del passato alle mutabilità. Leggi elettorali. Il leader. L’astensionismo
Dagli equilibri lunghi e costanti, e dalla sostanziale continuità assicurata dalla Prima repubblica, siamo passati ad una fase di discontinuità, secondo i cicli di maggioranze parlamentari e di governo dalla durata media di circa due anni ciascuno.
A dispetto di tutta l’irruenza fideistica con cui ci si è proiettati nel sistema maggioritario, il superamento di quello proporzionale non ha affatto garantito la governabilità e neppure la rappresentanza.
Le alchimie elettorali escogitate negli ultimi 25 anni da rarefatti laboratori di politologia hanno finito per porre il problema della effettiva rappresentatività di quelle istanze culturali, economiche e sociali, fortissime nel Paese, cui non è assicurata una presenza politica parlamentare adeguata.
Il passaggio al sistema maggioritario ha dato corso anche a quella che potrebbe essere definita la “ personalizzazione” della battaglia politica. Si è finito per accettare l’esasperazione del concetto della leadership di partiti e di coalizioni.
La crescente disaffezione dell’elettorato smentisce, invece, la corsa a cercare “ l’uomo solo al comando” o quello “ della Provvidenza”. Neppure le formazioni presentatesi come nuove ed innovatrici sono riuscite a far riavvicinare alle urne un solo elettore in più.
Le maggioranze coerenti del livello nazionale con quello locale sono state sostituite dalla “ geometria variabile”. Prima, con il sostegno dato da Il Popolo delle libertà agli esecutivi Monti e Letta, mentre il partito di Silvio Berlusconi restava unito alla Lega nelle amministrazioni regionali e locali; poi, il contrario, a seguito della sottoscrizione da parte di Matteo Salvini del Contratto per il Governo del cambiamento con i 5 Stelle.
Nel passato, le “ complessità” della politica italiana si dipanavano sullo sfondo di un quadro internazionale sempre preoccupante, ma dai riferimenti precisi. Le dinamiche europee, che hanno presentato criticità in ogni momento, non erano messe in discussione, anzi. Se non altro, perché in Europa era in corso la costruzione di un’entità economicamente forte e si andava consolidando un’ oasi di pace, dopo secoli e secoli di scontri sanguinosi.
Poi, il rallentamento della globalizzazione ha scatenato nazionalismi e illusioni profuse all’insegna del “ salvarsi” da soli. Comprensibile, ma contraccolpo astorico e non realistico, perché sottovaluta la più lunga cadenza dei fenomeni che incidono e sostengono un’autentica mutazione.
Oggi, la realtà mondiale è trasformata. Il ruolo preminente degli Stati Uniti, comunque impegnato in un durissimo confronto, non solo commerciale, con Russia e Cina, deve essere misurato con la presenza di potenze regionali, le cui mire non sempre sono coincidenti con quelle degli Usa e dei paesi viciniori i quali finiscono per esserne influenzati, ma restando spesso recalcitranti.
Quella che un tempo costituiva contrapposizione soprattutto ideologico e militare è divenuta una serie di sfide che riguardano gli scambi, la scienza e l’evoluzione tecnologica, il controllo delle fonti energetiche, dell’acqua, delle materie prime e del digitale e, persino, l’aggregazione delle persone attraverso la manipolazione dei cosiddetti “ social”.
Noi italiani, intanto, continuiamo a sottovalutare l’influenza che il mondo esterno ha sulle nostre dinamiche domestiche. Errore che potrebbe rivelarsi fatale, mentre i rischi di un conflitto crescono.
La questione specifica della “ complessità” dei cattolici italiani in politica
I fenomeni della politica e le reazioni dell’elettorato denunciano l’esistenza di un più profondo “ disordine esistenziale”che rende ancora più complessa la gestione della cosa pubblica.
Le recenti elezioni europee hanno definitivamente chiuso un’epoca. Anche per quanto riguarda la presenza sul piano politico e legislativo di quanti sono animati dall’ispirazione cristiana. Già una parola chiara era venuta con le elezioni del 4 marzo 2018: l’indifferenza e l’irrilevanza emergono in maniera evidente.
Si è avviato, così, un grande dibattito. Particolarmente vivo in occasione del centenario della nascita del Partito popolare, cui hanno partecipato pure alcune voci del mondo non cattolico.
Molti hanno sottolineato l’esistenza di più questioni che non possono vedere indifferenti i cristiani, a fronte di una situazione sociale, istituzionale, culturale ed etica che richiede un’assunzione di responsabilità collettiva cui sono chiamate le forze più ragionevoli e responsabili del Paese.
Il superamento delle contrapposizioni ideologiche esige, in ogni caso, la riscoperta di quei richiami ideali e progettuali scomparsi dallo scenario politico ed istituzionale.
Dobbiamo ammettere che il dibattito interno al mondo cattolico è stato ed è ancora insufficiente.
Persino banalizzato, per l’insistenza con cui si è finito per incentrarlo attorno all’idea dello strumento, quello del partito, invece che sulla carica innovatrice da portare al servizio di tutti gli italiani. Si è anteposto alla sostanza del ragionamento quello che dovrebbe essere il frutto finale di un processo di riassunzione di doveri pubblici in maniera organizzata.
Si è trattato di una riflessione monca che non vale solo per i cattolici d’Italia. Lo dimostra la recensione di Tino Bino del libretto di Jean Luc Marion, dal titolo “ Breve apologia per un momento cattolico”( CLICCA QUI ) e dedicato ai cristiani in Francia.
Il no all’idea del partito ispirato cristianamente in Italia e oltralpe non tiene conto di ciò che esiste in altri paesi, a partire da Germania e Spagna. Qui sono ancora vive e forti le presenze di organizzazioni popolari e democratico cristiane. Il Ppe è la forza più forte nel Parlamento europeo. Possiamo, allora, chiederci come un concetto astratto si concili con la più ampia realtà delle cose?
La verità è che altrove, a differenza di quanto accaduto in Italia, non si è abbandonato tutto un reticolo di relazioni e di presenze pubbliche, trascurato l’impegno sul piano economico e finanziario, quello concorrente di solidarietà e cooperazione espresso attraverso le casse di risparmio, le camere di commercio, le organizzazioni di categoria.
La politica è concretezza. Presuppone il radicamento nel territorio, l’attenzione all’organizzazione degli interessi, alla presenza di raggruppamenti economici e di corpi sociali che hanno bisogno di trovare chi incoraggi, tuteli, se ne faccia rappresentante nel processo formativo delle leggi e di quello attuativo dei provvedimenti amministrativi, dei piani di sviluppo, dell’accesso ai finanziamenti pubblici.
E’ soprattutto questa la dimensione in cui deve essere risolto il problema dell’organizzazione e della rappresentanza.
Le famiglie, le categorie economiche e sociali, i pensionati, le partite iva, invece, avvertono che nessuna forza politica italiana li rappresenta. Con loro, i cattolici non possono sentirsi adeguatamente in sintonia con alcuna delle proposte in circolazione.
Allo stesso modo, nessuna prospettiva attorno cui si sono impegnati gruppi di cristiani interessati alla politica ha mostrato la capacità di attrazione e di segnare una novità.
La tendenza alla divisione tra i vertici di organizzazioni e movimenti è restata forte fino a dopo il 4 marzo 2018, e ancora resiste.
Eppure, si avverte una sempre più convinta spinta dal basso per la ricostruzione di una forza aggregatrice, in grado di superare la cosiddetta “ diaspora”. E’ una riflessione in corso soprattutto nei territori.
Molte delle liste civiche presentate in occasione delle recenti elezioni amministrative hanno marcato una distinzione rispetto a tutte le forze politiche e la contemporanea necessità di partecipare alla soluzione dei problemi concreti che riguardano la gente, in maniera autonoma ed originale.
E’ grazie a questa passione se i tempi per una convergenza sembrano essere adesso potenzialmente scanditi, soprattutto nella dimensione locale.
Non è piovuta dal cielo la riflessione del Presidente della Cei, il cardinal Gualtiero Bassetti, sull’esistenza di quelle premesse necessarie al superamento della divisione tra i cosiddetti cattolici del “ sociale” e quelli della “ morale”. Anche perché è difficile nelle attuali condizioni decidere quale aspetto delle nostre condizioni ricada solo nell’uno o solo nell’altro campo.
Un fatto a dir poco paradossale è che dal mondo laico giungono sempre più frequenti e sentiti gli inviti affinché i cattolici si ripresentino sulla scena in maniera chiara e si decidano a liberare nuovamente la ricchezza del loro pensiero, della loro tradizione, del loro “ metodo”. La stessa sollecitazione, ovviamente, riguarda le forze autenticamente liberali e quelle socialiste.
La necessità di una presenza di ” mediazione”
Già numerosi interventi di Papa Benedetto XVI avrebbero richiesto una nuova assunzione di responsabilità pubblica da parte dei cattolici. Sotto il suo pontificato si è arricchita la riflessione, già avviata con san Giovanni Paolo II, sulle trasformazioni in atto a seguito della globalizzazione e dei mutati scenari internazionali, dopo la caduta del Muro di Berlino.
E’ innegabile che la forza pastorale di Papa Francesco abbia innescato in tutto il mondo una carica e una tensione nuove.
La forza delle cose costringe la Chiesa in generale, quella italiana in particolare, a “ coinvolgersi” nel dibattito politico in maniera diretta su alcuni temi specifici: la difesa della vita e dei valori della persona e della famiglia, la denuncia della finanziarizzazione dell’economia, la salvaguardia del Creato e le questioni degli “ ultimi” e dell’immigrazione.
C’è chi paventa il rischio di offrirsi alla critica di andare oltre un non contestabile compito evangelico, di magistero e di sollecitazione nel momento in cui vengono assunte posizioni in quella sfera che è propria della politica e delle scelte istituzionali.
I pretestuosi ed irriverenti fischi leghisti levatisi dal sagrato del Duomo di Milano sono emblematici al riguardo e dimostrano la refratterietà di molti a capire e a vivere la portata del Vangelo e a trovare sul piano delle scelte istituzionali una risposta ragionevole, realistica e possibile.
In qualche modo, quei fischi dovrebbero essere reindirizzati verso quanti, rivestiti di carica pubblica, non riescono a risolvere i problemi, ma si limitano a strumentalizzarli.
E’ riproposta, allora, la necessità di definire una presenza di “ mediazione” da dispiegare all’interno dell’operatività legislativa e gestionale.
Ciò significa porsi in dialettica con il resto della società civile e l’intero mondo politico, sulla base di efficaci proposte programmatiche caratterizzate dalla qualità necessaria ad affrontare e risolvere questioni che interessano e coinvolgono sia i cristiani, sia quanti cristiani non sono.
E’ questa l’altezza cui ci si deve collocare per contrastare le spinte integraliste, le strumentalizzazioni elettorali di una fede e per delineare una presenza pienamente laica, senza attutire, diluire o nascondere la sostanza di un riferimento forte.
Così si riesce ad andare oltre il proprio recinto e a definire una proposta politica meritevole di richiamare l’interesse, il consenso, la partecipazione di chi condivide progetti e posizioni politiche per la loro valenza in sé e per la conclamata capacità di risolvere le questioni che riguardano le istituzioni, il lavoro, l’impresa, la famiglia, la scuola, la giustizia, l’immigrazione e via dicendo.
Ciò vale anche per quegli aspetti morali e della vita che non si possono avvicinare a colpi di rassegnazione o di anatemi.
Le criticità esistenziali ed etiche più generali riguardano tutti gli italiani, tutte le famiglie, tutte le relazioni private e pubbliche. Dobbiamo, quindi, guardare a quanti hanno le stesse preoccupazioni, pur se non sorretti dall’adesione a una fede religiosa.
E’ largamente diffusa, infatti, la consapevolezza di come si stia perdendo quell’insieme di tensioni morali, culturali, giuridico legali, di quei comportamenti, usi e abitudini che concorrono a definire la connotazione più profonda di un popolo e di una comunità. Non c’è bisogno di essere religiosamente ispirati per avvertire di essere in un “ deserto” di valori e di riferimenti spirituali o filosofici.
La loro riscoperta non è cosa che ci riguardi in via esclusiva.
Dobbiamo cogliere, così, la diffusa e condivisa ricerca di una più generale risposta alla ragione dell’esistenza da parte dei singoli e di un intero corpo sociale; riprendere l’attitudine all’ascolto, senza lasciarsi tentare dal traslocare le questioni della vita e della dignità della persona, quella che noi definiamo tale sin dal concepimento, in uno scontro ideologico e politico.
Molto può essere fatto all’interno di un confronto con il mondo laico più ragionevole e intelligente, visto quanto esso è assorbito nelle nostre stesse preoccupazioni. Perché non lavorare per rilanciare l’idea di una “ grande alleanza” per avviare una generale rigenerazione, forse oggi possibile più che nel passato? Del resto, il diritto naturale non costituisce un antefatto a noi ristretto. Così come, non solo per noi valgono, e lo ricorda bene Benedetto Croce, la spiritualità e la morale.
Se è vero che le criticità emergono in maniera evidente a livello politico ed istituzionale, esse affondano in qualcosa di più profondo. Là dove si trova l’essenza vera di tutte le donne e di tutti gli uomini. Soprattutto, di quanti sono consapevoli del fatto che la ricerca del benessere materiale deve inserirsi in una ben più ampia considerazione della condizione che tutti riguarda e tutti richiama, ispirati religiosamente o meno che si sia.
Cittadini non credenti, cristiani, ebrei, e tutti coloro che concorrono alle dinamiche della società multietnica in cui viviamo, siamo immersi allo stesso modo in una “ manchevolezza”.
Siamo uniti nel bisogno di recuperare il gusto e la voglia di vivere, nel provare a riappropriarci del significato della nostra esistenza, riscoprire assieme la valenza e la tenacia di quei valori che costituiscono le vere ragioni per cui abbia un senso vivere e morire.
In molti, dunque, partecipiamo alla generale constatazione della necessità di rigenerare quegli strumenti che abbiamo in comune. Si tratta della garanzia assicurata dalle istituzioni, la scuola, le norme che presiedono ai comportamenti civili e civici, gli interventi, cui concorre soprattutto quel generoso polmone rappresentato dal volontariato, per il contrasto e il superamento di tutti i disagi propri della società contemporanea.
Si deve lavorare, dunque, per favorire un confronto generale sulle questioni etiche e costruire un convenire allargato sull’opportunità di andare oltre i “ patteggiamenti” della politica e la scorciatoia rappresentata dalla tentazione di trovare delle soluzioni nell’ambito del solo Governo, che bene farebbe a tenersi il più lontano possibile da certi temi, o secondo le dinamiche dello scontro pregiudiziale che caratterizzano l’attuale Parlamento , come giustamente ha recentemente sottolineato Domenico Galbiati su queste pagine( CLICCA QUI ).
I “ cespugli”, l’associazionismo. Le premonizioni di Todi
E’ ricorrente la critica alle scelte dei vertici della Chiesa italiana dopo il 1992, per le vicende politiche dei cattolici. Molti hanno vissuto silenzi e comportamenti concreti come un abbandono. Altri, hanno fatto notare la realistica tendenza all’accettazione di uno stato di fatto. Forse, motivata dall’illusione che nuovi movimenti e filoni spirituali potessero in qualche modo rispondere altrimenti. Oppure, si è ritenuto che fosse meglio seguire la sempre serpeggiante tentazione di “ gestire” a livello di vertice ciò che riguarda, sul piano secolare, tutto il popolo dei cattolici.
Immediatamente dopo la dissoluzione della Dc, emersero le carenze degli elettori ispirati cristianamente nel sapersi porre, in forma il più possibile convergente, di fronte ai problemi dell’impegno pubblico.
Fu tutto un fiorire di sigle, siglette e personaggi, tra i quali nessuno è riuscito a dare sostanza alla voglia di riannodare i fili interrotti e fornire spessore organico al pensiero popolare. I cosiddetti “ cespugli” si sono moltiplicati senza dare vita ad alcuna pianta di alto fusto.
La Democrazia cristiana, anzi le tante democrazie cristiane spuntate come funghi, sono finite in un gorgo inarrestabile di battaglie giudiziarie su denominazione e sigla, mentre è continuato lo scambio di accuse sull’appropriazione e dilapidazione del grande patrimonio immobiliare e finanziario appartenente a quello che era, anche nel momento del decesso, la prima forza politica uscita dalle elezioni del 1992, le ultime a cui si presentò.
Il grosso dei sopravvissuti parlamentari di estrazione cristiana, allora, ha finito per far parte o del fronte di centrodestra o di quello del centrosinistra. La mancanza di una capacità di “ mediazione” con il resto del mondo politico e con la realtà sociale e culturale dell’intero Paese è emersa in maniera nitida.
Abbiamo assistito pure ad un più effettivo coinvolgimento, e relative divisioni, di una parte dell’ associazionismo sensibile alle questioni politiche, sia pure non sempre in forma diretta ed esplicita.
Ciascuna di queste realtà pretendeva, e pretende, il riconoscimento ed il sostegno esclusivo da parte della Gerarchia, nonostante il persistere di personalismi e retaggi delle antiche e nuove divisioni, accettazione della logica del bipolarismo e della comprovata incapacità a costruire percorsi comuni su temi che, comunque, tutti interessavano ed interessano.
Un tentativo positivo e piene di speranze intervenne con Todi, quando sembrò possibile cambiare marcia e creare nuovi presupposti.
Purtroppo, si è trattato di un’occasione rimasta a livello di premonizione. Dei suoi limiti non ha responsabilità, certo, chi individuò un’esigenza e attorno ad essa provò a richiamare altruismo e generosità.
Todi, se non altro, resta suggestione e conferma della riflessione sturziana degli inizi del ‘900 secondo cui “ ogni movimento di idee per generalizzarsi, divenire popolare, determinare vigorose correnti sociali , penetrare nella coscienza e nella vita pubblica dei popoli e trasformarla, deve di necessità avere avuto una sufficiente preparazione ed elaborazione storica, deve corrispondere ad un bisogno reale ed urgente della società e deve avere un elemento essenziale dinamico di progresso”. Se mancasse, però, l’elemento vitale, prosegue Sturzo, “ il movimento diverrebbe fittizio e cadrebbe, anche dopo aver per poco destato gli entusiasmi e, se vuolsi, il fanatismo popolare”.
Se l’esperienza di Todi appare, in ogni caso, precorritrice e tentativo di raccogliere ingegni e impegni attorno ad “ un elemento essenziale dinamico di progresso”, fa scattare la riflessione che, evidentemente, le cose importanti hanno bisogno del loro tempo.
Oggi, sembra che la maturazione stia per giungere, mentre ci si interroga su come sia possibile prepararsi al momento del raccolto, sulla base della conoscenza dei fenomeni e della necessaria intelligenza ed accortezza politica, cui devono essere aggiunte pazienza ed abnegazione.
Il mondo dell’associazionismo è una forza vitale della realtà cattolica e del Paese intero. Lo ha appena ricordato il cardinal Bassetti a Salvini e all’intero governo ( CLICCA QUI ).
Quello a sfondo spirituale, quello dedito alla formazione religiosa, umana, culturale e, persino, politica, quello impegnato nel sociale rappresentano il segno di una sostanza importante, da sostenere e sviluppare. Non ne possono, però, essere snaturate specificità e competenze.
Neppure è pensabile, con un eccesso di ottimismo, ritenere che una sua semplice e volenterosa sommatoria sia in grado di ridare corpo a una iniziativa politica capace di prospettare quelle proposte economiche, legislative ed amministrative di cui l’Italia ha bisogno.
Non può essere sottovalutata una riflessione sul fatto che un impegno politico diretto dell’associazionismo, particolarmente quello dedito alla dimensione spirituale e religiosa, rischi di mettere a repentaglio l’universalità di un messaggio. Si tratterebbe di un coinvolgimento in quel campo particolare che si chiama politica e al cui riguardo don Luigi Sturzo ricordava costituire, oggettivamente, “ divisione”, dialettica tra interessi e tra diverse tradizioni culturali e visioni della vita.
Molti cattolici, non necessariamente tutti i cattolici, possono pensare di “ convenire”, in ogni caso, su di un programma e su un pensare politico comune. Lo prospettava Sturzo, e lo prospettiamo oggi in molti, senza la pretesa né di rappresentare la Chiesa né di monopolizzare gli interessi religiosi nella vita politica del Paese. Un programma da costruire e sviluppare richiamando forze nuove, anche tra i non cattolici. Quei talenti, che pure ci sono, e numerosi, in tutta la nostra realtà.
La dimensione di una tale convergenza, sia pure fortemente ispirata cristianamente, non è dunque quella religiosa, bensì pubblica e sociale.
La differenza sta nella cifra dell’ispirazione cristiana che la pervade, l’agita e la vivifica e che viene riconosciuta per tale, non per la sua carica divisiva, bensì quale apporto di ulteriore ricchezza sociale ed umana in aggiunta ad altre diverse ricchezze animate dagli stessi intenti costruttivi e collaborativi.
La politica richiede il dispiegarsi su di un’altra dimensione, il coltivare peculiari forme di partecipazione, e d’impegno.
Non c’è dunque un passaggio automatico tra le specificità in cui opera l’associazionismo e quello in cui vogliono intervenire gli appassionati della politica che si rifanno all’insegnamento di Paolo VI sulla declinazione della carità cristiana nell’impegno pubblico.
L’allora monsignor Montini, nell’epoca cupa del fascismo totalitario, lo capì bene e, tenendo distinti i diversi piani, impegni e responsabilità, contribuì alla formazione di una generazione di cattolici successivamente capaci di governare sulla base del discernimento utile a precisare e vivere pienamente la differenza e il rispetto reciproco tra la sfera religiosa e l’altra, propria dell’impegno politico istituzionale.
La forza profetica del futuro pontefice, la sua capacità di prefigurare una dialettica viva e costruttrice tra fede ed impegno attorno alle cose delineò una figura di politico cattolico non schizzofrenico e neppure integralista. Così è stato, e lo è tuttora, per molti dirigenti e militanti dei partiti che ancora in varie parti del mondo si chiamano popolari o democratici cristiani.
Dopo Todi, le altre ipotesi: lievito, il pre politico, i cento fiori, l’estraneazione
Il fatto che Todi sia rimasta solo a livello di presupposto e premonizione ha favorito l’emergere o il ribadire altre ipotesi: farsi lievito, lasciar disperdere candidati ed eletti tra tutte le forze politiche, operare nel cosiddetto pre politico, occuparsi di formazione.
Tutte belle e nobili intuizioni. Soprattutto l’opera di formazione è da apprezzare, sostenere e sviluppare ulteriormente. Altre, potrebbero apparire persino ammantate da un sorta di malinconico ripiego. In ogni caso, non hanno finora portato risultati sul piano dell’incisività.
La conseguenza è stata che tra i cattolici abbiamo visto crescere, in modo sottile e non sempre esplicitamente espresso fino ad oggi, quel fenomeno di estraneazione rispetto alla politica e alla vita delle istituzioni che, dalla metà degli anni ’90, ha influenzato settori sempre più ampi tra tutti gli italiani.
Alcune delle proposte sopra menzionate hanno connaturata la diffidenza verso la politica e dei suoi meccanismi. In maniera acritica e prevenuta anche verso il “ potere”, purtroppo però, inevitabilmente collegato alla gestione della cosa pubblica.
Altre, potrebbero invece far ritenere che ci si possa trovare di fronte ad un modo sottilissimo, persino diabolico, di provare a “ bypassare” le difficoltà di un impegno organizzato alla luce del sole e provare a sostituirlo con una sorta di “ consorteria”, per quanto ispirata e destinata a nobili fini, da attivare attraverso la presenza in tutte le forze politiche, dentro e fuori il Parlamento. Il risultato è quello di una funzione di lobby fallita, come dimostrano tante recenti vicende legislative degli ultimi anni.
In pochi calcolarono che il sistema bipolare in cui l’Italia era entrata tendeva, in realtà, alla radicalizzazione dello scontro politico e faceva emergere più forti le spinte contrapposte. La conseguenza era quella di veder tagliate fuori tante espressioni di pensiero, entità sociali, interessi meno organizzati e difesi, tra i quali quelli del ceto medio.
Un’altra corrente di pensiero è quella secondo la quale esiste il rischio per il ‘ popolo eletto’, di entrare “ in un complicato intreccio di dimensioni religiose e politiche che gli farebbe perdere la consapevolezza del suo essere a servizio del mondo e lo contrapporrebbe a chi è lontano, a chi non gli appartiene, cioè al suo ‘ nemico’ “.
Con tutto il rispetto che merita un simile argomentare in una dimensione metapolitica, viene subito da notare come ci si ritrovi di fronte alla difficoltà di accettare il già citato concetto di “ mediazione”, che pure i sostenitori di questa visione applicano ad altre sfere della realtà religiosa, sociale ed umana, oltre che al riportare indietro l’elaborazione dei cattolici democratici europei, e di alcuni paesi latino americani, a prima della Rerum Novarum: una ricca e lunga esperienza che in molti casi ha significato pace, progresso sociale e civile, sviluppo economico per popoli interi, fatti di credenti e di non credenti.
Questa tesi implica un concetto statico e “ demonizzante” della politica concepita quale solo scontro tra “ nemici” dimenticando, invece, che essa rende possibile proprio la soluzione di questioni inizialmente dirompenti, il cui sbocco, altrimenti, potrebbe persino divenire violento e sanguinoso. Fu grazie alla politica, per restare ad alcune cose di casa nostra, se venne approvato l’art. 7 della nostra Costituzione e se, in precedenza, Palmiro Togliatti promulgò l’amnistia per i reati compiuti dai fascisti, che pure lo avevano perseguitato.
I propugnatori di questa opinione sembrerebbero concepire la politica, quella che Papa Francesco vuole con la “ P “ maiuscola, solamente nel suo carattere divisivo trascurando la forza vitale e costruttiva, unificatrice che una buona politica può sprigionare.
Come Francesco ha ricordato alla Pontificia commissione per l’America latina lo scorso 4 marzo 2019, il problema non è nella politica in sé, ma nei suoi metodi, nelle sue finalità, nella sua qualità, nella sua effettiva ricerca di una “ alternativa” che essa sottintende e prospetta: una politica che sia “ amicizia sociale.
Altra cosa, sono invece le due opposte contrapposizione: quella di dare vita ad un “ partito cattolico”, già rinnegato da Sturzo il secolo scorso, o di concepire il confronto solo con la carica distruttiva e anticristiana della battaglia da avviarsi contro un “ nemico”.
E’ chiaro, al tempo stesso, che l’abbandono di un campo potenzialmente fertile e produttivo lo fa diventare sterpaglia e rovi, habitat ideale per predatori di ogni genere e finire, quindi, per far pagare alla “ povera gente”il peso del riflusso e della mancata generosità di un impegno pubblico.
L’interclassismo del popolarismo, realizzato dalla Dc degasperiana in Italia, individua e rafforza, invece, un ” metodo” alternativo da prospettare per il governo delle cose, basato su realismo, logica, razionalità e sostenibilità e, così, in grado di garantire la tenuta del quadro politico e parlamentare, oltre che di quello sociale nell’intero Paese. E’ proprio la negazione della logica del “ nemico”. E’ ricerca della convergenza e conciliazione degli interessi e delle aspirazione, insite nella natura e nelle attività umane.
Dunque, la conferma che la scelta non è tra politica si o politica no, tra partito si o partito no, bensì nel decidersi a presentare con lealtà e chiarezza una partecipazione specifica che rimetta al centro dell’azione legislativa la Solidarietà, la Sussidiarietà, la difesa della Dignità umana e la Giustizia sociale.
Tra le tante opzioni che la politica può offrire ci può pur essere quella di puntare sul convincimento che la forza vivificatrice del Vangelo possa e debba essere messa in campo sempre e dappertutto, supportata dalla capacità di distinguere, in una proiezione anche sociale, il bene dal male e provare ad interloquire con il “ nemico” destinato grazie alla buona politica a divenire, semmai, avversario e, perché no?, persino alleato.
Le eminenti personalità che si adagiano su una linea di distacco dalla politica intesa come partecipazione all’organizzazione del consenso dovrebbero, del resto, tenere conto che le grandi idealità e le suggestioni collettive sono destinate a sboccare nelle dialettiche parlamentari ed istituzionali, non a restare solamente nelle rarefatte disquisizioni accademiche o nell’intimo dell’elaborazione personale.
Esse richiamano, in alcuni casi persino lo richiedono, il confronto anche acceso, il misurarsi degli interessi destinati ad essere, se necessario, divergenti e dirompenti. Non si può pensare che questo esaurisca completamente, però, la politica che è dialettica, dinamicità nelle relazioni e, alla fine dei processi, sintesi e ricomposizione.
Una delle conseguenze della scomparsa in Italia del progetto popolare e democratico cristiano, e di quelli delle altre forze politiche storicamente fondate su un’ideologia o un insieme complesso di visioni e responsabilità condivise, è stato l’indebolimento, fino al rarefarsi, della coerenza tra il pensiero e l’agire politico ed istituzionale. Una tale coerenza era richiamata, un tempo, dall’adesione ad una visione dell’azione e della vita fondate su un’etica pubblica ed istituzionale che può essere riscoperta assieme, da cattolici e non.
Delusioni a destra e a sinistra. La spinta verso il partito. Le fughe in avanti
La spinta verso l’avvio di una iniziativa politica nuova ed originale, in grado di richiamare e raccogliere tradizione e sforzi di quanti sono ispirati cristianamente, è divenuta sempre più forte a mano a mano che si sono constatati i magri frutti della cosiddetta diaspora.
Dopo l’esperienza fatta con il centrodestra, e poi quella con il centrosinistra, la maggioranza dei cattolici italiana si ritrova da tutti delusa.
L’impegno ha trovato un’alternativa nel riflusso individuale e nel disincanto. L’esatto contrario di quel lavorio da indirizzare nell’esplicazione della forza vivificatrice del Vangelo che, negli auspici di Maritain, caratterizza e qualifica la vita pubblica del cristiano il quale, in ogni caso, non può restare atomizzato e disperso.
Ovvia è l’attesa di una voce da parte dei Pastori. Ovvio è che i Pastori si limitino a sollecitare un impegno verso il bene comune.
Benissimo essi fanno, infatti, a tenere chiaro e distinto il dovere pastorale e di incitamento dal cadere nella tentazione di dettare linee organizzative e programmatiche. Questo è proprio della dimensione dei laici che, senza alcuna dicotomia, dovrebbero vivere la ricchezza dell’essere cristiani e le delusioni e le speranze proprie dell’essere cittadini.
L’insegnamento del Concilio Vaticano II aiuta e sorregge in questa direzione. Esso ha definito il ruolo del laicato come parte viva della Chiesa, riconoscendogli una dignità da sviluppare anche attraverso il dispiegamento di un propria particolare presenza, che non comporta estraneazione dal resto della comunità ecclesiale, bensì implica il raggiungimento di un adeguato grado di consapevolezza del duplice ruolo da svolgere, con coerenza ed impegno, sul piano religioso e su quello umano e civile.
I laici sono chiamati, dunque, ad una binaria incombenza per rispondere, come ha ricordato Papa Francesco il 4 marzo scorso, al «cambiamento di epoca» cui partecipiamo e a guardare alla realtà “ in modo nuovo” e vivendo, così, “ con rinnovata passione le sfide nella costruzione del bene comune”.
La difficoltà dell’oggi è, in ogni caso, quella della corretta applicazione dell’intuizione sturziana della compenetrazione e, al tempo stesso, della distinzione tra le due dimensioni.
Lo ripeto: è ovvio che non si possa, né si debba parlare di un partito cattolico. Intanto, perché i cattolici, in quanto appartenenti a diverse estrazioni sociali, avendo la possibilità di partecipare a concorrenti processi di aggregazione, misurando autonomamente il proprio singolo equilibrio tra interessi e tensione ideale, hanno più numerose opzioni da valutare in una realtà civile ed istituzionale tanto ricca ed articolata, com’è quella caratterista del mondo contemporaneo.
Un gruppo di noi crede possibile, però, puntare su un impegno libero ed autonomo da portare anche in modo organizzato e propositivo secondo quello che la cronaca e i processi storici definiscono e vorranno definire.
La melanconia di un cardinale. La risposta dei territori
Su Il Corriere della Sera del 20 maggio scorso, l’ho già ricordato nel primo intervento sulla “ complessità” ( CLICCA QUI ) un anonimo cardinale italiano, sentito da Massimo Franco, appare molto malinconico e disincantato quando afferma: «Abbiamo due spine: l’unità della Chiesa e l’irrilevanza dei cattolici in politica. Non c’è più un partito di riferimento, e mi pare difficile che possa rinascere. E nel deserto avanza il sovranismo religioso della Lega…».
L’alto prelato aggiunge che di fronte all’unico cattolicesimo visibile in politica, “ quello xenofobo, anti islamico, aggressivo perché impaurito, offerto dalla Lega e dai suoi epigoni europei ( … ) le gerarchie ecclesiastiche cercano di capire come riemergere da una deriva che rende le posizioni cattoliche ininfluenti. E si stanno rendendo conto sempre di più che non esiste una soluzione”.
Una riflessione affliggente, insomma, cui l’articolo di Franco aggiunge subito un’altra: “ l’esigenza, quasi l’urgenza di riscoprire una politica in grado di dare voce a un modo cattolico sommerso è affiorata e morta all’inizio dell’anno.( …. )Alcuni vescovi e reduci democristiani hanno cercato di sfruttare l’anniversario per riproporre, aggiornata, quell’esperienza. Ma la suggestione è durata poco. Alla fine il tentativo si è rivelato velleitario e passatista: un’operazione novecentesca, non da terzo millennio. L’unica certezza emersa dalla fiammata sturziana è stata la consapevolezza di divisioni profonde e irrisolvibili: se non altro perché non esistono più le premesse per far rinascere un partito di cattolici. Non è pensabile connotare una forza in termini religiosi. Come è solito dire il professor Lorenzo Ornaghi, ex rettore dell’Università del Sacro Cuore di Milano, l’unico modo per contare, per i cattolici, è non contarsi”.
Una prima riflessione sull’l’incipit del cardinale che è rivelatore. La Gerarchia vive una duplice problematica: divisa al proprio interno e posta di fronte alla nostra irrilevanza.
Sarebbe da studiare se tra i due corni del problema ci sia un nesso e un interscambio. Preso nota della constatazione, debbo fermarmi qui perché non ho la conoscenza dei “ fatti “ interni alle dinamiche che sostanziano l’interloquire tra i cardinali e i vescovi. Così come, non ho quelle sociologiche utili a dipanare un tale intreccio e a distinguere nel modo che sarebbe necessario le due questioni. Posso solo affermare che non vorrei essere nei panni di un cardinale o di un vescovo di oggi.
Devo, però, convenire su quel che mi appare vero. L’ho constatato poc’anzi: nonostante le acute riflessioni del cardinale Bassetti, giunte dopo quelle, sempre dello stesso Presidente della Cei, altrettanto significative sul beato Toniolo, la discussione sul centenario sturziano non è stata adeguata alle necessità del momento.
Ad essa, dobbiamo riconoscerlo, hanno partecipato molte figure del mondo cattolico inevitabilmente soggiogate dalle devastanti carenze degli ultimi 25 anni, quanti non hanno pienamente compreso la portata dei mutamenti intervenuti nella società e tra i fedeli, coloro che ragionano ancora seguendo i vecchi paradigmi di un gioco della politica superato dai fatti e dalle cose. Per questo concordo sul giudizio che non si è trattato di un qualcosa di adeguato al terzo millennio.
Giungo, però, a considerazioni diametralmente opposte. In particolare, se guardiamo all’esempio che viene da quelle novità, alcune anche preoccupanti, introdotte sulla scena dai nuovi soggetti politici, siano essi partiti o movimenti. Non si può guardare al terzo millennio, allora, con gli occhiali di quello precedente e non cogliere nuove opportunità e l’inatteso allargamento delle dinamiche della politica.
L’impressione generale che si ricava dalla recente discussione è che c’è poca frequentazione della gente comune, a partire dalla nostra. Si continua a rimanere all’interno di logiche consolidate e verticistiche o di analisi astratte, completamente slegate dal contesto reale di un Paese che ha bisogno di avviare un percorso di rigenerazione, per sostenere il quale è necessaria la presenza di chi ha idee e proposte da avanzare in maniera organica.
Se necessario, senza esitare a mettere in campo una generosa spregiudicatezza e una saggia disinvoltura perché sappiamo che, in altre occasioni del passato, donne e uomini volenterosi hanno scelto per l’impegno, piuttosto che per la contemplazione, più o meno raffinata che fosse, dell’esistente. Un esistente, per di più, che non piace, da cui ci si sente estraniati.
Verso un tale esistente, invece, c’è una reazione spontanea, che viene dal basso.
Lo dimostra un gran fiorire di liste civiche, autonome ed indipendenti, presentatesi anche alle amministrative dello scorso 26 maggio, con un consistente apporto di cattolici. Soprattutto fuori delle grandi città, queste liste con candidati indipendenti d’ispirazione cristiana stanno registrando esperienze importanti. Gente capace di misurarsi con i problemi delle comunità in cui vivono e che hanno deciso di liberarsi da vecchi vincoli mentali.
La richiesta è quella di una presenza costruttiva, animata da progettualità, dal confronto sulle cose, sui problemi del quartiere, degli anziani, dei giovani. Forte è la richiesta di facce nuove e di segnare una netta cesura con i metodi e i personaggi che hanno caratterizzato il passato, anche quello più recente.
Non si può non considerare che una buona proposta politica non viene valutata dalla gente solamente perché formulata sulla base dell’ispirazione cristiana o meno che la sorregga.
Noi siamo certi, però, che il riferimento alle grandi suggestioni del Pensiero sociale della Chiesa sia capace di dispiegare una ricchezza in più, in grado di sintonizzarsi e rispondere a quella speranza che, nonostante tutto, ancora pervade la gente. Gente che non avrà letto tutte le encicliche, che non ha il tempo di approfondire sottigliezze teologiche e dottrinali, ma che avverte forte la necessità di riscoprire la Solidarietà, che ha l’urgenza di vedere nell’opera delle istituzioni l’intervento di un’autentica Sussidiarietà, di cogliere dappertutto l’impegno per la difesa della Dignità umana e un deciso impegno per la Giustizia sociale.
E’ attorno alla elaborazione di una efficace risposta a queste questioni che si misura il vero “ contare”. Solo un rinnovato impegno e coinvolgimento potrebbe sfociare in un “ contarsi” che, si badi bene, non riguarda solo i cattolici, ma i tanti italiani alla ricerca di una strada per uscire dalle strettoie in cui si ritrovano tanto drammaticamente.
Si tratta, pertanto, di riscoprire l’ardire di provare a mettere in campo, addirittura, una capacità di governo rivolta non solo a chi si dichiara cattolico. Si è all’altezza?
Oltre che quelle di Sturzo, devono essere recuperate le grandi capacità di Montini e di De Gasperi. In una parola, ragionare in termini politici, intessere relazioni, trovare collettivamente le capacità di elaborare proposte originali ed efficaci e, con esse, la forza di allargare le proprie prospettive ed estendere le dimensioni del proprio recinto.
Si sente spesso esprimere una sfiducia verso la ripresa di un possibile percorso facendo riferimento all’immagine delle chiese vuote. Come se un progetto politico di rigenerazione nazionale dovesse partire e concludersi solo con e tra i cattolici, o motivato dalla soluzione di eventuali problemi propri della Chiesa e dei fedeli. Così non è, perché si tratta di provare a cogliere le più diffuse domande serpeggianti nel Paese intero, dopo il fallimento o la parzialità delle risposte offerte da altri partiti e movimenti.
A differenza dei tempi di Sturzo, non esiste una” questione cattolica”, bensì la più ampia necessità dell’intera Italia di rigenerarsi.
Il vero recupero dell’Appello ai liberi e forti, dunque, non sta nella sua riproduzione pedissequa e meccanica all’oggi. Si tratta di immergersi, applicando il “ metodo” popolare e concreto di don Luigi, alle questioni che richiamano le attese delle donne e degli uomini contemporanei.
Non si tratta di seguire vecchi sentieri. Oppure, fare delle fughe in avanti senza porre adeguata attenzione ai tempi, ai processi in atto e alla varietà degli accenti di chi ci parla vicino.
L’eccesso di realismo di alcuni amici, che si acconciano ancora a viaggiare con altre forze politiche, perpetuando una sudditanza psicologica, o, all’opposto, l’ottimismo di quanti provano a crearne di nuove senza una realistica attenzione alle dinamiche dei nostri tempi potrebbero essere indirizzati verso una convergenza cui è necessario applicarsi con animo aperto, ascolto, inclusione progressiva di ingegni individuali, gruppi ed organizzazioni che hanno un comune sentire ed una sincera determinazione a cambiare le cose.
Dove possiamo convergere. Reagire alla paura di essere minoranza
Due i livelli su cui è possibile convergere.
Da un lato, la ricostruzione di un “ pensiero” politico organico, capace di incidere sulla concreta attività legislativa in corso. Dall’altro, il rafforzamento della rete nei territori. Dobbiamo prendere atto che proprio là possono essere superate vecchie divisioni, incomprensioni, diffidenze e quelle ambizioni non sostenute dai risultati raggiunti finora.
Ciò che non è raggiungibile a Roma, può essere creato in ambito locale dove le consolidate dilacerazioni di vertice sono sempre meno tollerate.
Si dovrebbe partire dal più piccolo dei comuni, fino a municipi della più grande delle città, per indicare la presenza di operosità nuova, per cercare il consenso attorno alle cose che ci interessano come cittadini, consumatori, soggetti fiscali e, quindi, prospettare un modo reale e concreto di concepire la partecipazione alla vita politica e dare corso alla più alta forma di carità possibile, occupandosi della cosa pubblica e dell’attitudine a riscoprire idealità e profondità di pensiero.
Concludo questo lungo intervento con delle riflessioni sulla constatazione di essere “ minoranza”. Un timore che continua a riaffiorare nei ragionamenti che pervadono molti interventi di questa amara stagione.
Sul tema è appena intervenuto su Politica Insieme, Gianclaudio Tagliaferri ( CLICCA QUI ) con una considerazione sul rapporto di questo essere minoritari con le trasformazioni intervenute nella società italiana.
Va da se che sarebbe davvero curioso veder fiorire all’improvviso una maggioranza sulla base di un totale silenzio e dell’assenza dei cattolici nel dibattito politico del Paese.
Sturzo non si pose questo problema della minoranza. Alle elezioni cui partecipò il Partito popolare italiano, in un’Italia che sulle carte d’identità presentava oltre il 90% della dicitura religione: cattolica, raccolse ” solo ” il 22% circa. La Democrazia cristiana non ha mai ottenuto la maggioranza assoluta dei consensi. Lo spirito della coalizione elaborato da De Gasperi nasceva sulla consapevolezza dell’esistenza di una ricchezza di posizioni culturali, economiche e sociali che non si potevano, e non si possono, comprimere a colpi di decreti leggi e di editti.
Il 2 % dei repubblicani di Ugo La Malfa non era certo coincidente con la forza reale di quello che venne definito un “ piccolo partito di massa”. Quella cifra elettorale modestissima fu in grado di condizionare molto della politica italiana e dell’esecutivo a forte guida e presenza Dc.
Non capisco perché si debba disdegnare, eventualmente, una prospettiva opposta. E pensare, paradossalmente, al ruolo che potrebbe svolgere una forza anche minoritaria, ma non velleitaria da ” ultimo dei mohicani”, o che si limiti alla garbata testimonianza, senza neppure la vocazione a considerarsi solo subalterna. Bensì consapevole di quanto possa essere in grado di incidere e di esprimere per un ruolo progressivo da svolgere cui possono concorrere l’intelligenza degli elettori e di tutte quelle forze economiche, imprenditoriali, culturali e sociali che richiedono la definizione di novità sostanziali nello scenario politico italiano.
Giancarlo Infante
I precedenti interventi sulla complessità sono stati:
CATTOLICI E NON: LA STAGIONE DELLA COMPLESSITÀ ( 1 ) – DI GIANCARLO INFANTE
https://www.politicainsieme.com/?p=1886
CATTOLICI E NON: LA STAGIONE DELLA COMPLESSITÀ ( 2 ) – DI GIANCARLO INFANTE
https://www.politicainsieme.com/?p=1910
LA COMPLESSITÀ TRA OPPORTUNITÀ E MALEDIZIONE. I TEMPI LUNGHI DELLA POLITICA – DI DOMENICO GALBIATI
https://www.politicainsieme.com/?p=1948
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