Sul cosiddetto “piano B” presentato a Rimini è intervenuto per noi Domenico Galbiati (CLICCA QUI) sottolineando la necessità che, in realtà, il punto fondamentale, anche per i cattolici in politica, è quello di una completa trasformazione dell’attuale quadro istituzionale politico, in piena coerenza e continuità con quanto INSIEME segnalò, avviando la propria presenza, con il Manifesto Zamagni (CLICCA QUI).
Da allora, in realtà, abbiamo continuato ad assistere alla solita indeterminatezza e vaghezza dell’impegno politico dei cattolici popolari che sembrano non rendersi conto di come ogni ambito richieda l’accettazione della postura e dei contenuti suoi propri. In politica ci s’impegna con il quotidiano e costante impegno pubblico e ciò richiede che si trovi anche la “forma” organizzativa con cui plasmare e presentare la sostanza del proprio essere nella cosa pubblica. E molte volte si è preso a pretesto la ritrosia verso la forma partito per giustificare una sostanziale accettazione delle cose. Quelle per cui si limita a scrivere grandi e solenni appelli. Per carità, esprimono riflessioni e proposte infinitamente più valide e di alto contenuto rispetto alla media della produzione dei partiti ufficialmente presenti in Parlamento, ma resta la mancanza del ragionamento e della postura politica.
Il risultato è che continua l’irrilevanza e, nel migliore dei casi, si sta a scrutare l’orizzonte per vedere se un’improvvisa crisi di governo fosse in grado, verticisticamente, di cambiare la situazione e riaprire spazi ed opportunità. Che altrimenti, questa dev’essere la spiegazione, si pensa sia cosa non raggiungibile. E il dibattito, così, continua in un’altalena di scoramento e ventate di altrettanto ingiustificata esaltazione.
Resta l’esistenza di dibattito, fortunatamente vivo a tutti i livelli, e con un’apprezzabile mancanza di pompa magna ed ufficialità, cosa che conferma come la questione della presenza politica dei cattolici sia sentita nel profondo. E noi abbiamo ricevuto il seguente intervento, ripreso integralmente, di Rocco Gumina che sul suo blog esamina la questione del “piano B” e si spinge a chiedersi se non finiremo per interrogarci su un ulteriore “piano C”. Lui con molta gentilezza non conclude che di piano in piano si potrebbe non finire da … nessuna parte e continuare a restare del tutto irrilevanti.
GI
L’estate, si sa, è il momento in cui fioriscono i dibattiti politici sulle grandi questioni. E come ogni anno dal Meeting di Comunione e Liberazione, che si svolge a Rimini, vengono avanzate importanti riflessioni e proposte. Di certo il piano B è una di queste. Già nella denominazione, il piano B si costituisce come alternativo a quello che dovrebbe configurarsi come piano A. Cerchiamo, allora, di andare con ordine per provare ad intendere al meglio.
Il tema in questione è quello connesso al contributo dei cattolici alla politica del Paese. Dopo la fine della Democrazia Cristiana, i credenti – spaesati – hanno attraversato una lunga stagione di discernimento sul “che fare” tanto da indurre ad una sorta di apatia verso l’impegno nei partiti e per allargare le basi democratiche della nazione. Quella stagione di ripensamento, oltre alla presenza dei cattolici in quasi tutti i soggetti politici dell’arco costituzionale, ha generato una serie di proposte volte alla rifondazione di un partito di ispirazione cristiana in grado di preservare una sorta di regia politica dei cattolici dotati di una visione, di un progetto e di un programma per i territori. Questo, più o meno e al netto di fraintendimenti, dovrebbe essere il piano A che di tanto in tanto qualcuno – in modo legittimo e con senso – rispolvera come necessario tanto ai credenti quanto all’Italia.
A quest’idea, nel corso degli anni, è seguita un’altra impostazione connessa all’impegno nell’economia, nel sociale e nel politico attraverso la rigenerazione di questioni fondamentali per la democrazia come l’Europa, i beni comuni, l’ambiente, la sussidiarietà, l’educazione, il lavoro, l’innovazione, la giustizia. E il piano B presentato a Rimini tramite un manifesto, firmato da poco più di una decina di intellettuali ed esponenti del sociale provenienti dal mondo cattolico, sembra condensare questo lavoro che da parecchi anni emerge nel nostro Paese. Per ammissione degli stessi ideatori del piano, si tratta di un progetto politico senza partito volto a far affiorare le tante positività già presenti da animare con una narrazione nuova, e a tratti alternativa, a quella dell’impegno politico-partitico. Insomma il piano B mette insieme il lavoro, le visioni, la professionalità, la passione e l’impegno di credenti che hanno optato per un servizio competente e puntuale alla comunità nazionale. Una sorta di “spartito senza partito” lo ha definito Marco Damilano dalle colonne del Domani. Per chi crede nella democrazia e nell’impegno dei cattolici in politica non può che riconoscere le rilevanti positività di questo esperimento che cerca di sintetizzare, e a tratti rappresentare, l’opera di migliaia di operatori sparsi nelle realtà locali.
Dinanzi al piano B qualcuno, dotato di entusiasmo, ha affermato (o potrebbe ancora affermare) che si tratta di una sorta di nuovo “codice di Camaldoli”. Il primo, negli anni Quaranta, aveva sostenuto la nascita della Democrazia Cristiana. Il secondo dovrebbe supportare un rinnovato impegno dei cattolici per la cosa pubblica. Ora, credo che con altrettanto entusiasmo sia necessario tentare di distinguere per capire. La straordinaria vicenda della Democrazia Cristiana è stata possibile poiché agli intellettuali e agli operatori del sociale, specialmente delle nuove generazioni, si affiancarono gli esperti della politica partitica provenienti dalle file del Partito Popolare italiano fondato da don Luigi Sturzo e sciolto dalla dittatura fascista. I popolari avevano le competenze necessarie per governare un partito, per ricoprire i ruoli istituzionali, per animare il dibattito pubblico e le dinamiche elettorali. La mescolanza fra le attitudini dei giovani e l’esperienza degli adulti portò al successo di quella esperienza partitica da intendere unica per genere, contesto storico e ambientazione culturale.
Tuttavia l’unicità di quel percorso ha da dirci ancora molto. La Democrazia Cristiana dopo, e il Partito Popolare prima, furono in grado di una progettualità politica poiché alle competenze professionali avevano legato a filo doppio le qualità politiche che risultano, ancora oggi, diverse rispetto a quelle provenienti dal mondo del sociale e della cultura. Il ricordo dei popolari e dei democristiani, insomma, ci dice che è opportuno fare sintesi per poter avanzare sul serio un piano politico per l’Italia.
Fare sintesi, vuol dire, avere quelle competenze necessarie per ridire politicamente e partiticamente – e perciò per rappresentare, difendere e implementare nelle istituzioni – quanto di buono emerge dal sociale, dall’economico, dal culturale e dall’educativo. Se questo passaggio non maturasse, a mio parere, tutta la bontà presente in molti percorsi rischierebbe di non trovare alcuna rappresentanza politica o, al massimo, permetterebbe soltanto ad una serie di esperti di offrire un contributo specialistico richiesto da chi, invece, una capacità di regia la possiede e la esercita. Allora, forse, dopo aver discusso a lungo di un ipotetico piano A e all’indomani della presentazione di un significativo piano B, non è forse giunto il tempo – per i cattolici italiani – di mettere insieme competenze culturali, economiche, sociali e politiche per offrire un progetto al Paese? Non dovremmo, in definitiva, discutere per dare vita ad un piano C?
Rocco Gumina