Ogni volta che si attraversa una fase di crisi della politica, ci si interroga sempre sulla “questione cattolica”, cioè se c’è ancora posto per i cattolici in politica. Questa domanda si è riproposta quest’anno in occasione della commemorazione degli 80 anni del Codice di Camaldoli, che fu elaborato nel 1943 da un gruppo di laici cattolici e che rappresentò la base di ispirazione cristiana per i Padri Costituenti, in particolare per il gruppo dei “professorini” che rispondevano ai nomi di Giuseppe Dossetti, Giorgio La Pira e Aldo Moro.
La nostra Costituzione è fondata sul concetto prioritario della dignità della persona umana ed è stata in gran parte opera dei costituenti cattolici che non hanno lavorato invano se è vero che nel 2021 il Cardinale Matteo Zuppi ha sentito il bisogno di scriverle una lettera : “Ti voglio chiedere aiuto perché sento che abbiamo bisogno di te per ricordare da dove veniamo e per scegliere da che parte andare”. Il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana inoltre ha preannunciato il tema della 50^ Settimana sociale dei Cattolici che si terrà a Trieste nel 2024 con il titolo sorprendente “Al cuore della Democrazia”.
Sono 81 gli anni che vanno da Camaldoli all’appuntamento di Trieste con una coincidenza significativa: in casa cattolica si torna a riflettere sulla vita politica e sulle sorti della democrazia? Ma che cosa è accaduto in questo lungo lasso di tempo? Dopo la ricostruzione del Paese, gli anni 60 videro la celebrazione del Concilio Ecumenico Vaticano II e, sul loro finire, l’esplodere della contestazione studentesca con gli epigoni nefasti della lotta armata. Ma è la morte di Aldo Moro nel 1978 che gli storici indicano come spartiacque tra la Prima e la cosiddetta Seconda Repubblica, che nascerebbe poco più tardi nel 1994, con il primo Governo Berlusconi, appena dopo il grande evento della caduta del Muro di Berlino nel 1989 e il trauma giudiziario nazionale di Mani Pulite.
Noi di fatto dobbiamo fare i conti con “i segni dei tempi” di questo ultimo trentennio (1994-2023), nel quale siamo immersi e che non a caso coincidono con la diaspora dei cattolici, definita anche, “una dispersione infruttuosa” in cui i cattolici sarebbero dappertutto e da nessuna parte. Eppure, Paolo VI definì la politica “il servizio più alto della carità”, mentre Benedetto XVI auspicò il ritorno dei laici cattolici all’impegno politico e Papa Francesco ha sovente ribadito che un buon cattolico ha il dovere di immischiarsi nella politica per la ricerca del bene comune( Fratelli Tutti. Cap. V, La migliore politica). Ma oggi è proprio la crisi della politica a colpire i paesi occidentali e le loro democrazie.
Fu Papa Francesco a rendere famosa la felice intuizione del “Cambio d’Epoca” che voleva allertare l’opinione pubblica mondiale sui cambiamenti radicali che attraversano il nostro tempo: sconvolgimenti climatici, grandi migrazioni, guerra mondiale a pezzi, rivoluzione digitale e l’ultima sfida della tecnica che con l’Intelligenza Artificiale ci traghetterebbe verso il transumanesimo.
L’Italia naviga in questo mare tempestoso, un po’ spaventata per aver scoperto, dopo il trauma del COVID, la novità della guerra nel cuore dell’Europa e l’ennesima devastante crisi in Palestina. A dire il vero alcuni segnali di sfiducia nelle istituzioni erano stati percepiti nel corso delle elezioni politiche e regionali del 2022 con il crollo della partecipazione dei cittadini al voto. In Sardegna nelle elezioni regionali del 2019 non andarono a votare 670.000 sardi su una popolazione di un milione e mezzo di abitanti. Dunque che dire?
Il cantiere della politica è ingombro di macerie già da tempo con l’imperversare di populismi di ogni colore, da quello televisivo a quello dei giovani leader che salgono e scendono velocemente dal palazzo del potere, ai sovranismi che
sollecitano le paure della gente verso i migranti, a un sistema di bipolarismo conflittuale che non sembra facilitare la coesione del Paese nella consapevolezza di un destino comune. Certamente sarebbe tempo di sfatare un pericoloso luogo comune che si sta affermando sul ruolo dei cattolici nella vita del Paese, che sarebbero cioè capaci di grande aggregazione sul versante della coesione sociale ma non nella politica.
A questo paradosso risponde Stefano Zamagni, già Presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, il quale ritiene che la più grande responsabilità dei cattolici sia stata, in questo tempo di diaspora, proprio la rinuncia
a produrre cultura politica, a immaginare una propria visione della “città dell’uomo” attingendo ai valori cristiani e alla Dottrina sociale della Chiesa. E Papa Francesco, già all’inizio del suo pontificato nel 2013, ha esortato i cattolici a non restare al balcone e a Cagliari davanti al popolo sardo ha quasi gridato “Non fatevi rubare la speranza”.
Questo nuovo secolo rivolge domande incalzanti a tutti, dalla questione capitale della pace alla difesa della libertà e della democrazia ma i cattolici non possono dimenticare di essere portatori di una religione incarnata e che il regime di cristianità può essere finito ma non il tempo del cristianesimo.
Antonio Secchi
Pubblicato su la “Voce serafica della Sardegna”