Il Centro Studi Rosario Livatino pubblica (CLICCA QUI)
Un’analisi secondo la logica economica.
1.Il dibattito sulla regolamentazione
Il disegno di legge in discussione in Parlamento finalizzato a rendere la cosiddetta maternità surrogata reato universale nell’ordinamento giuridico italiano ha riacceso il mai del tutto sopito dibattito su questa pratica riproduttiva, popolarmente indicata (non a torto, come vedremo più avanti), come “utero in affitto”.
Il dibattito è per la maggior parte popolato da argomentazioni di tipo etico strettamente intrecciate da temi giuridici. I contrari dell’utero in affitto lo giudicano incompatibile “con la dignità della persona umana nella sua dimensione oggettiva” in linea con le parole della sentenza a sezioni riunite della Corte di Cassazione (n. 38162 del 30 dicembre 2022) e sostengono la necessità di perseguire il reato anche nei casi in cui sia commesso all’estero da cittadini italiani. Lo scopo è evitare forme di aggiramento del divieto basate su una strategia del fatto compiuto, in cui una coppia sterile utilizza l’utero in affitto all’estero per poi rivendicare il riconoscimento della genitorialità (iscrizione all’anagrafe nel nucleo famigliare, stepchild adoption) per il “miglior interesse del bambino”. I favorevoli alla legalizzazione hanno posizioni più variegate. Alcuni, in nome della laicità, considerano il giudizio di immoralità della pratica frutto di valori non necessariamente condivisibili da tutti, argomentando talvolta a favore della positività morale di un “diritto di diventare genitori” che non si potrebbe negare agli adulti. Altri, maggiormente sensibili agli evidenti rischi di sfruttamento delle donne intrinseci alla tecnica, chiedono di sostituire il divieto assoluto con una regolamentazione che sia capace di garantire adeguatamente i diritti e la dignità di tutti i soggetti coinvolti.
A questa seconda linea di sembra riferirsi Zagrebelsky che su Repubblica del 25 maggio ha argomentato a favore della maternità surrogata solo nei casi in cui essa rappresenti un “atto gratuito di solidarietà umana” effettuato dalla donna al di fuori delle logiche di mercato. Secondo l’ex presidente della Corte Costituzionale l’utero in affitto non rappresenterebbe una pratica medica moralmente inaccettabile per le modalità con cui viene coinvolta la vita fisica e psichica della donna: ciò che renderebbe morale o immorale (e quindi più o meno accettabile nel nostro quadro giuridico) sarebbero solo le intenzioni della donna che, prestandosi ad una maternità surrogata “altruistica”, “solidale” potrebbe addirittura favorire il raggiungimento di obiettivi socialmente positivi (diritto a diventare genitori per le coppie sterili), evitando al contempo “la riduzione d’ogni realtà dell’esistenza a merce commerciabile”, similmente a quanto accade nel caso della donazione volontaria di organi.
Le obiezioni su piano morale e giuridico a questa posizione sono state espresse da diversi commentatori. In quanto segue, viceversa, proporrò una critica alla “linea della regolamentazione” a partire da argomenti tratti dalla scienza economica.
2.La filiera procreatica come settore produttivo
Un approccio di questo genere non dovrebbe stupire troppo. Dopotutto lo sviluppo delle tecnologie procreatiche ha fatto nascere una vera e propria industria globale con forti prospettive di crescita[1], una filiera procreatica che può essere studiata dall’economista con la sua usuale cassetta degli attrezzi, come si fa con le altre filiere. La procreatica è un vero e proprio settore dell’economia, caratterizzato da un processo che porta alla produzione del bambino. Che l’oggetto della transazione finale, infatti, sia un “bambino in braccio” è ben testimoniato dalle garanzie offerte dalla Gestlife ai propri clienti, messe nero su bianco nel sito web della compagnia: esse includono la promessa di ripetere gratuitamente il processo in caso di morte del bambino durante i due primi anni di vita[2]. Che con la diffusione globale di queste tecnologie riproduttive sia cresciuto esponenzialmente il rischio di un vero e proprio commercio di bambini, che approfitta delle asimmetrie nelle regolamentazioni dei vari paesi per svilupparsi, è stato denunciato da ONG[3] e studiosi di diritto (Smolin, 2016).
Il processo procreatico può essere scomposto in fasi (produzione di gameti, fecondazione in vitro, conservazione e impianto di embrioni, gravidanza in un utero in affitto). Quando le diverse fasi non sono integrate verticalmente nella stessa unità di produzione, la filiera genera dei veri e propri mercati di semilavorati, come testimoniano i flussi di import ed export analizzati dall’annuale Relazione al Parlamento del Ministro della Salute sulla applicazione della legge 40. Anche la foto, ormai famosa, pubblicata durante la prima ondata della pandemia, rappresentante bambini nati dopo una gravidanza in affitto bloccati in un albergo di Kiev, in attesa che le frontiere venissero riaperte, rappresenta plasticamente uno dei tipici problemi che può essere necessario affrontare nel commercio internazionale (merci bloccate alla frontiera per barriere tariffarie o non tariffarie).
Insieme con una serie di mercati specifici, la filiera procreatica ha sviluppato anche una contrattualistica tipica per regolare le transazioni (compravendita di gameti, fornitura di servizi tecnologici, concessione delle proprie funzionalità riproduttive). La filiera procreatica ha sviluppato anche un suo specifico marketing, facilmente rinvenibile on line nei siti delle principali imprese procreatiche e che periodicamente si manifesta in fiere volte a fare incontrare la domanda e l’offerta. Quest’anno, ad esempio, si è svolta a Milano 20 e il 21 maggio, la fiera intitolata Wish for a baby[4].
Infine, come in ogni settore produttivo che si rispetti, vengono definiti i prezzi ai quali possono avvenire le transazioni, con variazioni nei diversi paesi a seconda del diverso costo dei fattori produttivi e delle diversità nei sistemi di regolamentazione. Capita così che la carenza di donne disposte a cedere i loro ovuli faccia crescere il prezzo di questo input in un determinato mercato[5], oppure che gli economisti quantifichino il calo di offerta di seme che si registrerebbe a seguito di una modifica della regolamentazione che non garantisse più l’anonimato genetico al cosiddetto “donatore”, e il corrispondente premio di prezzo che dovrebbe essere riconosciuto ai fornitori rimasti sul mercato perchè accettino di continuare le loro prestazioni (Cohen et al., 2016).
Quella che la legge 40 definisce “maternità surrogata” è come abbiamo visto, solo una fase del processo produttivo. Una coppia sterile (o un’impresa che si pone come intermediaria tra una coppia sterile e la donna) corrisponde un compenso ad una donna disposta a lasciare impiantare nel suo utero un embrione prodotto in precedenza con le tecniche procreatiche, affinchè si sviluppi in un bambino che verrà consegnato ai committenti subito dopo il parto. Lo sviluppo di questa pratica all’interno di una filiera economica, la presenza di contrattualizzazione e compenso monetario, il riferimento alla sola gravidanza nella descrizione della prestazione (consegna immediata del bambino, uso di termini come “gestazione per altri” o “gestazione solidale”) mostrano come la metonimia “utero in affitto” ben descriva il contenuto economico dello scambio che viene realizzato. Il termine “maternità” usato nella legge, viceversa, da un punto di vista economico è impreciso dal momento che il bambino è contrattualmente destinato a essere figlio di chi acquista il servizio e non della donna che cede tale servizio.
3.I problemi di contrattualizzazione dell’utero in affitto
Molte ragioni di natura economica suggeriscono che la regolamentazione di qualsiasi forma di cessione della gravidanza sarebbe illusoria e andrebbe incontro a molteplici problemi. In primo luogo esistono evidenti problemi di contrattualizzazione. Una qualche forma di definizione di responsabilità e reciproche obbligazioni tra le parti coinvolte sarebbe comunque necessaria, anche nell’ipotetico caso “solidale”. Del resto è la stessa richiesta di una qualche forma di regolamentazione che implicitamente ammette la necessità di una definizione formale dell’evento che si intende regolamentare, perchè sia possibile definire i termini dell’accordo tra le persone adulte coinvolte.
Il problema tuttavia è che nel caso della gravidanza, qualsiasi contratto venga sottoscritto, a titolo oneroso o gratuito, è per definizione “incompleto”. In primo luogo esiste una intrinseca difficoltà di definire esattamente la natura della prestazione. Come stabilire infatti l’esatto confine tra la funzione riproduttiva oggetto del contratto e le altre funzioni fisiologiche? Si consideri ad esempio il caso in cui insorgano problemi di salute nella donna o nel bambino, per le quali si prospettino opzioni terapeutiche alternative, con differenti livelli di coinvolgimento dell’organismo dell’una o dell’altro. È evidente l’impossibilità di definire ex-ante (come richiederebbe una contrattazione completa) una casistica di tutte le possibili situazioni, con le relative prescrizioni concordate.
Ma c’è un ulteriore aspetto che rende ancor più difficile una definizione precisa dell’oggetto del contratto. La relazione tra donna e bambino, infatti, va al di là dei semplici scambi fisiologici organici, investendo la sfera esperienziale/emotiva di entrambi. La più recente ricerca medica mostra infatti che la relazione madre-figlio durante la gravidanza è estremamente ricca e portatrice di conseguenze anche dopo il parto per entrambi[6]. Dato l’obiettivo della transazione, uno dei problemi che possono mettere a rischio l’esecuzione del contratto (cioè la consegna del bambino dopo il parto) è il processo di attaccamento/identificazione che si instaura tra gestante e bambino. Non stupisce allora che i contratti cerchino di delimitare anche l’ambito delle loro relazioni personali durante tutta la gravidanza. Alle madri surrogate, oltre a prescrizioni mediche ovvie (come non fumare o seguire una determinata dieta) può venire anche richiesto di seguire una serie di regole di comportamento che possono includere il divieto di accarezzare la pancia, di cantare sotto la doccia, di parlare o cantare al bambino, oltre all’obbligo di sottoporsi a psicoterapia per favorire il distacco affettivo dal bambino[7]. Al di là di ogni giudizio morale su questa tipologia di “patti”, che nel caso di una eventuale legalizzazione sarebbe necessario regolamentare, appare evidente l’illusorietà di una separazione della funzione fisiologica dalla dimensione che potremmo definire esistenziale della gravidanza. In quanti modi più o meno espressi o esprimibili la madre e il bambino possono infatti entrare in una relazione personale durante i nove mesi di gravidanza?
L’inevitabile incompletezza dei contratti di utero in affitto dipende infine dal fatto che quella della gravidanza è una “esperienza personalmente trasformativa” (Paul, 2015). Portare nel proprio grembo e dare alla luce un bambino genera un radicale mutamento nell’esistenza della donna al punto che, in un certo senso, la donna che partorisce non è più quella che ha firmato il contratto per la cessione della gravidanza. Senza entrare nel merito della letteratura specialistica[8] ciò che conta qui è sottolineare che l’impatto psicologico dell’esperienza connessa allo stesso contenuto del contratto può essere causa della sua non esecuzione, come testimoniano i numerosi casi di contenzioso giuridico tra madri surrogate che dopo il parto non vogliono consegnare il bambino e le coppie committenti.
Dal punto di vista dell’economista l’incompletezza dei contratti genera inefficienza nel modo in cui il mercato fa incontrare domanda e offerta. Nel caso dell’utero in affitto esiste un inevitabile trade off tra definizione contrattuale ex ante ed esposizione a rischi di rottura (hold up) del contratto o sua rinegoziazione ex post in caso di situazioni non previste dal contratto stesso. In contesti giuridici certi, come negli USA o in altri paesi sviluppati in cui la pratica è legale, la tendenza inevitabile è la produzione di una regolamentazione per quanto possibile rigida. Questo accresce i costi connessi alla transazione oltre il prezzo della prestazione stessa. È noto che oltre ai costi per la produzione degli embrioni e l’impianto, il costo sostenuto dai committenti per la gravidanza solo in parte va a remunerare la donna[9], includendo una serie di servizi aggiuntivi forniti da soggetti intermediari (garanzie legali e assicurative, servizi complementari come la psicoterapia). Per inciso questo mostra che anche nel caso di una ipotetica gravidanza “solidale” sarebbe difficile escludere del tutto la dimensione economica e di mercato dalla realizzazione del servizio. Soggetti terzi con finalità non solidaristiche verrebbero, con ogni probabilità, coinvolti e avrebbero interesse a promuovere la pratica.
Come abbiamo visto in precedenza, inoltre, anche una puntuale regolamentazione ex ante dei contratti non potrebbe comunque evitare possibili contenziosi ex post, con un ulteriore incremento dei costi di transazione complessivi. L’inevitabile conseguenza dell’inefficienza del mercato della gravidanza in affitto “regolamentato” è lo spostamento delle transazioni in contesti dove i diritti dei soggetti coinvolti, in particolare delle donne che forniscono il servizio, sono meno garantiti. È quello che è stato possibile osservare con la crescita della filiera procreatica: la creazione di un mercato globale. Non è un mistero per nessuno che il prezzo pagato dai committenti sia decisamente più basso in paesi come l’India, dove per molti anni una sostanziale deregulation ha creato un mercato fiorente per la pratica e dove numerose violazioni dei diritti delle donne e dei bambini sono state testimoniate, fino ad una radicale restrizione della pratica alla fine del 2019. O in paesi come l’Ucraina o la Georgia, dove situazioni di povertà rendono più facile trovare candidate per la gravidanza. Inchieste svolte dalla stampa internazionale hanno più volte e anche recentemente[10] portato alla luce pratiche di sfruttamento e maltrattamento delle donne e altre pratiche spregiudicate nella gestione del processo procreatico da parte delle agenzie intermediarie[11].
4.Dubbi sulla cessione “solidale” della gravidanza
I promotori di una cessione solidale della gravidanza, di fronte a tali conseguenze avverse, sostengono che la cessione dell’utero per gravidanze per conto terzi da parte di donne disponibili potrebbe essere sottratta alla logica del mercato tramite una adeguata regolamentazione. Ci sono in realtà molti aspetti dell’attuale mercato che fanno dubitare riguardo questa possibilità. Abbiamo già visto come la semplice cessione, anche a titolo gratuito, della gestazione non escluderebbe l’interesse da parte di operatori economici ad operare attivamente in questo settore per la fornitura di servizi di intermediazione. Questi sono necessari in un accordo che implica elevate asimmetrie informative tra committente e fornitrice della prestazione: le coppie sterili vorrebbero verosimilmente informazioni affidabili sulla donna (stato di salute, situazione economica) prima di stringere qualsiasi accordo. Rimarrebbe inoltre la necessità di assistenza legale, soprattutto nel caso dell’acquisto del servizio all’estero, e tecnologico-sanitaria per quanto riguarda la realizzazione dell’impianto in utero e la supervisione medica della gravidanza.
Un altro aspetto che fa dubitare sulla possibilità di una cessione “gratuita” dell’utero riguarda il sistema corrente di “rimborsi” che vengono erogati alle donne. La donna che acconsente a vivere una gravidanza per conto di altri accetta limitazioni di comportamento più o meno estese, che in genere includono la sospensione delle attività lavorative. Di solito viene corrisposta una somma equivalente a quanto la donna potrebbe mediamente guadagnare durante la gravidanza[12]. Questo è uno dei motivi per cui, come abbiamo visto, i committenti dei paesi a reddito elevato hanno un interesse economico a commissionare la gravidanza in paesi più poveri. Tuttavia una qualsiasi legislazione che limitasse le gravidanze vissute per altri al solo caso solidale non potrebbe accettare questa modalità di quantificazione che, dal punto di vista economico, configura la prestazione di utero in affitto come una attività lavorativa. I rimborsi dovrebbero essere limitati alle sole spese connesse al servizio che gravano sulla donna, come quelle sanitarie o di viaggio. È evidente che a queste condizioni l’offerta del servizio subirebbe una drastica limitazione, considerato che la gran parte delle donne disponibili a questa pratica procreatica hanno un reddito basso o inesistente.
Ci sono inoltre motivi per dubitare che la soluzione solidale sarebbe realmente accettata anche sul lato della domanda. In una ipotetica surrogazione solidale, come quella auspicata da Zagrebelski, si intenderebbe sostituire lo scambio di mercato con il dono. È bene tuttavia non dimenticare che anche il dono, come lo scambio, implica una dimensione di reciprocità. Nella transazione di mercato la reciprocità viene completamente esaurita dalla prestazione economica e dalla controprestazione monetaria: venditore e compratore concordano sul fatto che il prezzo corrisponde esattamente al valore della merce, cosicchè la sua corresponsione elimina qualsiasi obbligazione del secondo rispetto al primo. Anche il dono può essere visto come una prestazione del donatore a favore del ricevente. E questo crea un legame tra le persone che molto spesso è il vero obiettivo del dono. In un articolo del 1997 Avner Offer illustra le caratteristiche di quella che chiama “economia del rispetto reciproco” (economy of regard)[13] esplorando le diverse modalità con cui la dimensione del dono spesso si intreccia e addirittura è capace di rendere più efficienti le stesse relazioni di mercato[14]. Due sono le caratteristiche che distinguono un dono da uno scambio. Innanzitutto deve essere liberamente corrisposto senza attendere niente in cambio. Inoltre non deve produrre alcuna obbligazione nel ricevente. Colui che riceve il dono, per poterlo percepire come tale, deve essere in grado di ricambiarlo ma allo stesso tempo non deve sentirsi in alcun modo obbligato a farlo. È evidente ad esempio, che un dono troppo grande da parte una persona abbiente in qualche modo poneun ricevente significativamente più povero, che non potrebbe contraccambiarlo, in una posizione di subalternità.
Questa ultima caratteristica è rilevante nell’ipotetico caso della cessione solidale della gravidanza. Anche supponendo che una donna possa decidere liberamente di prestare il suo utero a titolo gratuito, quale potrebbe essere la posizione della coppia sterile che riceve questo dono? È evidente infatti che si tratta di un dono che non può essere contraccambiato con alcunchè di equivalente: avere un figlio è infatti qualche cosa di non valutabile, come del resto la stessa narrazione offerta dal marketing delle imprese procreatiche sottolinea sistematicamente, proprio per giustificare il prezzo dei servizi offerti. Si tratterebbe inoltre di un dono che, quantomeno psicologicamente, produrrebbe una obbligazione nella coppia sterile che lo riceve. In sintesi, la natura della prestazione sembra incompatibile di per sè con una genuina dinamica di dono. È ragionevole pensare che i committenti preferiscano una prestazione a titolo oneroso. Un divieto assoluto di corresponsione di un compenso sarebbe perpetuamente a rischio di essere eluso od aggirato, generando verosimilmente controversie di interpretazione della legge difficili da risolvere (fino a che punto un regalo che vorrebbe esprimere la gratitudine dei committenti corrisponde ad un dono e non diventa un compenso)?
Il complesso di problematiche di una ipotetica versione solidale della cessione della gravidanza che ho discusso su un piano economico mi sembra che facciano chiaramente emergere il rischio per qualsiasi regolamentazione di essere perennemente a rischio di “forzatura” giurisprudenziale da un lato senza prevenire la formazione di un mercato illegale dall’altro.
5.Esternalità negative: la posizione del bambino.
Fino a questo punto abbiamo considerato cosa suggerisca la prospettiva economica nell’analisi dei rapporti tra coppia sterile committente e donna che presta il servizio di utero in affitto, individuando una serie di problematiche generate dalla natura stessa della transazione, che rendono aleatoria la pretesa di una sua regolamentazione. Gli effetti di questo scambio, tuttavia, vanno oltre i contraenti coinvolgendo almeno un terzo soggetto. Il contratto di utero in affitto genera infatti una serie di conseguenze avverse sul bambino, che secondo una prospettiva economica possiamo considerare vere e proprie esternalità negative. Una esternalità negativa è una conseguenza avversa generata da una transazione che colpisce un soggetto terzo rispetto a venditore e compratore, in assenza di qualsiasi forma di compensazione. In un precedente lavoro (Rocchi, 2019) ho discusso la posizione del bambino nella filiera procreatica; qui mi limiterò a richiamare gli aspetti più rilevanti nel caso dell’utero in affitto che, come abbiamo sottolineato prima, costituisce solo la fase finale dell’intero processo produttivo procreatico.
Innanzitutto si deve sottolineare il potenziale stress subito dal bambino durante la gravidanza, connesso all’anomala posizione psicologica della gestante. Come abbiamo visto, proprio per evitare processi di attaccamento che potrebbero mettere a rischio l’esecuzione del contratto (consegna del bambino al termine della gravidanza), la gestante surrogata, viene indotta a separare la sua esperienza emotiva dalla realtà fisiologica della gravidanza. È noto tuttavia che tutte le fonti di stress subite dalla madre durante la gravidanza generano effetti fisiologici ed emotivi anche nel bambino non ancora nato. Certe limitazioni al comportamento e condizioni psicologiche durante la gravidanza sembrano capaci di interferire significativamente sullo sviluppo di quella simbiosi del bambino con la madre che costituisce una componente imprescindibile del benessere nelle prime fasi dell’esistenza del nascituro, sia prima che dopo il parto (Mieli, 2017).
Una seconda conseguenza avversa è costituita dal distacco programmato al momento del parto da quella che per il bambino è la madre. Gli studi mostrano come il bambino lo sviluppo e l’esercizio dell’apparato sensoriale (gusto, olfatto, udito) durante la gravidanza metta in grado il bambino di riconoscere la madre (il suo odore, la sua voce) immediatamente dopo la nascita. Un riconoscimento che è fonte di conforto nell’esperienza inevitabilmente traumatica della nascita e che costituisce la prima base del suo sviluppo relazionale.
Una terza, ovvia, conseguenza avversa è l’inevitabile ricorso all’allattamento artificiale nel caso dei bambini nati dopo una gravidanza per conto terzi. Come noto, l’allattamento artificiale, pur con tutti i miglioramenti dovuti allo sviluppo scientifico e tecnologico, rimane solo una opzione sostitutiva e comporta rischi sanitari specifici che sono ragionevoli solo quando l’allattamento naturale non sia fisiologicamente possibile. Da questo punto di vista, per il benessere del bambino, sarebbe opportuno che i contratti di utero in affitto includessero anche l’allattamento da parte della gestante surrogata. Tuttavia, per tutti i motivi discussi in precedenza, questa opzione non viene di solito considerata, dal momento che farebbe crescere i rischi di non esecuzione del contratto, favorendo l’attaccamento tra la donna e il bambino.
6.Conclusioni.
In questo saggio le caratteristiche e le conseguenze personali e sociali della pratica dell’utero in affitto sono state analizzate secondo una prospettiva economica. La cessione della gravidanza a favore di terzi è solo la fase terminale di un processo produttivo, quello procreatico, che ha dato luogo ad una vera e propria catena globale del valore. Nell’articolo è stata esaminata la natura delle transazioni per la fornitura di tale servizio, con una particolare attenzione alla natura dei contratti che le regolano e alle loro intrinseche caratteristiche di incompletezza.
La natura della prestazione rende i contratti per l’affitto dell’utero incerti, soggetti a elevati costi di transazione, con rischi accentuati di sfruttamento della fornitrice del servizio, che in genere si trova in una posizione di svantaggio economico. Inoltre questa pratica procreatica produce programmaticamente effetti avversi sul bambino. Per l’economista si tratta di esternalità negative che mettono in discussione la capacità di questo specifico mercato di massimizzare il benessere sociale. Ma sembra evidente che dovrebbero essere ancora prima valutate sul piano del rispetto dei diritti della persona. Mentre infatti gli attori adulti scelgono deliberatamente lo scambio, con tutte le conseguenze che esso porta sul piano personale, lo stesso non può dirsi del bambino che di fatto le subisce.
L’analisi proposta, confermata dall’evidenza offerta dalle realtà in cui l’utero in affitto è già una pratica consentita dalla legge, mette in dubbio l’efficacia di una qualsiasi regolamentazione dell’utero in affitto, sia con finalità economiche che in una qualche forma solidale. La tecnologizzazione della riproduzione tende inevitabilmente a trasformare i rapporti tra i soggetti che a diverso titolo partecipano alla filiera procreatica in rapporti economici. Innanzitutto l’utilizzazione delle tecniche procreatiche richiede investimenti, competenze tecnico-scientifiche e capacità organizzative rilevanti, che difficilmente potrebbero essere rese disponibili in modo completamente solidaristico. Inoltre tutte le transazioni che, almeno in teoria, coinvolgono individui (come nel caso della concessione della gravidanza) e che potrebbero realizzarsi come “atto gratuito di solidarietà umana”, evitando “la riduzione d’ogni realtà dell’esistenza a merce commerciabile”, generano inevitabilmente interessi economici per terzi (le imprese della filiera), che operano con finalità di lucro. Inoltre la stessa natura delle motivazioni personali mette seriamente in discussione questa possibilità, facendola apparire come una petizione di principio fortemente disancorata dalla realtà. I confini tra un accordo solidale e una transazione di mercato sarebbero difficilmente definibili sul piano regolamentare, condannando con ogni probabilità qualsiasi legge ad una sua continua “riscrittura” giurisprudenziale. È bene inoltre ricordare che il problema delle esternalità negative a sfavore del bambino non sarebbe minimamente intaccato da una ipotetica realizzazione solidale della gestazione per conto terzi.
Un’ultima considerazione merita di essere fatta con riferimento alla proposta di rendere l’utero in affitto un reato universale, attualmente in discussione nel Parlamento italiano. Dal punto di vista della logica economica la proposta appare assolutamente coerente per chi considera incompatibile con la dignità umana questa pratica. La filiera procreatica è una filiera globale e la stessa logica economica tende a spostare le fasi del processo produttivo in contesti dove il costo dei fattori è minore (minore reddito medio) e i vincoli di legge e le garanzie per le persone meno stringenti (con la possibilità di ridurre i costi contrattuali). Viene semmai da chiedersi se lo stesso ragionamento non possa essere ampliato nella sua portata: l’utero in affitto, infatti, porta alle estreme conseguenze il controllo tecnologico della riproduzione umana che contraddistingue tutto il processo produttivo procreatico. Le conseguenze avverse di questa scelta collettiva, probabilmente, vanno molto oltre la subordinazione della riproduzione alle logiche del mercato.
Benedetto Rocchi
Riferimenti bibliografici
Avner Offer 1997. Between the gift and the market: the economy of regard. Economic History Review, 50(3): pp. 450-476.
Bellieni C. (a cura di) 2011. Sento dunque sono. Sensi e sensazioni del feto. Siena, Cantagalli.
Cohen G., Coan T., Ottey M. e Boyd C. 2016. Sperm donor anonymity and compensation: an experiment with American sperm donors. Journal of Law and the Biosciences: pp. 1-21, 2016. doi:10.1093/jlb/lsw052. https://papers.ssrn.com/sol3/Delivery.cfm/SSRN_ID2876367_code358116.pdf?abstractid=2876367&mirid=1.
Gui B., Sugden R. (eds.) 2005. Economics and Social Interaction: Accounting for Interpersonal Relations. Cambridge, Cambridge University Press
Mieli G. 2017. Il bambino non è un elettrodomestico. Milano, Feltrinelli.
Myrskylä M., Margolis R. 2014. Happiness: Before and After the Kids. Demography 51: pp.1843–1866. DOI 10.1007/s13524-014-0321-x
Paul L.A. 2015. What you can’t expect when you’re expecting. Res Philosofica, 92(2): pp.149-170. https://lapaul.org/papers/whatCantExpect.pdf.
Rocchi B. 2019. Il bambino nella filiera procreatica. Profiling. I profili dell’abuso. 10(4). https://www.onap-profiling.org/il-bambino-della-filiera-procreatica/.
Rotabi K.S, Mapp S., Cheney K., Fong R., McRoy R. 2017. Regulating commercial global surrogacy: the best interests of the child. Journal of Human Rights and Social Work, 2: pp. 64–73. DOI 10.1007/s41134-017-0034-3. https://link.springer.com/content/pdf/10.1007/s41134-017-0034-3.pdf?pdf=button%20sticky.
Smolin D.M. 2016. Surrogacy as the Sale of Children: Applying Lessons Learned from Adoption to the Regulation of the Surrogacy Industry’s Global Marketing of Children. Pepperdine Law Review, 43(2): 265-344. https://digitalcommons.pepperdine.edu/plr/vol43/iss2/2.
[1] La Global Market Insights stima un fatturato globale nel 2022 di 14 miliardi di dollari e una crescita media annua nel prossimo decennio di oltre il 24%, che porterebbe il giro di affari a 129 miliardi di dollari nel 2032. https://www.gminsights.com/industry-analysis/surrogacy-market.
[2] “…restarting the programme free of charge in case of death of the baby during the first two years of life (STANDARD PLUS and PREMIUM programmes)” Le garanzie offerte dalla Gestlife sono reperibili all’indirizzo web https://www.uk.gestlifesurrogacy.com/guarantees-in-surrogacy.php.
[3] E’ il caso della International Social Service: http://issmailing.org/index.php/en/what-we-do-en/surrogacy
[4] https://www.wishforababy.it/.
[5] Piccini M. (2019). AAA Ovodonatrici cercasi. Elle, 18 maggio: 86-87. https://www.elle.com/it/salute/benessere/a27372506/fecondazione-assistita-legge-40/.
[6] La letteratura è vastissima e va oltre le competenze dell’autore: un testo che può dare un’idea anche al lettore non specialista è (Bellieni, 2011).
[7] Frullone R. Utero in affitto. Dal Kosovo all’Ucraina così reclutano le “cicogne”. Il Timone, n.228, maggio 2023: pp. 10-13.
[8] Esiste un filone di ricerca a cavallo tra demografia, psicologia e studi sociali che si occupa dell’impatto del diventare genitori sulla felicità delle persone (Myrskylä e Margolis, 2014).
[9] Secondo una recente inchiesta del Guardian, dei 40.000$ pagati dalla coppia committente alla BiotexCom per una maternità surrogata in Ucraina, va alla donna che concede il suo utero circa la metà: cfr Lorenzo Tondo and Artem Mazhulin, ‘The bombs won’t stop us’: business brisk at Ukraine’s surrogacy clinics. The Guardian, 26 luglio 2023. https://www.theguardian.com/world/2023/jul/26/the-bombs-wont-stop-us-business-brisk-at-ukraines-surrogacy-clinics.
[10] lya Gridneff, Emily Schultheis and Dmytro Drabyk, Inside a Ukrainian baby factory. Politico, 23 luglio 2023. https://www.politico.com/news/2023/07/23/ukraine-surrogates-fertility-00104913.
[11] Si vedano ad esempio Caterina Giojelli, Come scintilla lo squallido mercato dei figli. Tempi, 4 luglio 2020. https://www.tempi.it/come-scintilla-lo-squallido-mercato-dei-figli/, e Oksana Grytsenko, The stranded babies of Kyiv and the women who give birth for money. The Guardian, 15 giugno 2020. https://www.theguardian.com/world/2020/jun/15/the-stranded-babies-of-kyiv-and-the-women-who-give-birth-for-money.
[12] Esiste nella letteratura relativa agli studi sociali una linea di pensiero che sostiene che, se opportunamente regolamentato, l’utero in affitto sarebbe una opportunità di lavoro per le donne e non una forma di sfruttamento. Cfr. ad esempio (Rotabi et al, 2017). Accettare questa visione, ovviamente, implica che il compenso da corrispondere alle donne sia una vera e propria remunerazione.
[13] Il termine “regard”, ha in realtà in inglese una molteplicità di significati che includono la stima per l’altro, il tenere in considerazione l’altro, il riguardo verso una persona e le sue necessità.
[14] Molta letteratura economica sui beni relazionali si occupa di questo. Cfr. ad esempio (Gui e Sugden, 2005).