A più di 70 giorni dall’inizio dell’attacco russo dell’Ucraina e con la crescita continua delle terribili ferite inferte alla popolazione del paese aggredito, delle distruzioni di infrastrutture civili (scuole, ospedali, abitazioni), dei danni enormi alla vita economica dell’Ucraina (ma anche di altre parti del mondo come i paesi africani che dipendevano dalle sue derrate alimentari), il dovere di interrogarsi sulle possibilità della pace è urgente. Lo è pensando prima di tutto al popolo ucraino e alle sue sofferenze, ma anche al popolo russo che per colpa della folle scommessa di un governo autocratico patisce anche esso conseguenze fortemente negative. Infine, come cittadini di una Europa che va anche oltre i confini dell’Unione Europea, non possiamo non preoccuparci di una situazione nella quale i principi della carta delle Nazioni Unite sono stati palesemente violati attraverso l’occupazione di estesi territori di un altro stato sovrano, e una grande potenza, membro per di più del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, ha deciso di farsi ragione con le armi.
La ricerca della pace e la sua faticosa costruzione richiedono l’impegno di tutti ma in modo particolare dell’Unione Europea, sia in quanto “esperta di costruzione della pace” nel suo complesso e variegato territorio, che in quanto comunità politica bisognosa di svilupparsi in un ambiente pacifico. Ma la ricerca della pace esige una chiara individuazione degli obiettivi da raggiungere. Chi invoca la pace non può esimersi dal chiedersi in che cosa essa consista e quali condizioni essa richieda. Qualche politico italiano di “bassa lega” sembra invece credere che basti dire “pace”, fingendosi un neo-adepto di papa Francesco (che invece su tutt’altro piano si sta muovendo).
Occorre innanzitutto ribadire che la pace non è un semplice cessate il fuoco (che pure sarà certo un passaggio necessario in quella direzione), ma la creazione di condizioni che consentano di sviluppare una convivenza positiva e fruttuosa tra i paesi interessati e tale da non indurli a riprendere il percorso di guerra precedente. La pace richiede che sia costruito un quadro giuridico riconosciuto da tutte le parti e che si creino istituzioni in grado di facilitare la soluzione pacifica dei conflitti. Condizione necessaria è anche che venga fatto emergere un forte bilanciamento dei vantaggi (e dei costi) per tutte le parti in causa.
Se questo è vero, nel contesto attuale una pace compiuta e sostenibile presupporrebbe che tra la Russia e l’Ucraina sia ristabilito il rispetto dell’integrità territoriale e della sovranità della seconda, violate nel tempo dalla secessione pilotata da Mosca di parte del Donbass, dall’occupazione illegale della Crimea e poi dall’aggressione del Febbraio 2022. Questa chiara rinuncia alle ambizioni di espansione territoriale della Russia, dovrebbe essere accompagnata da forti misure di tutela delle minoranze russofone presenti in Ucraina attraverso un’ampia autonomia, internazionalmente garantita delle regioni di Luhansk e Donetsk nei confini del 2014 (o con qualche correzione territoriale), ma dentro i confini statali ucraini. La eliminazione graduale ma rapida delle sanzioni economiche verso la Russia dovrebbe poi portare a forme includenti di cooperazione economica tra Unione Europea e Russia. La neutralità e non inclusione nella Nato della Ucraina dovrebbero essere accompagnate da garanzie molto forti della sua indipendenza e integrità territoriale. Il ritiro delle truppe russe dai territori occupati dovrebbe essere facilitato dall’intervento di forze ONU di separazione tra le parti. Accordi Nato-Russia di reciproca riassicurazione, di riduzione militare nelle fasce di confine, controllo delle armi offensive dovrebbero essere parti integranti di questo grande accordo.
Un quadro di questo genere è certamente molto distante dal disegno sinora perseguito da Putin e dal suo entourage, ma sarebbe invece ampiamente favorevole agli interessi più veri della Russia (e della sua popolazione). Non la schiaccerebbe in una alleanza sfavorevolmente asimmetrica con la Cina sempre più autoritaria di Xi Jinping, le consentirebbe una integrazione non solo economica ma anche culturale e tecnologica con la realtà pluralista dell’Unione Europea e garantirebbe le sue esigenze di sicurezza. In questo quadro anche la questione della Crimea potrebbe trovare una soluzione legale soddisfacente.
Questo esito ideale, ma da non considerare come utopico, sembra difficile da raggiungere finchè sul fronte russo permane la leadership assoluta di Putin. Questo è però un problema interno alla Russia sul quale dall’esterno poco si può fare se non presentare con chiarezza uno scenario che non sarebbe umiliante per la Russia ma anzi nettamente più favorevole rispetto ad un perpetuarsi del conflitto. Perché questa proposta possa fare breccia nell’elite russa è necessario che l’Unione Europea e i suoi stati membri mostrino unità di visione e compattezza nel promuoverla.
Un accordo più minimalista di pace si baserebbe su rinunce bilanciate da entrambe le parti. Comporterebbe il riconoscimento internazionale dell’annessione russa della Crimea e del Donbass nelle dimensioni parziali del 2014 e la restituzione delle altre aree occupate dalla Russia all’Ucraina. Questo risultato subottimale rispetto alle ambizioni attuali della Russia le consentirebbe comunque di uscire da una guerra molto costosa e probabilmente di ottenere una progressiva riduzione delle sanzioni occidentali. Il sacrificio notevole sul piano dei principi per l’Ucraina dovrebbe essere reso più accettabile da garanzie rafforzate sulla sua sicurezza e indipendenza, da un ingresso accelerato nell’Unione Europea e da cospicui programmi internazionali di ricostruzione del paese (con compartecipazione finanziaria della Russia sui proventi del gas). Anche in questo caso sarebbe necessario perseguire accordi di disarmo bilanciato tra la Russia e la Nato.
L’alternativa ad accordi di pace (più o meno ottimali), sarebbe invece un congelamento “alla coreana” di una linea di fronte più o meno corrispondente all’attuale. Sui problemi e i costi di questo esito, che a qualcuno (soprattutto a qualche politico italiano) sembrerebbe più facile e più accettabile, occorre essere chiari. Significherebbe tenere in piedi in Europa una situazione di guerra fredda con alto potenziale di conflitto armato. Il congelamento sarebbe altamente instabile e aperto a ripetuti tentativi dell’una o dell’altra parte di migliorare le proprie posizioni con azioni di guerra. Per stabilizzarlo e garantire un certo equilibrio sarebbe probabilmente necessaria la presenza di cospicue truppe (europee, americane?) in Ucraina. Il sistema delle sanzioni permarrebbe con danni non indifferenti all’economia russa ma anche a quella europea. La situazione alimenterebbe la corsa al riarmo. In conclusione i perdenti sarebbero molti e i vincenti pochi (essenzialmente le industrie degli armamenti).
La strada per evitare questa ultima situazione, che è forse oggi sembra la più probabile, e cercare un vero accordo di pace è certamente in salita, irta di difficoltà, ma questo non giustifica la rinuncia ad esplorarla attivamente e con saggio realismo. Mentre è difficile immaginare oggi una adesione a questo itinerario della dirigenza russa troppo schiacciata sul disegno originario di Putin, la capacità dell’Unione Europea di elaborare un disegno di pace chiaro e di sostenerlo nel tempo con determinazione anche in presenza di forti difficoltà, potrebbe forse facilitare un processo di ripensamento anche in Russia e dare piena garanzia alla Ucraina che le sue ragioni non vengano svendute.
L’Italia, grazie all’autorevolezza europea dei suoi vertici attuali (Capo dello Stato e Capo del Governo), può e deve dare un contributo importante nell’orientare e tenere ben ferma la rotta della UE in questa direzione.
Maurizio Cotta