A quale futuro è destinato il M5S? Previsioni di questo tipo sono normalmente assai ardue, e per taluni soggetti lo sono molto di più. In questo momento anche le indicazioni dei fondatori e dei garanti sembrano aver perso l’usuale efficacia predittiva. La domanda perciò sarebbe futile, se non riguardasse un particolare della evoluzione del sistema politico.
Che cosa sta accadendo intanto? Viene in mente Peter Pan in politica, ma l’associazione è stata già utilizzata da altri negli anni scorsi. E poi quale Peter Pan, quello dell’opera originaria? Quello di Walt Disney? Quello invalso nel sentire quotidiano? Accenno (e azzardo) comunque poche riflessioni.
Coloro che avevano insistito per tenere una votazione sul si o sul no al Governo Draghi, ora non avendo vinto hanno chiesto che si rivotasse. Non ci stanno. Bisogna saper perdere veniva in mente, nei mesi scorsi, guardando Trump, ma aggiungerei che – in democrazia – chi non sa perdere non è auspicabile che vinca. La democrazia ha questa caratteristica di serietà, a volte drammatica, che quando si vota si è votato. Certo, una legislatura può finire anticipatamente, un sindaco può dimettersi, ma in una democrazia, che meriti questo nome, quando si è votato, poi si gioca con le carte che sono uscite.
I grandi partiti della prima repubblica erano più democratici e trasparenti. Si votava molto di più. E chi perdeva, se non si ricorreva a una gestione unitaria, si adattava a un turno in panchina. Un turno di panchina fatto con dignità, spirito costruttivo, intelligenza e lealtà, matura più punteggio.
Dunque, quando si manifesta l’immaturità democratica, le modalità ‘moderne’ e i mezzi tecnici non la sostituiscono.
Aggiungo che chi vuole operare come un partito, comunque denominato, dovrebbe maggiormente attenersi all’idea di partito contenuta nella Costituzione. Partiti padronali, leaderisti, movimentisti dovrebbero partecipare alla vita democratica del Paese, senza averne il gene nella propria identità?
Poi, non si può fare buona politica se le alternative sono o partecipare al Governo abbandonando gli ideali, o arroccarsi sugli ideali rinunciando a governare. Non è un dilemma accettabile. La buona politica è mettere di volta in volta il massimo di ideali nella concretezza delle decisioni possibili. Un lavoro ben più duro e fruttuoso, la politica, appunto. Ma forse le parole d’ordine del M5S, cioè gli elementi unificanti della prima ora, non pescano abbastanza in profondità nelle esigenze del Paese di fronte alla politica. Se così fosse la prova della politica, la prova della realtà, la prova del tempo, ineluttabilmente porterebbero allo scoperto le differenze profonde velate da quelle parole d’ordine.
Infine, periodicamente, nella società italiana si increspano alcune onde. Talvolta arrivano lontano e fin dentro i palazzi, come il M5S, altri come gli ormai antichi Girotondi e le recenti Sardine rifluiscono più rapidamente di quanto ci si aspetterebbe. La risacca a volte sembra persino silenziosa.
Questi testimoniano un’esigenza di politica, ma non si organizzano per soddisfarla. La relativa frequenza di queste onde induce a chiedere se i partiti in senso proprio non dovrebbero recuperare una maggiore capacità di accorgersi dei disagi e delle aspettative che si muovono nella società. Si fa presto a dire antipolitica, ma spesso l’antipolitica reagisce all’inadeguatezza della politica.
Anche una vera analisi della domanda civile e sociale, che si è espressa, o ha creduto di potersi esprimere, attraverso il M5S non mi risulta che sia stata fatta. Se è così questa domanda che resta insoddisfatta, e peggio se delusa dai tentativi intercorsi, è la vera questione politica. Insomma rimettiamo le orecchie sulla nostra società, le orecchie della mente e del cuore anche. Diamo energia e tempo alla vera elaborazione politica, quella che fa prevalere sulle proprie idee l’osservazione, l’ascolto, la comprensione della realtà sociale.
Vincenzo Mannino