“Cessate il fuoco” lo vadano a dire a Putin. La pace, una strategia effettivamente orientata alla pace non sopporta atteggiamenti ambigui. Neppure mascherati dentro una manifestazione che pare voglia proporsi come “apolitica”. La costruzione della pace è un’opera eminentemente politica e la pretesa di derubricarla sul piano della mera perorazione di valori, pur nobilissimi, potrebbe finire per assumere quell’impronta moralistica che, tutt’al più, appaga la coscienza dei pacifisti, ma ben poco recherebbe all’obiettivo. Non sarebbe, dunque, l’invocata assenza delle bandiere di partito alla manifestazione romana di sabato prossimo a conferirle autorevolezza.

Gli estremi si toccano ed il nulla della politica finisce per coincidere con il troppo, confondendo le acque dello spazio intermedio in cui le attese e le sensibilità della società civile e la ragionevolezza della politica si incontrano, anziché escludersi a vicenda.

Gli ucraini non possono e non devono cessare il fuoco, finché sono sotto l’attacco reiterato e continuo, ormai esteso a tutto il loro territorio, del nemico. Bisogna rendersi conto, una volta per tutte, che l’Ucraina sta combattendo una lotta di resistenza. Sarebbe stato lecito attendersi che dopo otto mesi di massacro indiscriminato, anche di civili e di centinaia di bambini, e di distruzioni mirate delle strutture essenziali alla normale vita civile, vi fosse qualche segno di stanchezza o di disorientamento del fronte interno, che, invece, non è mai stato osservato.

La ferocia di una guerra crudele non ha fiaccato le tenuta morale degli ucraini. A conferma del fatto che sanno di essere impegnati in una vera e propria guerra di popolo. Una guerra che merita rispetto e, conseguentemente, sostegno continuo ed aperto. E’ in gioco, del resto, la stessa legittimazione morale della nostra condizione di libertà, che non può essere, in nessun modo, fruita a scapito del massacro di un popolo sovrano, abbandonato cinicamente al proprio destino, nel segno di uno strappo alle più elementari regole della convivenza internazionale.

Le democrazie – ed, in tal senso, qualche scricchiolio comincia ad essere preoccupante – devono stare attente a non perdere la partita con i regimi dispotici non tanto sul campo di battaglia, bensì in quanto a coraggio e fedeltà ai propri principio di giustizia e di libertà. Il che sarebbe, in prospettiva, addirittura peggio.

Gli ucraini difendono niente di meno che la loro vita. Chi invoca il “cessate il fuoco”, anziché lanciare un appello indifferenziato alle parti in conflitto, chieda, anzitutto, a Putin di ristabilire il pieno rispetto del diritto internazionale, riportando le sue truppe entro i propri confini. E’ la condizione necessaria perché si possa discutere, sotto l’egida di garanzie internazionali, uno statuto di autonomia, dentro lo Stato ucraino, delle aree russofone ed un particolare regime, eventualmente temporaneo, di indipendenza della Crimea. In quanto a coloro che parlano di “equi-vicinanza”, c’è solo da sperare che si rendano conto della scivolosa ipocrisia verso cui stanno avviando il discorso pubblico sul conflitto ucraino.

Davvero si può essere equanimi – vicini o lontani che sia – nei confronti della vittima e del suo assassino? Ma di cosa stiamo parlando? Di un “buonismo” da quattro soldi? Del “politicamente corretto” con il carico di idiozie che spesso veicola sotto le apparenze di un atteggiamento pensoso? Oppure, di fatto, anche facendo premio alla buona fede di taluni, stiamo discutendo di un opportunismo che, per quanto ammantato di buoni sentimenti, induce a sacrificare l’Ucraina pur di sottrarsi alle minacce del Cremlino?

Affermare che si debba sostenere l’Ucraina e, ad un tempo, cessare l’invio di armi, vuol dire consegnarsi ad una ambiguità che mina, su ogni fronte, la credibilità’ di chi si fa carico di simili affermazioni. Ancor peggio pretendere di monetizzare la sofferenza del popolo ucraino, letteralmente “comprando” a suon di centinaia di miliardi – e, per quel che si capisce, a carico del mondo occidentale, non certo di chi l’Ucraina ha devastato – il loro cedimento a Putin.

Anche i pacifisti più rigorosi devono tener conto del fatto che spesso le azioni degli uomini producono effetti che vanno al di là o addirittura contro le loro intenzioni ed, in ogni caso, le fratture del campo occidentale anziché favorire la pace, rinfocolano la guerra.

Domenico Galbiati

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