In un tempo così drammatico- in cui non ci è consentito, nella Messa di Pasqua, di accostarci al Corpo di Cristo- offro una mia riflessione sulla vita di S. Tommaso d’Aquino: la sua abitudine di pregare a lungo-specialmente nei momenti difficili e nelle questioni dottrinali da risolvere- davanti all’Eucarestia, appoggiando la testa alla porticina del Tabernacolo.
Nel 1261, con l’elezione di papa Urbano IV, nella curia pontificia affluirono grandi figure come i domenicani Alberto Magno, Ugo di san Caro e un frate fiammingo, vissuto a lungo nell’impero bizantino e grande studioso della cultura e della lingua greca: Guglielmo di Moerbecke.
Con lui S. Tommaso d’Aquino si trovò subito in perfetta sintonia; nacque un’amicizia e un’intesa intellettuale che lo portò ad un sodalizio, con un obiettivo di grande portata: riscattare l’Occidente cristiano dal vassallaggio, ormai secolare, verso i commentatori arabi di Aristotele, come Avicenna e Averroè. Fra Guglielmo tradusse le opere dello Stagirita (Aristotele) dal testo originale greco; lui ne svolse il commento. Fu un grande impegno per entrambi: dalla Metafisica all’Etica; dalla Politica al De Interpretatione, al De coelo et mundo, al De anima.
Erano momenti in cui S. Tommaso dedicava particolare attenzione allo studio delle scienze naturali.
Nel 1263, nella città di Bolsena, accadde un miracolo eucaristico che porterà nel mondo cristiano alla promozione della festività del Corpus Domini.
Un sacerdote di origine boema, tornato dal suo pellegrinaggio a Roma, fu preso dal dubbio sulla presenza reale di Cristo nell’eucarestia, mentre celebrava la santa Messa nella chiesa di santa Cristina a Bolsena. Le sue perplessità furono fugate al momento della frazione dell’ostia consacrata, quando un fiotto di sangue sprizzò e macchiò il corporale del celebrante.
Il papa decise di aprire un’inchiesta e diede ordine di portare a Orvieto il panno macchiato di sangue.
L’anno dopo Urbano IV promulgò la bolla Transiturus, che estendeva a tutta la Chiesa Cattolica la festa del Corpo e del Sangue del Signore, e mi chiese di scrivere per la nuova solennità l’ufficio, la messa e l’inno Verbum supernum prodiens.
L’eucaristia, il sacramento della Passione di Nostro Signore-scrive S. Tommaso- contiene in sé Gesù Cristo che patì per noi. Pertanto, tutto ciò che è effetto della Passione di Nostro Signore è anche effetto di questo sacramento non essendo altro che la perpetuazione del sacrificio del Signore per noi.
“O inapprezzabile e meraviglioso convito, che dà ai commensali salvezza e gioia senza fine! Che cosa mai vi può essere di più prezioso? Non ci vengono imbandite le carni dei vitelli e dei capri, come nella legge antica, ma ci viene dato in cibo Cristo, vero Dio. Che cosa di più sublime di questo sacramento? Nessun sacramento in realtà è più salutare di questo: per sua virtù vengono cancellati i peccati, crescono le buone disposizioni, e la mente viene arricchita di tutti i carismi spirituali.
L’eucaristia è il memoriale della passione, il compimento delle figure dell’antica alleanza, la più grande di tutte le meraviglie operate dal Cristo, il mirabile documento del suo amore immenso per gli uomini”. (Opusc. 57, nella festa del Corpo del Signore, lect. 1-4)
È una fase in cui fra Tommaso raccolse inni, antifone e preghiere con riferimenti a tutte le figure dell’Antico Testamento riconducibili al sacramento dell’Eucarestia.
Nacquero il Pange lingua, il Lauda Sion, l’Adoro te devote e altre importanti componimenti.
Nello spirito del suo amore per il Corpus Domini, leggiamo alcuni dei passaggi più significativi di questi canti liturgici.
“Nato per noi, dato a noi / Da una vergine intatta, / dopo essere vissuto nel mondo, / sparso il seme della parola, / pose fine alla sua dimora / in modo mirabile /” (dal Pange lingua)
“Sul punto di essere consegnato / dal traditore ai complici per essere ucciso, / donò dapprima sé stesso / come cibo di vita ai discepoli.” (dal Verbum supernum)
“Pane vivo, che dà vita/… fu donato / agli apostoli riuniti / in fraterna e sacra cena.” (da Lauda Sion)
“Nella notte dell’ultima cena, / sedendo a mensa con i fratelli, / dopo aver fedelmente osservata la legge / nei cibi prescritti, / come cibo al gruppo dei dodici / dà sé stesso con le sue mani”. (dal Pange lingua)
“Dopo l’agnello tipico, finita la cena / noi confessiamo che il Signore diede con le sue mani / il suo Corpo ai discepoli, tutto a tutti e tutto ai singoli”. (Da Sacris solemnis)
“Cristo lascia la sua memoria / ciò che ha fatto nella cena: / noi lo rinnoviamo. / Obbedienti al suo comando / consacriamo il pane e il vino, / ostia di salvezza. / È certezza a noi cristiani: si trasforma il pane in carne, / si fa sangue il vino.” (da Lauda Sion)
“Quando spezzi il sacramento / non temere, ma ricorda: Cristo è tanto in ogni parte, / quanto nell’intero / è diviso solo il segno / non si tocca la sostanza; / nulla è diminuito della sua persona. / Ecco il pane degli angeli, pane dei pellegrini, vero pane dei figli/” (da Lauda Sion)
“O memoriale della morte del Signor, / pane vivo, che dai la vita all’uomo / concedi alla mia mente che viva di te, / e senta sempre la tua dolcezza”. (da Adoro te devote)
Ogni notte, prima del mattutino, egli era già in chiesa e spesso Fra Reginaldo da Piperno lo vedeva accostare il suo capo al tabernacolo, come per sentire palpitare il cuore divino e umano di Gesù.
Una notte, nella chiesa di san Domenico Maggiore di Napoli, il sagrestano fra Giacomo da Caserta raccontò di aver visto fra Tommaso come in estasi, dinanzi a Gesù Crocifisso e alle Sue braccia aperte.
Il sant’uomo chiedeva con trepidazione al Signore se era contento di quanto egli aveva scritto intorno ai misteri dell’Incarnazione e della redenzione.
E Cristo rispondeva: “Hai scritto bene di me, o Tommaso. E quale ricompensa mi chiedi per il tuo lavoro?”
Tommaso, sollevato il capo, aveva replicato prontamente: “Soltanto te, o Signore!”.
Da quel giorno qualcosa cambiò in lui.
Nino Giordano