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Concetto di cultura e di differenze culturali – di Antonietta Rubiconto

Si discute tra amici sul concetto di cultura e le opinioni sull’argomento sono diverse. In particolare, essendo quasi tutti ex insegnanti, si riflette se sia giusto che in “gita scolastica” all’estero si portino i ragazzi “solo” a visitare musei, monumenti e chiese di un certo rilievo artistico o che si permetta loro di “fare altre esperienze”, ad esempio recarsi a fare spese a un centro commerciale.

Qualcuno obietta: ma se i centri commerciali sono uguali in tutto il mondo, che bisogno c’è di andare all’estero per visitarli? –

Come sempre, essendo stata professoressa di Lettere, faccio quello che ho sempre insegnato ai miei alunni: consulto il dizionario di italiano.

Definizione n.1: ”Arricchimento delle facoltà intellettuali individuali, perseguito attraverso l’acquisizione critica di cognizioni ricavate dallo studio e dall’esperienza” (Aldo Gabrielli – Grande dizionario Hoepli).

Quello che mi colpisce è il fatto che si evidenzia che le cognizioni devono provenire sia dallo studio sia dall’esperienza; quindi non solo la visita ai musei, da sempre raccoglitori di documenti artistici e storici, ma anche “l’esperienza” derivante dalla visita all’estero di un centro commerciale “fa cultura”.

Certo, perché il centro commerciale da una parte è “uguale” ormai in tutto il mondo, ma è nello stesso tempo “diverso” da paese a paese in base alle abitudini gastronomiche e di vita della popolazione locale.

Il discorso “dell’uguale” ci dà modo di riflettere sul concetto di globalizzazione e, quindi, di svolgere una lezione, o più lezioni, ai ragazzi su cosa è la globalizzazione e su cosa essa comporta.

Il concetto di “diverso” ci fa riflettere non solo sulle ricchezze culturali locali che ancora esistono, ma spiega anche comportamenti di fronte alla realtà diversi da nazione a nazione, da continente a continente.

Con la pandemia, ad esempio, abbiamo avuto conferma delle “diversità” ancora esistenti al mondo nel 2000, nonostante la globalizzazione, soprattutto in Europa.

Infatti, se nell’Africa subsahariana nessuna misura è stata presa di fronte alla pandemia, ed è prevalso il principio della “selezione naturale”, in Europa ci sono state differenziazioni tra i vari paesi per cui in Italia, primo paese Europeo colpito dalla pandemia, sono state adottate misure atte a prevenire il diffondersi del virus attraverso l’isolamento e addirittura la frequenza scolastica on-line. In Olanda al di sopra dei 60 anni non si prevedeva neanche il ricovero in ospedale in caso da malattia da Covid-19. In Lussemburgo gli studenti hanno continuato a frequentare la scuola, ma in banchi singoli e distanziati, con l’obbligo dell’uso della mascherina e del tampone di ingresso.

Il metodo italiano avrebbe prodotto (lo dicono gli esperti) negli adolescenti (ce ne accorgiamo oggi) un aumento delle depressioni perché, si sa, nell’adolescenza i rapporti interpersonali dal vivo tra i compagni sono essenziali per lo sviluppo; l’isolamento degli anziani anche culturale (ad esempio attraverso la chiusura delle università della terza età) ha intorpidito il loro cervello; la mancanza di attività fisica (per esempio attraverso la riduzione o l’annullamento delle passeggiate all’aria aperta) ha peggiorato la loro salute psico-fisica; la mancanza di relazioni sociali, elementi importantissimi nella vecchiaia (per esempio rapporto con i nipoti), è stata deleteria per la loro vita.

Qualcuno dirà: – Ma ci sono le relazioni on-line! –

Bene, con la pandemia, a parte che non tutti gli anziani sanno usare il computer, l’on-line ha dimostrato una volta per tutte i suoi limiti perché si può cominciare a conoscersi on-line, ma poi c’è bisogno della vicinanza fisica, del sorriso, della stretta di mano, dell’abbraccio per sentirsi amati e per dimostrare il proprio amore.

E tutto ciò non è cultura?

Antonietta Rubiconto

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