Mi sono accinto a riprendere il tema del Premierato, dopo le quattro riflessioni su questo tema già pubblicate in precedenza su Politica Insieme, anche per dare seguito, da cattolico democratico, a quanto scritto due giorni fa da Domenico Galbiati (CLICCA QUI).
Il Premierato, “madre di tutte le riforme”, dovrebbe portare l’Italia nella Terza Repubblica. E che, invece, ad avviso di alcuni commentatori[1], comprometterebbe il bilanciamento dei poteri, contrasterebbe con la previsione dell’articolo 67 della Costituzione in tema di vincolo di mandato. Riforma grazie alla quale la politica nazionale, contrariamente a quanto previsto dall’articolo 49 della Costituzione, non verrebbe più decisa in Parlamento, dopo un incontro dialettico tra maggioranza ed opposizione, ma sarebbe decisa tra accordi pre elettorali tra “lobbies” capaci e disposte a finanziare progetti di loro interesse. Fatti ritenuti gravissimi che compongono un percorso tanto accidentato.
Molta acqua sotto i ponti è passata dai tempi in cui Piero Calamandrei ammoniva che, quando si dibattesse di riforme costituzionali, bisognava farlo in Parlamento ed i banchi del Governo sarebbero dovuti essere vuoti.
Oggi, Giovanni Russo Spena scrive su Left addirittura che il Premierato “va letto in un combinato disposto con l’Autonomia differenziata (altro progetto estremamente divisivo e probabilmente altrettanto nocivo) e con una legge elettorale ancora di più maggioritaria”. Orrore! Domani la dipendenza del Parlamento al Governo sarebbe ancora maggiore di adesso; dove andrebbe a finire il bilanciamento dei poteri?
“Il Premierato? Ridurrebbe i poteri del Capo dello Stato[2]”. “Secondo me, la figura del Presidente della Repubblica così come è disegnata, e l’interpretazione così come è stata data dai singoli presidenti e come tutti i costituzionalisti oggi riconoscono, sta bene così; il Premierato ridurrebbe fatalmente i poteri del Presidente della Repubblica, anche se nella Riforma non ci fosse scritto ”[3]”.
Difficile pensare che abbia parlato “per caso”: c’è chi ritiene che volesse mettere sull’avviso Forza Italia del rischio irrilevanza in caso di approvazione della riforma nella configurazione attuale. Negare questo stato di fatto rasenta la menzogna. Pensieri espressi che in Forza Italia hanno suscitato la necessità di buttare acqua sul fuoco.
Anche uno dei “grandi vecchi “ della Repubblica, già Presidente del Consiglio e già Presidente della Corte costituzionale ed ora Presidente emerito della stessa[4] ha espresso una tesi simile a quella di Gianni Letta: “la riforma costituzionale proposta per eleggere il Presidente del Consiglio, squilibra il sistema, ridimensionando poteri e ruolo del Capo dello Stato”; parole accolte in Senato da un evidente imbarazzato silenzio, perché interferiscono con due convinzioni radicate: la popolarità della quale gode Sergio Mattarella come garante della Costituzione; e la popolarità della quale ha sempre goduto l’istituzione Presidenza della Repubblica., .
La Segretaria del PD[5]: “L’Italia ha già provato l’Uomo Forte e non è andata bene”. Un ex Presidente del Senato[6]: “Siamo ai vagiti”. Anche un personaggio che ha ricoperto prima la carica di Ministra della Giustizia e poi di Presidente della Corte costituzionale[7] ha espresso prima perplessità e poi riserve su aspetti della riforma, in specie sul premio di maggioranza senza soglia.
Difficile pensare che la Meloni ritenga di essere creduta quando afferma e fa affermare che la riforma costituzionale non incide sui poteri del Presidente della Repubblica. E’ davvero impossibile, in Italia, un dibattito su di una tale riforma impostato sulla razionalità, cioè un dibattito su Fini da conseguire e mezzi per ottenerli[8]?
Interessante sul tema il pensiero dell’ultimo, in ordine di tempo, Presidente emerito della Corte costituzionale: “Il punto più delicato è mantenere un equilibrio tra i Poteri che non alteri le funzioni di garanzia attribuite al Presidente della Repubblica ed alla Corte costituzionale[9]”. Difficile credere che non ci sia una trattativa carsica che coinvolge Giustizia ed Autonomia differenziata in termini di mezzo\baratto, per di arrivare al fine.
Che tra i fini della riforma, come costantemente affermato da Giorgia Meloni vi sia il rafforzamento del Governo, definito debole rispetto al Parlamento, contrasta con la circostanza che i costituzionalisti[10] affermano che in Italia governino esecutivi tra i più forti d’Europa (per ragioni geopolitiche che esorbitano dalla presente riflessione), i quali, storicamente da tempo si sono confrontati e si confrontano con parlamenti tanto deboli da essersi confinati nella approvazione, sostanzialmente monocamerale, dei decreti legge predisposti dai governi.
“Il progetto Premierato consente di affermare che il percorso della Meloni va in senso autoritario. E’ un testo che sembra uno scherzo. Se questa è la Terza Repubblica, mi tengo stretta la Prima. Il Premierato rischia di essere la tomba, anzi il tombino, di un lungo periodo di decadenza della democrazia[11]”.
L’ex Comunista più amato dalla destra[12] scrive sul quotidiano La Stampa: “Questa norma inciderà sulla condizione politica del Capo dello Stato, ne limiterebbe la Libertà; ed in questo momento, con società molto conflittuali, c’è bisogno di un arbitro”.
“La giusta scelta di stabilizzare il Presidente del Governo dovrebbe evitare di smarrire la naturale corsia parlamentare, con avventurose fratture di legittimità nel punto chiave della Costituzione[13]”.
La riforma Meloni non mira a rendere più funzionante il sistema istituzionale; mira soltanto ad impedire agli altri partiti della coalizione di assumere iniziative autonome, dati i poteri stabilizzati che la riforma le conferirebbe.
Con la Legge elettorale ipotizzata a corredo della Riforma, senza neppure il doppio turno di ballottaggio e senza soglia alcuna per ottenere il “premio di maggioranza”, difficilmente il Presidente del consiglio, Premier, sarebbe eletto da una maggioranza fisicamente espressa di elettori, con tutti i rischi connessi a questo stato, legittimazione, sostanzialmente monca, compresa.
Contro questa logica, la battaglia parlamentare, come primo argine, va combattuta; dovrebbe servire per fare emergere altre proposte che possano contemperare meglio e di più la rappresentatività e la governabilità. Questa pare essere opinione condivisa tanto tra chi può esprimerla quanto tra chi è vincolato dalla disciplina di schieramento, tanto che c’è chi tenta di tessere una tela la cui trama possa definire un’intelaiatura condivisibile dai più.
La governabilità, comunque, non dipende solo quasi mai dalle regole, (sempre che le regole siano adeguate e condivise) ma dipende invece soprattutto dalla capacità di progettazione dello sviluppo complessivo della Comunità governata, della quale i governanti in carica si dimostrino concretamente dotati.
L’impostazione di cui sopra contribuirebbero alla dimostrazione che, secondo la Meloni, la governabilità sia sopra ordinata alla rappresentatività, criterio non condiviso da chi scrive, sulla base della propria scala di valori; si vorrebbe non conoscere ancora il punto di arrivo di questo percorso. Fin che l’Italia vivrà un Parlamento di nominati da minoranze che solo gli astenuti potranno trasformare in maggioranze, il distacco tra cittadini ed i loro bisogni e gli eletti sarà sempre maggiore.
Al riguardo, in presenza di un corposo pressoché quotidiano dibattito del quale si è cercato di evidenziare le voci più autorevoli, ciò che latita è una equilibrata autocritica sulla qualità del ceto politico, il quale, fatte salve le ovvie doverose eccezioni, evidenzia una povertà etica, culturale, intellettuale, progettuale che non cerca neanche più di celare.
E’ interessante notare che il quotidiano la Repubblica, nel dedicare una pagina intera al tema Premierato, scrive di “incongruenze”, scrive del premio di maggioranza come di “uno dei punti bocciati quasi da tutti”; scrive di riforma che da corpo ad una deriva autoritaria. Dà anche conto del parere che sul prosieguo dei lavori non potranno non pesare “le stilettate dei costituzionalisti” e che nella maggioranza circolano forti dubbi. E se invece di ritoccare ciò che adesso funziona, si intervenisse sulla attuale Legge elettorale che scoraggia gli elettori dall’andare a votare, introducendo un sistema proporzionale con le preferenze, il doppio turno di coalizione ed una selezionante soglia di sbarramento per ottenere un eventuale premio?
La saggezza prevarrà in tutti i protagonisti sulle pressioni degli interessi particulari?
Massimo Maniscalco
[1] Paolo Maddalena, Il Pericolo nascosto nella Riforma Premierato, 8 Dicembre 2023.t.
[2] Gianni Letta, a lungo Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri con Presidente Silvio Berlusconi, Gianni Letta sul Premierato agita FI, Corriere della Sera, 1 Dicembre 2023.
[3] Gianni Letta, citato.
[4] Giuliano Amato, Un Premierato che avanza tra consensi e smarcamenti, Corriere della Sera, 6 Dicembre 2023.
[5] Elly Schlein.
[6] Marcello Pera.
[7] Marta Cartabia., Il Premierato incide sul Quirinale, Corriere della era, 29 Novembre 2023.
[8] Quale ipotizzato da Angelo Panebianco, Più poteri al Premier, il PD cosa pensa?, Corriere della Sera, 29 Novembre 2023.
[9] Silvana Sciarra, La Riforma Costituzionale, Corriere della Sera, 19 Novembre 2023.
[10] Per tutti, il più recente, Stefano Passigli, Vizi e Pericoli della Riforma, Corriere della Sera, 8 Dicembre 2023.
[11] Paolo Cirino Pomicino, politico e politologo di lunghissimo corso nella destra della Democrazia Cristiana, non accusabilile da alcuno di nutrire simpatia per le posizioni della sinistra, la Repubblica, Altro che madre delle Riforme, è il tombino della decadenza, 10 Dicembre 2023.
[12] Luciano Violante.
[13] Andrea Manzella, La corsia parlamentare va difesa, Corriere della sera, 7 Dicembre 2023