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Cosa cambia con Assegno di inclusione e Strumento di attivazione – di Natale Forlani

Con l’approvazione del decreto legge in materia di lavoro da parte del Consiglio dei ministri prende corpo la riforma del Reddito di cittadinanza (Rdc). Un provvedimento che si incanala nel solco dell’art.1 della Legge di bilancio 2023 che dispone, ai commi 318 e 321, la cessazione del sussidio per i beneficiari in età tra i 18 e i 59 anni attivabili al lavoro a partire dal 1 agosto p.v, e l’introduzione di una nuova misura per il sostegno delle famiglie povere, a partire dal 1 gennaio 2024, identificate nei nuclei familiari che hanno al loro interno minori, disabili o anziani con più di 60 anni.

La predisposizione del nuovo provvedimento è stata problematica, frutto di ipotesi e indiscrezioni, ampiamente commentate dai mass media, che hanno suscitato discussioni e polemiche. Non poteva essere altrimenti, data la rilevanza assunta da un intervento che nel corso dei 4 anni di gestazione ha coinvolto circa 5,5 milioni di persone appartenenti a poco meno di 3 milioni di nuclei familiari.

Possono beneficiare dell’Assegno di inclusione i nuclei familiari che hanno un reddito da lavoro inferiore ai 6.000 euro anno, nell’ambito di un reddito Isee comprensivo dei requisiti patrimoniali non superiore ai 9.360 euro. Valori che vengono incrementati in relazione ai carichi familiari relativi ai minori, alle persone disabili o affette da patologie psicofisiche, agli anziani over 60 e alle persone incaricate del lavoro di cura dei familiari, fino a un massimo del 2,2 dell’importo base, 2,3 in presenza di un disabile grave (rispetto ai 2,1-2,2 del Rdc). La medesima scala di equivalenza viene utilizzata per calcolare il valore del sussidio da erogare per l’integrazione del reddito Isee di partenza, che può essere ulteriormente aumentato per i nuclei familiari in affitto sulla base della spesa sostenuta fino a un importo annuo di 3.360 euro.

Per i nuclei composti da soli anziani over 67 anni il livello dell’Isee utilizzato per la selezione e per il calcolo dell’integrazione è stato portato a 7.560 euro. Una novità introdotta all’ultimo momento, del tutto simile alla criticata Pensione di cittadinanza abrogata con la Legge di bilancio che comporterà un’immotivata maggiorazione degli importi erogati a favore di questi nuclei rispetto alle famiglie numerose anche per il contributo dell’affitto.

Per il resto i valori dei redditi Isee utilizzati per la selezione dei beneficiari, le prestazioni e per il calcolo delle integrazioni, il contributo per l’affitto, e la durata dell’intervento (18 mesi con possibilità di proroga) sono pressoché analoghi a quelli previsti per il Rdc. A fare la differenza sono quelli attribuiti ai singoli componenti del nucleo che vengono presi in considerazione per stimare l’importo del sussidio al reddito attraverso la scala di equivalenza. Diversamente dal Rdc, nella nuova misura vengono esclusi dal moltiplicatore gli adulti in età tra i 18 e i 59 anni che possono essere attivati al lavoro. Il valore dell’importo base (500 euro) viene aumentato in relazione alla presenza di persone adulte disabili (0,50), incaricate del lavoro di cura dei familiari (0,40), del primo e secondo minore a carico (0,15) e dal terzo in poi (0,10). Gli aumenti a favore dei minori sono stati quantificati come un’integrazione degli importi erogati per l’Assegno unico universale (Auu), con ulteriori 900 euro anno per ciascuno dei primi due figli e di 600 euro dal terzo in poi.

Per i membri del nucleo familiare attivabili al lavoro è prevista la partecipazione alle misure previste per le politiche attive del lavoro e la possibilità di usufruire di un’indennità di frequenza per corsi di formazione e tirocini, lavori di pubblica utilità o di effettuare prestazioni lavorative regolarmente retribuite senza alterare il sussidio, fino a 3.000 euro l’anno. Attività che dovranno rientrare in un progetto personalizzato predisposto dai servizi per l’impiego che vincola i beneficiari all’accettazione di tutte le offerte di lavoro superiori a un mese e che prevede l’uscita da sussidi quando queste offerte risultino superiori ai sei mesi di durata.

Il decreto prevede l’erogazione di incentivi per le imprese che assumono i lavoratori, anche con contratti a termine, fino a un massimo di 24 mesi di sgravi contributivi per le assunzioni a tempo indeterminato.

L’impatto di queste misure sull’attuale platea dei beneficiari del Rdc è della Pensione di cittadinanza (attualmente poco più di 1,2 milioni di nuclei familiari e di 2,6 milioni di persone) è radicale. Il potenziale trasferimento delle persone attivabili al lavoro verso le misure di politica attiva del lavoro riguarda una parte consistente delle domande accettate dall’Inps. In particolare la quota delle persone in età di lavoro appartenenti ai nuclei familiari composti da una sola persona o da soli adulti (circa il 60% del totale).

La parte della riforma che riduce l’importo e la durata del sussidio, e lo condiziona alla frequenza di corsi di formazione, è quella destinata a suscitare le reazioni più negative. In particolare nei territori del Mezzogiorno dove si concentra la gran parte degli attuali percettori e dove risulta più manifesta la scarsa efficacia dei servizi per l’impiego e delle misure di politica attiva del lavoro messe in campo con il Reddito di cittadinanza. D’altro canto è difficile ignorare la crescente difficoltà delle imprese a trovare personale disponibile anche per le mansioni che non richiedono una particolare qualificazione. Il disincentivo generato dai sussidi pubblici per l’accettazione di un lavoro regolarmente retribuito è un fenomeno che va ben oltre il perimetro degli attuali beneficiari del Rdc. All’interno dei quali convivono gli atteggiamenti opportunistici, ma anche persone disagiate che richiedono interventi personalizzati per migliorare la propria autostima e la loro credibilità nel mercato del lavoro.

La misura adottata per i nuclei familiari appare più solida. Risponde all’esigenza di rimediare diverse criticità del Rdc evidenziati da diversi centri di ricerca: la penalizzazione dei nuclei familiari numerosi e in particolare quelli con minori a carico, l’esclusione di una parte consistente degli immigrati (circa un terzo della popolazione povera in Italia) legati al requisito dei 10 anni di residenza, la possibilità di manipolare la composizione dei nuclei familiari e i redditi Isee dichiarati per massimizzare la partecipazione ai benefici. In tal senso il Comitato scientifico incaricato di valutare l’efficacia del Rdc aveva proposto alcuni interventi mirati a rafforzare i sostegni per i minori, per ridurre i requisiti di residenza da 10 a 5 anni, per vincolare l’accettazione delle offerte di lavoro anche per quelle a tempo determinato, il meccanismo delle offerte congrue di lavoro, limitate a quelle a tempo indeterminato, e di consentire, entro certi limiti, il cumulo tra il sussidio e il reddito da lavoro per incentivare i comportamenti proattivi dei beneficiari. Novità che vengono in buona parte recepite nel testo del decreto.

La riforma del Rdc  era un passo obbligato che consente di affinare gli strumenti e la gestione delle risorse e di razionalizzare lo strumento anche in relazione degli ulteriori provvedimenti di sostegno alle famiglie messi in campo negli anni recenti. Ma è solo un primo passo perché la tentazione di rimediare le lacune del nostro sistema di welfare aumentando la quantità dei sussidi statali erogati continua a essere la principale criticità delle nostre politiche redistributive.

Natale Forlani

Pubblicato su IlSussdiario.net (CLICCA QUI)

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