Le manovre delle banche centrali sui tassi di interesse pongono il problema che nella fase di contenimento dell’aumento dei prezzi, avente per causa l’aumento dell’inflazione, le Banche Centrali non devono solo contrastare e ridurre il tasso di inflazione attraverso la manovra in aumento dei tassi di interesse, ma, in pari tempo, devono volgere lo sguardo a problemi con riflessi di natura finanziaria che tali manovre provocano. In questo mio scritto volgerò lo sguardo prevalentemente ai problemi di natura finanziaria dipendenti dalle manovre sui tassi di interesse.
Sulle manovre dei tassi di interesse delle Banche Centrali nel presente periodo caratterizzato da un alta inflazione che a gennaio 2023 era ancora in Italia del10,1% e nell’Eurozona del 9,2%, ho già parlato in un mio precedente scritto dal titolo “E’ scongiurato il rischio recessione?” (CLICCA QUI).
“Il confronto della manovra dei tassi di interesse tra FED (Federal Reserve – USA) e la BCE (Banca Centrale Europea) è il seguente: “I tassi della BCE sono piuttosto bassi e inferiori di 200 punti base (2%) rispetto a quelli della FED, malgrado l’inflazione registrata a dicembre 2022 sia più bassa negli Stati Uniti quasi di tre punti percentuali (6,5 per cento negli Stati Uniti e 9,2% nell’Eurozona). Inoltre la FED ha aumentato di ben sette volte i tassi di interesse nel corso del 2022, di cui 4 volte di ben 75 punti base. La BCE, nello stesso periodo, ha invece aumentato i propri tassi solo 4 volte, di cui soltanto 2 volte di 75 punti base e le restanti di 50.” Osservatorio CPI – Articolo di Giampaolo Galli Francesco Scinetti e Nicoletta Scutifero del17gennaio 2023).”
Quali sono stati i riflessi di natura finanziaria provocati dalle manovre delle Banche Centrali?
Con la manovra dei tassi di interesse e il loro continuo aumento al fine di abbassare il tasso di inflazione, le banche si trovano costrette a dover pagare, ai risparmiatori depositanti, un tasso di interesse maggiore.
Il pericolo in questi casi è che la Banca entra in difficoltà finanziaria dovendo pagare sulle operazioni di raccolta fondi interessi maggiori di quelli che può ricavare dalle operazioni attive di impiego fondi (operazioni già perfezionate e completamente operative sulla base dei vecchi tassi di interesse). Inoltre in questi momenti di crisi finanziaria, la banca, dovendo procurarsi la liquidita necessaria, nelle operazioni di vendita subisce una ulteriore perdita in c/capitale data dalla differenza di quotazione tra valore nominale e valore di mercato dei titoli (sicuramente inferiore).
Tuttavia in questi casi, basta un nonnulla, una richiesta da parte dei risparmiatori depositanti (famiglie, imprese, ecc…) di controllare i bilanci delle banche commerciali, per creare il panico con la conseguente corsa agli sportelli bancari per ritirare quanto depositato.
Il problema (direi grave problema) è che le banche commerciali (di credito ordinario) possono raccogliere, con le leggi attuali, fondi a breve termine e investire gli stessi fondi a medio e/o lungo termine (sotto forma di titoli di Stato, obbligazioni o bond, obbligazioni subordinate convertibili e titoli azionari), vedi la tipologia della BANCA UNIVERSALE di cui al TESTO UNICO (TUB) delle leggi in materia bancaria e creditizia, D.LGS 01/09/1993 n.385.
Se, in un momento di panico tra i depositanti, causato dalla paura che la propria banca si trovi in uno stato di illiquidità, si verifica la corsa agli sportelli bancari per prelevare quanto depositato, la banca entra in sofferenza di liquidità con il conseguente pericolo di default.
Ed è quello che è successo alla S.V.B. (Silicon Valley Bank), alla Signature Bank ecc… negli USA e al Credit Suisse in Europa (Svizzera) e in parte moderata per la Deustche Bank.
Spiego a questo punto quello che è successo alla S.V.B. Quando ha dichiarato fallimento (default) la SVB era in un momento di scarsa liquidità dovuto alla necessità di rimborsare le richieste dei depositanti. Tali richieste erano la conseguenza della decisione del C d A (Consiglio di Amministrazione) della banca di aumentare il Capitale Sociale di 2 miliardi di dollari USA. L’aumento del Capitale Sociale ha ”creato la curiosità dei depositanti maggiori che hanno studiato i bilanci della SVB e verificati gli asset patrimoniali bancari “che hanno rilevato la presenza dei cosiddetti “vuoti patrimoniali” cioè la presenza di titoli senza valore (detti anche underwater), di crediti deteriorati e di NPL (Non Performing loans) cioè crediti difficili da estinguere (da riscuotere) per la presenza di clienti insolventi. Ciò ha innescato la paura dei depositanti e la corsa ai rimborsi dei capitali depositati, provocando la chiusura degli sportelli bancari e il conseguente fallimento della SVB.
Con la corsa ai rimborsi in poco tempo (dall’8 al 10 marzo) furono chiesti rimborsi alla banca per più di 42 miliardi di dollari USA e a mezzogiorno del 10 marzo 2023 la banca fu dichiarata fallita.
EQUILIBRIO TRA MANOVRE DI POLITICA MONETARIA E RIFLESSI SULLA STABILITA’ FINANZIARIA
Un aspetto importante è l’equilibrio tra gli gli strumenti di politica monetaria e strumenti di stabilità finanziaria. E’ possibile trattare l’instabilità finanziaria e l’inflazione su binari separati? Ciò dipende dalla gravità della crisi bancaria. “In caso di grave instabilità le problematiche e/o “questioni finanziarie” “avranno sempre la meglio sulle questioni macroeconomiche”. “Ciò perché le crisi finanziarie hanno un decorso di urgenza delle misure da prendere e le manovre dei tassi di interesse delle banche non possono andare di pari passo con le crisi macroeconomiche che si muovono più lentamente”. “Le manovre dei tassi di interesse delle banche centrali rallentano in presenza di crisi finanziarie apportatrici, nelle crisi bancarie, di default a catena di banche partendo dalle più fragili e di default dovuti alle situazioni di illiquidità estrema dovuta alla manovra dei tassi di interesse delle banche centrali.”
La banca centrale potrà volgere il proprio sguardo alla manovra sui tassi di interesse solo e soltanto se c’è normalità finanziaria e le banche si dimostrano solvibili essendo in equilibrio tra operazioni di raccolta fondi e quelle di investimento e/o impiego di prestiti.
Per quanto riguarda il default della S.V.B. e della Signature Bank si pensava che la situazione di sofferenza bancaria fosse isolata, cosa che purtroppo non è stata così. L’eterno dilemma, specializzazione delle banche si o no, ha riportato nuovamente alla luce il problema di come gestire in sicurezza (soprattutto per i risparmiatori depositanti) l’intermediazione del credito. Il dilemma di cui si parla è quindi la mancanza della specializzazione delle banche, cosa che l’Italia (insieme agli Stati Uniti) aveva già adottato all’indomani della crisi del 1929, e cioè la divisione delle banche in istituti a breve (credito ordinario), medio e lungo termine (credito fondiario). Sull’argomento vedi quanto già da me scritto dal titolo: “l’Unione Bancaria Europea e l’intermediazione del credito. (Scritto pubblicato in tre parti (CLICCA QUI, QUI e QUI).
Sia la S V B e sia La Signature Bank sono fallite per lo stesso motivo che è il seguente: il denaro depositato nelle operazioni di raccolta fondi con scadenza a vista, vincolato a breve termine (tre e/o sei mesi) era stato investito a medio e lungo termine nelle modalità di acquisto di titoli e cioè di prestiti obbligazionari, bonds subordinati, azioni, ecc…
Tale situazione non solo è stata capita ma era conosciuta dalla Federal Reserve e dal Dipartimento del Tesoro (anche perché erano operazioni legittime sulla base della normativa USA e oggi anche normativa europea e italiana. Per l’Italia vedi il TESTO UNICO (TUB) DELLE LEGGI IN MATERIA BANCARIA E CREDITIZIA DI CUI AL D.LGS 01/09/1993 n.385).
Per tale motivo riguardante la profonda anomalia, sicuramente generalizzata, nell’ investimento a medio e lungo termine della raccolta fondi a breve termine, la FED (Federal Reserve) è intervenuta cercando di evitare ulteriori crolli.
La Federal Reserve e il Treasury Department pertanto hanno dovuto utilizzare due misure misure (to guard against more collapse) che evitassero ulteriori default con la corsa agli sportelli dei risparmiatori e/o delle imprese depositanti.
Le due misure sono le seguenti:
- Con la prima misura veniva data la certezza che i risparmiatori depositanti delle banche S V B e Signature Bank non avrebbero subito alcuna perdita e quindi salvato tutto quanto depositato (…”all depositors in SVB and Signature would be made whole, and straightaway”);
- Con la seconda misura veniva creato il B.T.F.P. (Bank Terme Funding Programme) che era uno strumento di prestito di emergenza. Tale strumento permetteva alle banche di poter ottenere prestiti, garantiti dallo Stato, uguali al valore nominale dei bonds e non al valore di mercato (…. ”value of the asset, rather than its market value”). Così se i bonds avevano un valore di mercato inferiore a quello nominale, le Banche riscuotendo tale ultimo valore venivano, al momento della vendita, ad essere protette e a non sopportare perdite che avrebbero potuto portarle al fallimento. (The Economist del 18 marzo 2023 – Finance & economics – After SVB’s collapse – the pro-up job – pag 63)
COSA E’ AVVENUTO IN EUROPA
Mentre l’area dell’Eurozona facente capo alla BCE è rimasta pressoché fuori da ogni crisi bancaria e/o di natura finanziaria, la banca Svizzera CREDIT SUISSE ha rischiato il default, cioè il fallimento. Il perché è uguale a quanto avvenuto alla S V B e cioè aver preso dai risparmiatori depositanti denaro con scadenza a breve e investito lo stesso in operazioni di impiego a medio e lungo termine, impiego consistente in investimenti in bonds subordinati e titoli azionari.
Il Credit Suisse si è trovato a fronteggiare richieste eccessive di prelievi di fondi depositati dai risparmiatori senza avere la liquidità necessaria per poter fronteggiare tutte le richieste. Ciò ha causato una perdita secca per il Credit Suisse di 16 miliardi euro investiti in bonds subordinati.
“La sforbiciata sui creditori per 16 miliardi di euro, unita a garanzie pubbliche per nove e un impegno della stessa banca acquirente per altri cinque, suggerisce che le perdite del CREDIT SUISSE potrebbero arrivare a trenta miliardi.” (Corriere della Sera – La Svizzera si scopre fragile e con molti misteri – a firma di Federico Fubini)
A questo punto per evitare il default, il C. S. (Credit Suisse) è stato acquistato dalla Banca UBS con un accordo che diventerà effettivo nei prossimi tre mesi. Dalla fusione delle due banche verrà fuori un colosso bancario con patrimonio che supererà di gran lunga l’economia svizzera e con gli assets che supereranno il prodotto lordo dello Stato Svizzero.
Quanto avvenuto nel Credit Suisse e della paventata crisi della Deutsche Bank (causata dall’aumento del costo dell’assicurazione del debito contro il default), che sono momenti della crisi finanziaria, derivanti dalle manovre della FED e della BCE per contenere l’inflazione, ha ridotto l’impegno verso ulteriori rialzi dei tassi di interesse delle suddette banche centrali.
POSSIBILE CREDIT CRUNCH
I primi effetti dei default bancari con le relative conseguenze sui depositi bancari, notevolmente ridotti, si sono riversati sui prestiti delle banche commerciali. Come comunicato dalla FED, tali prestiti si sono ridotti di ben 105 miliardi di dollari USA nell’ultima settimana (quella dell’11 aprile). “Si tratta di una prima ragione emotiva e temporanea alla crisi di alcune banche o è invece l’avvio di un vero e proprio <CREDIT CRUNCH> generato dai max rialzi dei tassi di interesse negli ultimi 10 mesi?”. (Articolo a firma di Alessandro Graziani – Il Sole 24 ore del 11/04/2013).
La maggiore riduzione dei prestiti alle famiglie e imprese si è avuta dalle piccole banche regionali (-73,6 miliardi) mentre le grandi banche hanno ridotti i prestiti ma in maniera notevolmente minore.
La riduzione dei prestiti è accompagnata spessissimo dalla riduzione di depositi bancari e tale situazione avrebbe provocato altri focolai di crisi, con altre banche in default, se non ci fosse stato l’intervento della FED che ha attivato in via straordinaria il BTFP (Bank Term funding programme), che rappresenta uno “strumento di prestito di emergenza”. “Strumento” che permette alle banche di ottenere prestiti al valore nominale dei titoli e non a quello di mercato, se minore.
Il dato preoccupante è che al minore guadagno delle banche sulle operazioni di prestiti a famiglie e imprese, si accompagna la riduzione dei depositi bancari attratti dai rendimenti più alti dei treasuries a tre mesi e dal money market funds che hanno rendimenti intorno al 4%.
La redditività delle banche in questa maniera avrà una ulteriore riduzione sia per la diminuzione dei prestiti e sia per l’aumento dei tassi di interesse sui depositi bancari. (Segue)
Antonio Mascolo