Dedico questa riflessione alla cara Eleonora Mosti che della coesione sociale ha fatto una ragione di vita e di impegno cristiano. Un ricordo affettuoso

Per Dante, il male, di cui “la terra cristiana tutta” è contagiata e sofferente, è la corruzione legata al potere politico viziato dalla superbia che, a suo profitto, disumanizza ogni soggetto: individui, popoli, istituzioni, confraternite e ordini. Come quello cavalleresco dei Templari, bestialmente soppresso “sanza decreto” (v.92), scrive il poeta al colmo dell’indignazione.

Cacciato dalla parte avversa. il poeta -come emerge dal profetico canto VI dell’Inferno- avrebbe incontrato sconosciute rive d’alberi; conosciuto una vita fra gente ignota…Nessuna giustizia umana lo avrebbe riportato dentro le sue vecchie mura: una città impantanata nelle lotte fratricide, in contese nate dalla cupidigia.

Società dinamica certo quella fiorentina, ma disordinata sul piano sociale e morale e dove i migliori cittadini erano dispersi, sopraffatti…. Società faziosa, nella quale l’esasperazione della lotta politica impediva un vero sviluppo sociale e determinava gravi ingiustizie.

Le classi sociali che costituivano la città avrebbero dovuto essere complementari alla crescita del tessuto sociale, vi erano al contrario segnali di regresso verso la barbarie: una fuga dall’impegno costruttivo nella polis; il disinteresse per l’orizzonte di una comunità unita negli obiettivi; l’indifferenza verso una pacifica convivenza. Gruppi chiusi della società civile favorivano la violenza privata, deformavano la libertà, minavano il concetto di giustizia. E senza giustizia non c’è pace, né libertà.

Nel vedere quei volti immersi nel fango puzzolente gli ritornarono alla mente le antiche immagini escatologiche di Isaia sulla distruzione della terra; le sue profetiche parole sulle tre faville che in ogni tempo accendono i cuori.

Lungo le rive dell’Arno Superbia, Avarizia e Invidia avevano portato nelle nuove generazioni una confusa volontà di distruzione. E i giusti sono due….

Sulle tracce di una giustizia che tuttavia resiste nel cuore di pochissimi sarà possibile un giorno ricostruire una società migliore e senza discordie? trovare chi sappia porsi al di sopra del proprio diritto o del proprio potere trascendendo se stesso per potere aspirare ad una civile convivenza? conciliare le ragioni della politica con la virtù cristiana?

La superbia, l’avarizia e l’invidia…sono derive di ogni società: spengono ogni barlume di umanità; la riportano allo stato di bestialità. Ma la bestialità non è una fatalità!

Da quest’inferno della vita fiorentina il poeta -attraverso le pagine del canto VI del Purgatorio- offre al lettore un’altra visione negativa legata all’Italia: la radice profonda di questi e altri mali che allignano nelle umane convivenze, nelle comunità organizzate: è l’odio-reciproco (tra singoli, partiti, poteri): essa è la causa prima della rovina dell’Italia. Una penisola, una nazione, una “patria”

Nonostante tutto, attraverso la figura del console romano Caro Fabrizio Luscino (Purgatorio, canto XX) Dante afferma che la salute della patria non ha prezzo, la dignità e la legittimità della funzione politica sta nel non vendersi di chi la esercita; perché ciò significa corromperla senza rimedio.

E affinché si possa sviluppare un’educazione alla salvezza occorre una potente semplicità della coesione sociale – tutt’uno con la probità dei costumi: il valore di uno spazio chiuso. Uno spazio tale, secondo Dante, è esistito e, nel contempo, è atemporale e quindi riproponibile. Lo si riconosce dalla presenza di un’umanità attenta alle virtù cardinali; e dall’essere fertile terreno per quelle teologali. Nelle comunità ordinate, il perfezionamento spirituale non è materia dei soli pastori del gregge, ma dovere di ogni anima battezzata.

La nostalgia di Dante, attraverso il trisavolo Cacciaguida (vedi i canti XV-XVII del Paradiso), fa balenare un mondo compatto, partecipe dei medesimi sentimenti, che interagendo su uno spazio delimitato a sua misura si sente allacciato all’eternità che la grazia di Dio gli “dovrebbe” riservare.

Anche l’antica Firenze era conscia del primato dell’innocenza, dell’onestà, e di essere sotto la protezione di Dio. Poteva pertanto godere, quella Firenze lì, del dono della pace: si stava in pace, essendo sobria e pudica (XV, v.99). Ogni degno cittadino deve contribuire al bene generale e vivere in modo austero e solidale, fiero della propria identità e della propria città. Così è stato, quando il seme della famiglia di Cacciaguida si è affermato, per diramarsi fino al suo ultimo rampollo; a cui il messaggio arriva da un tempo altro: “così riposato…viver di cittadini, così fida cittadinanza, così dolce ostello” (XV, vv.130-132). Secondo l’ottica di Dante quel che conta in ogni società è l’affermarsi della pace e della giustizia. Perciò privilegia il senso e l’agire morale e politico: è alla ricerca di un mondo “rinato” per davvero, cioè nella verità; e ciò comporta anche il prepararsi alla fine dei tempi. Eventualità forse prossima per Dante e remota per noi, ma resta lì. E sentiamo “Dante vicino”, come titola Umberto Bosco. Più di altri poeti-pensatori, lui che abbraccia passato e futuro, ravviva la speranza di un approdo: salvezza per quanto ci è caro.

Ogni potere che si snaturi dalla sua ragion d’essere nei confronti di Dio e del popolo cristiano è cieco, e decade a bestiale prepotenza. Produce sangue, frode, tradimenti e impedisce l’ordine sulla Terra. Questa facoltà di elevarsi e di congiungersi a Dio permette all’uomo di superare il male assoluto, con il senso di giustizia e di umanità. Aspirazioni e azioni volte a raggiungere alte mete nella società non possono svilupparsi, se non corrispondono all’ascolto della parola di Dio e alla sua messa in atto; altrimenti rappresentano un frutto avvelenato dalla superbia e il loro espandersi è causa di rovina per l’umanità. Visione cristiana, tradizione latina, cultura cortese e urbana contribuiscono a far sì che il grande poeta possa sublimarle in un ideale estetico-morale che ha nutrito, e può nutrire un umanesimo sempre ma senza il pensiero rivolto all’eternità la storia umana è nulla e si dovrà esaurire senza ritorno alla luce.

Nella Commedia Dante è costantemente proiettato sull’attualità e anche quando parla di cose passate, lo fa nella prospettiva dell’oggi o in funzione della sua condizione di vita nel momento in cui scrive. Secondo alcuni studiosi, a conferma di una secolare convinzione, fu nella giovinezza anche esplicitamente attratto dalla consacrazione religiosa, pensando addirittura di diventare frate. Al termine dell’anno di noviziato però non emise i voti, preferendo orientarsi a una vita laicale. Continuò in ogni caso a custodire e coltivare la sua «passione francescana» aderendo al terz’Ordine secolare. E proprio in tale veste di terziario, lo si ritroverebbe ritratto, niente meno che da Giotto, negli affreschi della Basilica inferiore di san Francesco in Assisi e precisamente nella vela rappresentante l’Allegoria della castità, dove sono enunciate le tre famiglie dell’Ordine Francescano.

Nino Giordano

Il testo è stato tratto da “La Divina commedia in Italiano d’oggi” -Nino Giordano- Fabrizio Maestrini – Lef Firenze

 

 

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