E se avesse prevalso Golia cosa ne sarebbe stato del popolo d’Israele e della sua storia? E se Ettore – un po’ tutti eravamo dalla sua parte – avesse ucciso Achille e, sconfitti gli Achei, gli dei dello Scamandro, appena al di là dei Dardanelli, eppure in un altro continente, avessero soppiantato quelli dell’Olimpo? Che ne sarebbe stato della nostra cultura e della nostra civiltà?
Oggi il Golia di Mosca ha tutte, o quasi tutte, le chances per vincere contro il Davide di Kiev.
Edoardo Almagià ha pubblicato ieri su queste pagine una pregevole, puntuale, acuta analisi del conflitto scatenato dal macellaio del Cremlino contro il popolo ucraino (CLICCA QUI) .
Golia è stupido, ma è grande e grosso. È solo forza, violenza, brutalità, ferocia, cinismo anche nei confronti dei suoi. Davide ha solo la fionda e non basta lanciare un sasso che, quasi fosse un drone, voli a colpire il nemico.
Certi conflitti, per quanto apparentemente locali, non ci stanno nello spazio del territorio conteso, tanto meno nel tempo circoscritto del loro accadere, ma andrebbero letti proiettandoli secondo la risonanza di cui sono capaci, nel tragitto lungo della storia.
Eppure, da noi sono tanti a parteggiare per Golia. Ed altrettanti stanno per Achille, l’aggressore, colui che minaccia e porta la guerra. Bisognerebbe esplorarne a fondo le ragioni. Ne sapremmo di più su di noi, sui timori e sui paradossi che danno forma al nostro pensiero ed ai sentimenti che lo accompagnano. La guerra in Ucraina andrebbe esaminata anche sotto questo profilo: come specchio in cui l’Europa si riflette e, nell’immagine che le torna, rintraccia alcuni tratti del proprio carattere che ancora non conosceva. Una sorta di test di Rorschact collettivo.
Come sostiene Almagia quello ucraino è un conflitto eminentemente europeo. Ed ancora – dopo millenni e millenni di storia – un conflitto tra due continenti.
La Russia, la sua letteratura, la cultura, la stessa religione, la musica, l’arte hanno molto a che vedere con l’Europa e la sua storia, come la intendiamo noi. Sostanzialmente le appartengono. Eppure, oltre gli Urali, il suo sterminato territorio la proietta ad Est. Appartiene anche al continente asiatico, a quell’Oriente che, da sempre, vive di una concezione “dispotica” del potere, dirimpettaia ed ostile a quella democratica che l’Occidente, pur a fatica, difende e promuove.
Non a caso, un’attitudine che dagli zar, a Lenin e Stalin, fino a Putin è profondamente radicata nell’ anima della Russia, cosicché resiste e si perpetua, in una ininterrotta continuità, pur transitando attraverso radicali trasformazioni storiche, epocali rivolgimenti politici, modelli istituzionali l’uno con l’altro incomponibili.
Domenico Galbiati