Questo intervento di Primo Fonti segue quello di sabato scorso (CLICCA QUI) sulle proposte avanzate dal Ministro Carlo Nordio in materia di Giustizia

La discussione intorno al pacchetto giustizia Nordio – anche se ancora fuori dalla sede più opportuna del Parlamento – non può prescindere dalla preliminare osservazione di aver messo in luce una sensibile varietà di posizioni tra loro contrapposte, frutto di una cultura improntata al manicheismo.

Il mettere il Bene e il Male in perpetuo e insanabile contrasto tra loro ha contaminato anche la cultura giuridica facendo perdere di vista l’obiettivo di concepire e realizzare riforme tutte coerenti col dettato costituzionale.

Non aiuta a ritrovare la diritta via perduta l’antico vizio di mettere insieme, nel medesimo provvedimento , il diavolo e l’acquasanta e continuare a riproporre il perenne scontro a distanza con la Magistratura, con la quale sarebbe finalmente auspicabile una proficua collaborazione. E’ necessario il dibattito, invece, nella ricerca di soluzioni condivise senza con ciò esorbitare dai poteri costituzionalmente stabiliti. E’ possibile e, se lo è, si può fare !

Mi spiego. Se il divieto di pubblicare il contenuto delle intercettazioni ( potrà essere pubblicato solo il contenuto  “riprodotto dal giudice nella motivazione di un provvedimento o utilizzato nel corso del dibattimento”) , se la richiesta della misura di custodia cautelare in carcere dovrà essere sottoposta a un giudice collegiale e l’indagato dovrà essere interrogato dal giudice (fatta eccezione per il caso in cui “sussista il pericolo di fuga, di inquinamento delle prove o se si tratta di reati gravi commessi con l’uso di armi o con altri mezzi di violenza personale”),  e  se l’informazione di garanzia dovrà contenere, diversamente da quanto oggi previsto, una “ sommaria descrizione del fatto” , possono effettivamente considerarsi sottotitoli della voce “garantismo” come affermano insistentemente i vari rappresentanti della maggioranza parlamentare, ma con riferimento all’intero provvedimento, altrettanto non può dirsi per  l’abrogazione del reato abuso d’ufficio e del “ traffico di influenze sia pur ancora applicabile  “ a condotte particolarmente gravi”, come abbiamo sostenuto nel nostro intervento di sabato 17 giugno u.s.

Per quale motivo gli operatori del diritto, nessuno escluso, non dovrebbero parlare al fine di migliorare il provvedimento nell’interesse comune, lasciando ovviamente al Parlamento l’ultima parola ? L’idea che una sola parte sia depositaria della verità e che possa essere inquinata dal confronto delle idee è davvero bizzarra se non fosse anche preoccupante. Così come non meno preoccupante sarebbe l’idea di assegnare al Ddl Nordio la funzione di prove tecniche di attuazione di una riforma più ampia e incisiva quale potrebbe essere l’annunciata separazione delle carriere.

Valutazione a parte merita invece il divieto di appello del PM per le sentenze di assoluzione da reati di “contenuta gravità“. A ben vedere, il provvedimento risponde  ad esigenze deflattive piuttosto che a logiche di garantismo. Ma qui si dovrà fare i conti con la Corte Costituzionale che si è già pronunciata in passato bocciando la riforma Pecorella.

L’eterogeneità dei fini del Ddl Nordio, benché calcolato ma non per questo giustificabile, è un limite insuperabile perché  la ricerca del bene comune, se ammette compromessi, non può consentire di accettare il “ diavolo e l’acquasanta” col perdurante manicheismo.

Quando si abbassano le difese immunitarie del tessuto sociale con l’abolizione , piuttosto che la riformulazione, dell’abuso d’ufficio  e si limita  il traffico di influenze illecite a condotte particolarmente gravi, lasciando impunite quelle ritenute meno gravi, benché basate anch’esse sulla creazione di  una rete di relazioni informali di natura occulta, si favorisce il diffondersi di metastasi nel corpo sociale, sempre più indebolito.

Primo Fonti

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