TAJANI E LA VOCAZIONE TRADITA

Quando qualcuno si ritrova a gestire una eredità pesante, ottenuta come “premio-fedeltà”, senza alcun sostanziale
merito proprio, da chi quel patrimonio ha accumulato, gli vien naturale chiedersi – soprattutto di fronte a momenti e passaggi delicati – come si sarebbe comportato il suo datore di fortuna.

Può darsi che anche Tajani, quando la situazione politica lo espone a grattacapi che impegnerebbero anche l’intelligenza politica e la coscienza di un vero leader, si chieda : “Cosa avrebbe fatto Berlusconi ?”. Il mite Tajani dovrebbe porsi tale domanda a fronte del “decreto sicurezza” che, approvato alla Camera, passa al Senato e per il quale Salvini ha chiesto una corsia preferenziale.

Non che noi, ovviamente, si sappia cosa avrebbe fatto Berlusconi, né onestamente lo può sapere, in modo circostanziato, lo stesso Tajani. Si sa, ad ogni modo, che Forza Italia è nata, a suo tempo, rivendicando una vocazione politica liberale, democratica ed anche cristiana. Né risulta che Berlusconi abbia mai assunto pose da “manettaro”.
Ad ogni modo, non è qui il momento di discutere se tale opzione originaria sia stata più o meno onorata nella lunga e complessa vicenda politica di Forza Italia.

Sappiamo, però, come, anche laddove i suoi percorsi si facciano tortuosi, ogni forza politica resti comunque espressione di quel suo imprinting originario, la “cifra” che, inevitabilmente, la rende riconoscibile, la connota e lo contraddistingue nell’ insieme complessivo di tutte le forze in campo.
Ora il mite Tajani dovrebbe spiegarci – secondo l’ efficace neo-logismo che risale ad Antonio Di Pietro – che “c’azzecca” la vocazione liberal-democratica di Forza Italia con quel provvedimento di galera di cui sopra.
Provvedimento che è emblematico di che cosa sia, di quale natura l’ egemonia culturale che la ditta Meloni-Salvini intende spalmare sul nostro povero Paese.
Che Tajani ci illumini.

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