Il tema dell’iniquità fiscale ha rappresentato uno dei motivi del mio interesse giovanile per la politica. A 16 anni volli approfondire la questione del come pagano le tasse gli italiani.
Trovavo anacronistico che in quegli anni si continuasse un sistema di prelievo fiscale non molto diverso da quello in uso nel Regno dei Borboni. Al posto degli antichi gabellieri del Re si erano sostituiti i datori di lavoro, le ricevitorie dei monopoli di stato e, soprattutto, progressivamente sempre più incidenti, i gestori delle pompe di benzina. Erano e lo sono tuttora i nuovi gabellieri permanenti dello Stato sovrano.
Nel dicembre 1991, in un articolo per la rivista della sinistra sociale DC di Forze Nuove, Terza Fase- n.12/91, scrivevo: “ l’introduzione del welfare state alla fine degli anni’60, che è stata una delle grandi conquiste della DC e del centro-sinistra, si è accompagnata alla riforma fiscale del 1974, voluta dall’allora ministro del PRI, Bruno Visentini, che determinò la scissione tra il momento dell’autonomia ed il momento della responsabilità, ossia il venir meno di uno dei capisaldi fondamentali di tutto l’insegnamento sturziano, con l’instaurarsi di una pericolosissima prassi fondata su un unico sportello centralizzato delle entrate e oltre 30.000 sportelli incontrollati e incontrollabili della spesa, con le conseguenze ben note sul piano del deficit pubblico.
Da un punto di vista strutturale, con la trattenuta fiscale alla fonte dei redditi di lavoro dipendente ( con i datori di lavoro pubblici e privati in funzione di esattori fiscali per conto dello Stato), si realizzava una condizione assurda e iniqua per cui il peso prevalente del welfare state veniva pressoché totalmente sostenuto dalle categorie a reddito di lavoro accertabile, mentre largo spazio all’accumulazione veniva lasciato ai detentori di capitali finanziari destinati a sostenere con l’acquisto dei titolo il debito pubblico”.
Qualcosa rispetto allora è cambiato? In realtà assai poco, dato che ai maggiori controlli e alle autentiche vessazioni fiscali della costituita Agenzia delle entrate, non si è mai accompagnata la riduzione della spesa pubblica e con il calo della crescita, siamo giunto all’attuale valore del debito pubblico pari a circa 384 miliardi di dollari, il 137% del PIL
In Italia, la pressione tributaria è ai massimi livelli tra le nazioni civili. Si è concluso solo ieri il semestre del lavoro degli italiani a sostegno delle tasse. A tale situazione caratterizzata da una sostanziale ingiustizia sul piano dei prelievi, si accompagnano: l’incomprensibilità delle norme, l’incertezza giuridica, le arbitrarie presunzioni a favore del fisco, l’inversione generalizzata dell’onere della prova a carico del contribuente che pongono i cittadini alla mercé del fisco degradandoli al rango di sudditi.
In Italia, a fronte di una tassazione spogliatrice, lo Stato non rende i servizi in nome dei quali sottrae al cittadino molto più della metà del suo reddito e confisca risparmi già tassati, per destinarli agli sperperi delle oligarchie parlamentari, burocratiche, giudiziarie, clientelari ( la casta). Questione dirimente è analizzare chi veramente paga le tasse nel nostro Paese.
Nel 2022 il Nord Italia ha versato quasi il 60% dell’IRPEF. Solo il 13,94 % degli italiani paga quasi due terzi delle tasse, mentre il 47% non dichiara redditi. Sono, infatti,41,5 milioni gli italiani che fanno la dichiarazione fiscale IRPEF, ma oltre il 40% di questi dichiarano un reddito inferiore a 15000 euro.
In definitiva l’ IRPEF è a carico di pochi: il 44 per cento dei contribuenti paga oltre il 92 per cento dell’imposta, con un gettito complessivo pari a 175,17 miliardi di euro nel 2021. Il restante 56 per cento contribuisce al gettito fiscale per il 7,38 per cento. I dati arrivano da Itinerari Previdenziali, nel Settimo Rapporto sulla Regionalizzazione del Sistema Previdenziale italiano presentato il 7 novembre 2023 al CNEL.
Nel dettaglio, su circa 41 milioni di contribuenti, 22 milioni sono lavoratori dipendenti e 14,5 milioni sono pensionati, un totale di 36 milioni e mezzo di persone, quasi il 90%. Esaminando gli scaglioni IRPEF per i lavoratori dipendenti e autonomi, sulla base della legge di Bilancio 2022, risultano così distribuiti:
aliquota IRPEF del 23% per i redditi da 0 a 15.000 euro (no tax area fino a 8.174 euro);
aliquota IRPEF del 25% per i redditi da 15.001 a 28.000 euro;
aliquota IRPEF del 35% per i redditi da 28.001 a 50.000 euro;
aliquota IRPEF del 43% per i redditi oltre i 50.000 euro.
È su questi scaglioni e con queste aliquote che si provvede al calcolo dell’IRPEF in busta paga. Per lavoratori dipendenti e pensionati con ritenuta alla fonte, per gli autonomi, con auto dichiarazione al fisco. Alla fine, l’evasione è assicurata per un totale di oltre 90 miliardi certamente non imputabili al solo lavoro autonomo (professionisti, artigiani, commercianti), ma vanno considerate le imprese grandi e medie e il vasto campo del sommerso, compreso quello che, nella mia teoria dei quattro stati, considero il “quarto non stato”, ossia le attività illegali sottratte a ogni controllo di legittimità e di merito.
Una situazione di tale iniquità dovrebbe provocare non solo una civile e forte indignazione, ma sollecitare una rivolta sociale, mentre, purtroppo, continua il disvalore della sub cultura secondo cui: gli evasori sono dei furbi, i contribuenti onesti dei fessi. A tutto ciò si accompagna il cattivo esempio di un governo che è giunto a definire le tasse, “pizzo di Stato” e si concede il lusso di favorire continui condoni, con l’obiettivo di corrispondere alle attese dei contribuenti renitenti al proprio dovere fiscale, pur di garantirsi il consenso.
L’amico on. Bruno Tabacci da molti anni porta avanti la proposta dell’introduzione nel sistema fiscale italiano del contrasto di interessi tra fornitori di beni e servizi e clienti fruitori.
Un tema ripreso nei giorni scorsi dal presidente di Itinerari previdenziali, Michele Brambilla che, credo, andrebbe sostenuto, ossia: consentire di detrarre dalle tasse 5000 euro di spese per auto e casa, una condizione che favorirebbe la fuga dal “nero”. Con il dr Brambilla condividiamo le sue conclusioni: in un Paese ad alta infedeltà fiscale e dalla grave disuguaglianza, tra lavoratori dipendenti e autonomi, il contrasto di interessi è l’unica soluzione possibile. Si tratta di avere la volontà politica di sperimentarlo.
Un tema che noi cattolici democratici, liberali e cristiano sociali dovremo inserire tra le priorità del nostro programma da sviluppare nell’auspicata Camaldoli 2024.
Ettore Bonalberti