Site icon Politica Insieme

Democrazia come Orban insegna – di Domenico Galbiati

Le democrazie – anche quelle degli altri – sono diventate difficili, come si diceva della nostra quando la si giudicava “incompiuta”. Né l’attesa e presunta maturazione, che l’alternanza avrebbe dovuto garantire, ha migliorato le cose.
Tutt’altro.

Un po’ ovunque le democrazie appaiono dispnoiche, in evidente affanno. Non a caso succede anche nella casa-madre oltreatlantico. Sembra siano anche meno diffuse. Cedono il passo a regimi illiberali o francamente autocratici.
Il primo momento di queste involuzioni è una sorta di sfarinamento interno – come se li minasse un tarlo – degli ordinamenti democratici di cui si salva l’apparenza fino a cose fatte, dopo di che se ne tirano le somme anche sul piano della forma. Insomma, Orban insegna.

C’è chi, anziché contrastarla, induce a scivolare giù per questa china. Il pifferaio di turno alimenta malumori e paure, suggerisce complotti, segnala capri espiatori e, per lo più, sono i “diversi”. Si diffondono allarmi, si appiccano incendi e poi ci si improvvisa pompieri, magari secondo la postura di chi protegge i confini e l’identità.

Le difficoltà cui vanno incontro le democrazie, evidentemente, non sono contingenti, qua e là occasionali, dovute ad una mera coincidenza temporale di situazioni differenziate, ciascuna delle quali si spiega per conto suo. Al contrario, è giunto il momento di riconoscere che la contestualità di queste derive ne denuncia una natura “strutturale” che tutte le accomuna, pur nella specificita’ di ciascun caso particolare.

Non basta più descrivere un fenomeno, di cui – siamo ancora in tempo? – dobbiamo cominciare ad occuparci seriamente. Insomma, dobbiamo chiederci perché le democrazie patiscano tanta fatica a leggere, interpretare, comprendere, orientare e governare quel tratto caratteristico e comune delle societa’ piu’ sviluppate, che, non sapendo far di meglio, chiamiamo “complessità”.

Le autocrazie – cominciando dai capi-scuola di Mosca e Pechino – danno l’illusione, almeno nel breve momento, di essere più efficienti e funzionali. Ovviamente, al prezzo delle libertà e dei diritti repressi. Per il macellaio del Cremlino, addirittura, sembra che lo stillicidio della guerra sia necessario e, cioè, risponda ad una finalità interna.
Concorra, in sostanza, a tener premuto il coperchio della pentola, dove ribollono tensioni che, ove attecchissero, potrebbero rivelarsi incontrollabili ed esiziali. Non è disponibile sul mercato l’antidoto al veleno che intossica le democrazie.  Tutt’al più qualche placebo che attutisce i sintomi, almeno lo stato d’ animo ansioso che li accompagna, senonché, in tal modo, ottunde la coscienza di malattia e la prolunga.

C’è chi – non è neppure escluso che lo faccia in buona fede – suggerisce farmaci sintomatici, che, infine, sono talmente controindicati, talmente appesantiti da effetti collaterali, da precipitare la malattia verso una fase terminale. Ogni forma di personalizzazione e centralizzazione del potere va in questa direzione. Anche quando viene suggestivamente avanzata in nome della governabilità, sia pure a prezzo della rappresentanza democratica e parlamentare.

Non resta che ricorrere, come facevano i medici antichi, di fatto inermi di fronte a malattie appena severe, alla “via sanatrix naturae”. Cioè, rafforzare le difese naturali dell’organismo, attivare gli anticorpi, vaccinare contro gli agenti patogeni, educare alla prevenzione, mobilitare le risorse del corpo e le energie morali, le risorse, non meno decisive dello spirito. In altri termini, anziché confidare in architetture istituzionali, più o meno ben congegnate, che pur ci vogliono, bisogna affidarsi alla “persona”, intesa come luogo del discernimento, spazio della responsabilità.

Per questo, soprattutto coloro che sono, come i credenti, più naturalmente affini ad una cultura personalista, hanno il compito ed il dovere di promuovere politiche dirette ad una vasta mobilitazione democratica delle coscienze.

Domenico Galbiati

Exit mobile version