Potremmo fare i conti in tasca precisi a tutti quanti, da chi ha perso malamente (Renzi e Bonino, Calenda, Conte con i Cinquestelle), a chi ha tenuto le posizioni (Forza Italia, PD e i Fratelli d’Italia della Meloni, brava a primeggiare ancora a quasi due anni dalla vittoria alle Politiche, considerato che dopo solo un anno l’elettorato aveva già voltato le spalle a M5S e Lega), alla coalizione Verdi/Sinistra, unica vincente su tutti i raffronti numerici ma comunque a un 6,78% che non giustifica trionfalismi.

Ci sembra però poca cosa soffermarci sui risultati dei partiti, quando l’attenzione va invece posta sul tema centrale di queste (e delle precedenti) elezioni: l’astensionismo.

Chi legge saprà già che non è andato a votare più di un italiano su due. Qualcuno avrà letto di una affluenza al 49,69%. Si tratta però di un dato inesatto, riferito solamente a chi risiede in Italia, mentre gli aventi diritto comprendono anche gli italiani all’estero: ed è curioso che per le percentuali non si consideri l’intero corpo elettorale, come è giusto che sia. Così facendo, la percentuale di votanti scende al 48,31%. Nel 2019 aveva votato il 54,5%, quindi l’astensionismo è aumentato del 6,19%. Ma non basta. Per avere il quadro reale del non voto bisogna considerare anche le schede bianche e le nulle.

Nel 2019 erano state quasi un milione (997.123) e pesavano il 3,6%. Ora mancano i numeri esatti (senza le 78 sezioni romane) ma si possono ricavare dagli altri: 51 milioni 214mila 348 aventi diritto, affluenza al 48,31%, quindi 24.741.652 votanti. I voti validi sono 23.385.447: dalla sottrazione ricaviamo bianche e nulle, 1.356.205, pari al 5,8%.

Possiamo quindi sottolineare che tutti i partiti in lizza hanno raccolto il consenso – più o meno convinto – del 42,51% degli italiani, con un aumento del non voto dell’8,39% a 5 anni di distanza. Ne deriva che le vere percentuali di consenso che i partiti hanno nel Paese sono le seguenti: Fratelli d’Italia 12.22, PD 10.25, M5S 4.24, Forza Italia 4.07, Lega 3.81, Verdi/Sinistra 2.88, Renzi/Bonino 1.6, Calenda 1.42 e gli altri allo zero virgola.

Da questi numeri reali partono considerazioni diverse. Quando la Meloni sentenzia che “i cittadini ci hanno detto da che parte stanno, e stanno dalla nostra parte”, dicendosi “orgogliosa del risultato di Fdi, di Forza Italia e della Lega”, dovrebbe pensare che la maggioranza di governo viene votata da appena 20 italiani su 100. Quando la Schlein esulta per il “risultato straordinario” del PD, “il partito che cresce di più dalle politiche”, farebbe bene a considerare tutt’altro che trionfale il consenso di 10 elettori su 100, e a sorvolare sul fatto che “la somma delle forze di opposizione supera quella della maggioranza”: infatti il “campo largo” a sinistra (PD, M5S, VeS) arriva al 17,37%, e solo aggiungendo Renzi, Bonino e Calenda si mette il naso davanti alla destra (20,39 contro 20,10). Come possa però una simile armata Brancaleone, ancora più disomogenea dell’Unione prodiana nel 2006, trovare una minima intesa di governo e un po’ di credibilità presso l’elettorato rimane un mistero.

Di tutta evidenza invece è il fatto che a destra come a sinistra rilanciano con forza il bipolarismo. Meloni e Schlein si legittimano così a vicenda: la premier sa che grazie alla compattezza del centrodestra (il potere e gli affari sono un potentissimo collante da quelle parti) governerà ancora molti anni, specialmente se riuscisse a cambiare in senso plebiscitario la Costituzione; la segretaria Dem sa (meglio, spera) che, ridimensionato il competitor Conte nella guida della coalizione, prima o poi toccherà a lei la guida del Paese. Nel frattempo gli italiani dimostrano con il non voto il loro distacco da una politica ormai governata dall’oligarchia protagonista sul palcoscenico mediatico, preoccupata del consenso immediato, di gratificare i clientes, di elargire bonus e proclamare diritti, dimentica dei doveri, del debito pubblico, delle virtù civiche.

Le ragioni dell’astensionismo sono varie e complesse, e ne scrive il bravo Francesco Provinciali (CLICCA QUI). I numeri certificano che il corpo elettorale non è coinvolto al 57.5% nel sistema politico, e la percentuale sale almeno ai due terzi se aggiungiamo i molti – soprattutto nel centrosinistra – che votano il meno peggio. Ma i leader del teatrino non se ne preoccupano, limitandosi ad osservare che gli assenti hanno sempre torto, beandosi della vittoria al ribasso o del protagonismo garantito dal ruolo di oppositore nel gioco delle parti.

Da un lato potremmo anche vedere del positivo in questa realtà: chi è preoccupato della svolta a destra dopo le ultime Politiche si può rasserenare pensando che il partito post o para fascista, pur maggioranza relativa, resta una netta minoranza nel Paese; e chi critica il PD per essersi ridotto a un “partito radicale di massa” ne vede rassicurato una massa comunque esigua. Tutto vero, ma non ne siamo rinfrancati.
Chi ha a cuore la tenuta democratica del nostro Paese dovrebbe invece preoccuparsi: “una democrazia senza popolo è destinata a tramontare”, insegnava il nostro maestro Guido Bodrato. Il distacco dei cittadini dalla partecipazione democratica va considerato una ferita grave da curare. Abbiamo sentito in tv Italo Bocchino, opinionista di destra onnipresente nei salotti televisivi da quando la Meloni guida il Governo, dire che chi non va a votare lo fa perché sa che è ininfluente dato che la democrazia è solida (e, sottinteso, in buone mani), facendo infuriare Massimo Cacciari che ha abbandonato la trasmissione. Negli anni abbiamo ascoltato tanti di questi ragionamenti, tanti soloni di destra e sinistra che ci raccontavano come le democrazie mature e solide – il particolare quella statunitense – avessero un alto astensionismo fisiologico. Una delle fandonie con cui ci hanno confezionato “l’inganno del bipolarismo” (copyright sempre di Bodrato).

Resisterà l’equilibrata democrazia rappresentativa disegnata dalla Costituzione alla deriva populista e plebiscitaria di questi anni? Molti danni sono stati fatti dai suoi nemici, e il Parlamento si è indebolito: pensiamo solo ai “nominati” che lo hanno riempito, non per rappresentare la Nazione ma gli interessi del proprio Capo Partito.

Ecco perché la svolta deve partire dallo smantellamento della vergognosa legge elettorale maggioritaria a tutela dell’oligarchia: si sta avviando la raccolta firme per l’abrogazione del Rosatellum, primo passo in difesa della democrazia e della Costituzione. Ne parleremo diffusamente, per dare appoggio incondizionato a una buona causa da sostenere in concreto. Il secondo passo sarà il NO al Premierato voluto dalla Meloni, “matrigna di tutte le riforme” (CLICCA QUI) e “deriva più pericolosa” (CLICCA QUI). Senza dimenticare i danni che potrebbe portare l’Autonomia differenziata d’ispirazione leghista, sommatoria di centralismi ed egoismi regionali, e non animata dalla necessaria solidarietà e coesione nazionale.

Non mancano i fronti di impegno per chi si sente ancora “libero e forti”

Alessandro Risso
Pubblicato su www.associazionepopolari.it