Testo dell’intervento sviluppato da Sandro Antoniazzi ( Demos Lombardia) in occasione del Convegno “Democrazia. In cerca di rigenerazione” organizzato da La rete nazionale dei cattolici democratici c3dem (Costituzione,Concilio, Cittadinanza/Democrazia)
Intendo parlare del senso e del valore della democrazia, ma vorrei sviluppare una riflessione sul suo significato più radicale, più stringente, più risolutivo.
Ho l’impressione che siamo abituati a pensare alla democrazia in un modo troppo sbrigativo, distratto, pacifico. La democrazia per noi è un’abitudine, un luogo comune.
Viviamo in un paese democratico, pensiamo che il nostro futuro sia democratico; rischiamo di dare ragione al Fukuyama della fine della storia.
Ma forse un approfondimento è necessario.
Intanto se leggiamo i rapporti di Freedom House, l’ente indipendente che studia la situazione della democrazia mondiale, vediamo che sono diminuiti gli stati democratici e che molti diritti umani sono misconosciuti e calpestati.
Ma anche il nostro paese si trova davanti a problemi seri: almeno due.
- Innanzitutto, abbiamo un problema storico. Le masse popolari si sono affacciate alla democrazia solo per un momento nel 1919/20, ma è arrivato subito il fascismo. Dunque, l’inserimento delle2 masse nella democrazia del paese è avvenuto solo dopo l’ultima guerra, con la Resistenza, la Costituzione e i partiti di massa. In pratica 90 anni dopo l’unità d’Italia. Si è fatto molto in quegli anni, ma molto rimane da fare e soprattutto il processo sembra interrotto e non sappiamo bene come possa essere ripreso.
- Le maggiori difficoltà attuali provengono senza dubbio dalla globalizzazione, ua globalizzazione senza regole. In verità una regola l’economia mondiale la possiede, è quella della concorrenza sfrenata, “race to bottom”: corsa al ribasso, ribasso dei salari, dei contratti, delle condizioni di lavoro. È sufficiente guardare alla situazione di oggi, al costo dell’energia, all’inflazione, alle difficoltà in cui si trovano molti. Viviamo in una situazione dove sono possibili continui peggioramenti e questa situazione tende a diventare permanente.
Se ieri c’era fiducia nel progresso, adesso si guarda al futuro piuttosto come a un pericolo, una minaccia, qualcosa di cui si ha paura: si teme di andare indietro, di perdere.
Viviamo in una società che ha paura: e la democrazia è strettamente connessa alla società, a questa società che ha paura.
La democrazia cresce meglio quando c’è sviluppo, perché ci sono meno conflitti ed è più facile andare d’accordo.
E poi per noi una volta lo sviluppo non era solo economico, ma anche sociale, umano, civile.
La democrazia all’origine non era tanto un regime, quanto una realtà di una società di eguali (pensiamo all’America del 1776).
L’eguaglianza dei cittadini era un fattore essenziale, era la natura stessa della democrazia.
E sappiamo come invece nel nostro paese negli ultimi 20 anni sia costantemente cresciute la diseguaglianza e la povertà.
Così si impoverisce e diventa più fragile anche la democrazia. lo constatiamo chiaramente in ogni elezione con il ritiro, l’abbandono di molti, troppi.
A tutto questo dobbiamo reagire con forza, reagire idealmente, culturalmente, politicamente.
Per farlo è essenziale che abbiamo chiara una prospettiva, un orientamento.
Ieri avevamo un’idea di società futura oppure vedevamo il progresso in una visione che fosse anche morale, ideale.
Ma se abbandoniamo l’idea di una società futura già definita, dobbiamo allora sostituirla con un’idea di società che è da creare, da costruire, da edificare e che tocca a noi ideare e realizzare.
La società futura sarà una società democratica, ma indubbiamente una democrazia diversa, più egualitaria, più cosciente, più condivisa; una volta si diceva democrazia sostanziale.
È l’orizzonte per cui dobbiamo lavorare e lottare, una democrazia più matura: dobbiamo essere capaci di indicare le trasformazioni istituzionali, sociali, economiche che ne consentano la realizzazione, un avanzamento della democrazia.
E la lotta per una democrazia migliore si fa con metodi democratici; la democrazia è fine e mezzo contemporaneamente. Sottolineo questo concetto: si può essere più riformisti o più rivoluzionari, si può volere anche la trasformazione del capitalismo, ma qualunque sia la scelta, occorre passare da qui: è solo democraticamente che si possono realizzare le nostre concezioni.
Così il modo per affermare la democrazia è sviluppare un processo diffuso e continuo di democratizzazione, ovunque sia possibile nella società.
Una forte democrazia richiede una forte coscienza democratica, ma come formare i cittadini a questo fine?
Proudhon diceva che la democrazia è demopedia, cioè educazione del popolo.
Certamente tutto ciò che si fa nel campo della formazione e della cultura è importante, ma è improbabile che il problema possa essere risolto con corsi formativi; il popolo si forma attraverso l’esperienza di vita quotidiana, se vive realtà che ne consentano la partecipazione politica, economica, sociale, ambientale. Vediamole un momento.
Politica. I partiti oggi fanno molta fatica sia ad essere democratici sia a stabilire rapporti con la gente. Se le difficoltà sono comprensibili, è anche vero che fanno poco per superarle. Sarebbe quanto mai necessario un ripensamento sull’organizzazione del partito. L’esempio peggiore viene dalla formazione delle liste elettorali, tutte decise dall’alto. Sarebbe preferibile che le candidature fossero scelte localmente e si ristabilissero le preferenze: i candidati dovrebbero misurarsi con la loro base, rafforzando così rapporti e democrazia.
Economia. Siamo nel tempo delle tecnologie più avanzate, robotica, intelligenza artificiale, ma la condizione di dipendenza dei lavoratori nelle fabbriche non è mi cambiata; a volte il lavoratore è trattato come una merce, ma anche senza arrivare a questi estremi la condizione del lavoratore è una realtà di un’epoca passata, che oggi è del tutto insoddisfacente. Lo dimostra con evidenza l’ultimo fenomeno “The great resignation”, la grande dimissione. Tanta gente si dimette, sembra senza una ragione, dal punto di vista delle aziende. Vogliono una condizione di vita diversa, vogliono essere considerate come persone. Dopo lo Statuto dei lavoratori di 50 anni fa non sarebbe ora di un nuovo statuto che segnasse un altro traguardo democratico, quello della partecipazione e del riconoscimento della personalità dei lavoratori?
Sociale. Il sociale, il settore che si occupa delle persone, dai bambini agli anziani, la scuola, la sanità, i servizi sociali, hanno un grande peso e ruolo nella società. Ci sono gruppi ed esperienze che oggi parlano di “società della cura” (e per alcuni la società della cura è destinata a sostituire la società del lavoro in cui siamo cresciuti). La cura è un enorme lavoro a carico della società, ma in larga misura ancora a carico delle donne: una più equa ripartizione dei compiti di cura tra tutti, oltre che a un’esigenza di giustizia costituirebbe anche un notevole passo avanti di democrazia. Abbiamo poi nel paese un esteso welfare dove opera attivamente il Terzo Settore: in una prospettiva democratica occorrerebbe mirare a una gestione associazionistica che si autogoverni: la democrazia associativa propone di affidare interi settori dello welfare a associazioni, in piena autonomia.
Democrazia ambientale. Un diverso e migliore rapporto con la natura e col territorio non può che avvenire a livello locale, dove i cittadini sono direttamente interessati e per questo possono essere coinvolti in un processo responsabile per la realizzazione di un ambiente sano e vivibile. Ma anche le trasformazioni energetiche in corso devono essere nella misura del possibile orientate localmente (pensiamo alle rinnovabili), realizzando così una maggiore autonomia. E di può aggiungere che anche il tema della sovranità alimentare può essere declinato a questo livello.
Da molti punti di vista, dunque, il locale è una base fondamentale di democrazia.
Questo ci consente di introdurre l’ultimo problema, quello più complesso: ci sono ormai enormi problemi macro, decisioni sovranazionali, multinazionali, armamenti (atomici), finanza, tecnologie di comunicazione e di controllo, che sono non solo lontane, ma anche decisamente non democratiche.
D’altra parte, si tratta di problemi che hanno un’importanza rilevante nella nostra vita. È la questione che fa dubitare della democrazia. A cosa serve la democrazia se tu tante questioni essenziali non conta, non può esprimersi?
Proporrei di ragionare su un duplice piano:
-Da una parte sviluppare tutta la democrazia locale possibile (la città, la regione, il paese rispetto al mondo) riportando a questo livello le attività e le decisioni possibili,
-Dall’altra sviluppare nei confronti dei problemi macro, due diverse iniziative: 1. Un’attività di controllo (che richiede un buon livello di informazione). 2. Un’attività di rete di democrazie o di confederazione di democrazie che provano a pesare su queste decisioni, cioè coagulare le forze democratiche disponibili.
Problemi difficili, ma possiamo citare un fattore positivo a riguardo: la coscienza che facciamo parte di un’unica Terra di cui dobbiamo preoccuparci è decisamente cresciuta. Dall’altra parte dobbiamo stare attenti a questa destra, il percolo non è il fascismo di un tempo: questa destra dice al popolo, vi garantiamo libertà e difesa, ma ai grandi problemi ci pensiamo noi. È una sottrazione di democrazia.
Però anche le grandi questioni transnazionali, pur attivate da strutture complesse, sono comunque manovrate da uomini; pertanto, non bisogna avere paura, ma mettere in moto meccanismi di contropotere democratico.
Prendiamo come esempio l’Europa, realtà importante, che intendiamo sostenere e sviluppare, ma realtà prevalentemente economica (nata come “mercato” comune), poco politica, pochissimo sociale.
Data la sua forza rischiamo che prevalga questo modello di carattere economico anche sui singoli paesi, mentre sarebbe bene che prevalesse in Europa il modello costituzionale nostro e di altri, decisamente più democratico e sociale. Ecco un’altra battaglia democratica importante.
Per concludere, se stiamo fermi (e lo stiamo facendo da troppo tempo) andiamo indietro, perché la realtà si muove.
Max Weber diceva che bisogna mirare all’impossibile per realizzare il possibile.
Dobbiamo pertanto avere un’idea ambiziosa della democrazia, se la vogliamo difendere e sviluppare.
E non dimentichiamo che in queste ambizioni stanno i nostri più profondi ideali.
Sandro Antoniazzi