È tutto iniziato a Bretton Woods (Usa), nel 1944, dove venne deciso il nuovo ordinamento monetario , che avrebbe regolamentato in futuro gli scambi commerciali e valutari internazionali.
Gli Stati Uniti, già evidenti vincitori della guerra, imposero la centralità del dollaro contro altre ipotesi. Il grande sconfitto fu John Maynard Keynes, che proponeva una moneta virtuale sovranazionale.
Il dollaro ispirava fiducia, prometteva sviluppo e piena occupazione . Era la etica del vincitore. Invece, la critica keynesiana sosteneva che la moneta per le transazioni internazionali non può coincidere con quella di una singola nazione, perché quest’ultima finisce per controllare il mercato mondiale. E così è avvenuto.
Il dollaro è stato funzionale a realizzare l’obiettivo statunitense di massimizzare il libero scambio imponendo ,in particolare ai Paesi dell’area “occidentale”( compreso il Giappone), il modello economico liberista.
Coerentemente con questo indirizzo fu costituito il Fondo Monetario Internazionale ( FMI), che opera, in dollari, da banca delle banche centrali nazionali. Con il FMI si è, così, creato un sistema di pagamenti internazionali , la cui valuta è il dollaro.
Avendo delegato al dollaro il coordinamento sovranazionale , gli interessi dell’alta finanza hanno condizionato i flussi internazionali dei capitali, con l’effetto di provocare ciclicamente instabilità , come è avvenuto con la bolla speculativa del 2008.
Data la sua inconvertibilità in oro, il dollaro è una “carta-moneta” alla base di una integrazione economica senza precedenti. La globalizzazione ha rafforzato il ruolo del dollaro, che diventa la valuta base per le transazioni commerciali mondiali. Nel ’22 le transazioni commerciali in dollari sono state pari al 90% del totale. Non solo, sono in dollari il 60% delle riserve valutarie mondiali .
È , dunque, indiscutibile il netto predominio della moneta statunitense nell’economia globale, così che le forze economiche ( una èlite) controllano i movimenti finanziari globali e hanno il potere di indirizzo dell’economia internazionale; ed è un potere radicato e ben strutturato. L’influenza geopolitica del dollaro è stata costruita dalla fine della guerra ad oggi.
Detto ciò, anche se gli Usa con il dollaro sono sempre al centro del sistema economico-finanziario mondiale, l’ instabilità geopolitica statunitense e gli interessi dei nuovi poli economici ( Cina, India, Brasile, Sud Africa ) mettono in discussione gli attuali equilibri.
Va evidenziato, a questo proposito, che il dollaro (carta-moneta) è un titolo di credito verso gli Usa; cioè, viene concessa fiducia al Paese emittente la carta-moneta, il dollaro.
Tuttavia, la supremazia statunitense e la fiducia verso gli Usa vengono messe principalmente in discussione da Paesi come la Cina, l’India, il Brasile, la Russia, il Sud Africa (Brics). La Cina è il paese più attivo nel voler ridimensionare il ruolo del dollaro.
La crisi del 2008, la politica di Trump, il ridisegno della globalizzazione, le guerre locali ( dalla Siria all’Ucraina) , la crescente concorrenza internazionale favoriscono la transizione verso un sistema multipolare. È da considerarsi una tendenza irreversibile, nonostante le bolle speculative cinesi, la debolezza internazionale di alcuni Paesi del Brics, la forza di resistenza degli Usa. Si pensi ,in materia di fragilità, che nel ’22 le riserve valutarie nella moneta cinese risultavano coprire soltanto il 3% del totale mondiale.
Il futuro” multipolarismo” pone in crisi l’attuale assetto dell’ Unione Europea. E’ una sfida per l’Europa decisamente ardua: ci vuole saggezza politica e una visione solidale del vivere comune.
Da una parte, la supremazia del dollaro si basa sulla forza di persuasione degli interessi finanziari e valutari della stragrande maggioranza delle economie mondiali, che non vedono con favore una Europa più competitiva; dall’altra una Cina che è fortemente attratta dai mercati europei. Entrambi contrari ad un’Europa unita e indipendente.
Dei poli economici elencati, l’unico ad essere un’aggregazione di 27 sistemi , uno diverso dall’altro nella qualità e quantità economica, è l’UE . Gli altri poli presentano, invece, aree geopolitiche unitarie, che consentono loro provvedimenti unitari di difesa dei propri interessi, come ricorrere, se serve, a una svalutazione della moneta che, invece, l’UE non può attuare a vantaggio di tutto il polo, dati i diversi interessi nazionali . Inoltre, per effetto della segmentazione nazionale, la struttura dei costi interni si presenta strutturata a compartimenti stagni: le economie del Nord Europa da un lato; quelle meridionali dall’altro. Le prime possono guadagnare da un alto tasso degli interessi, mentre le seconde non sono in grado di sopportarlo. Ci vorrebbe una politica unitaria, che, oggi, la Germania, l’Olanda, la Norvegia respingono. In altri termini, ad esempio, se servisse dare competitività alle merci europee, lo strumento della svalutazione, vista la posizione della Germania, non è utilizzabile dalle economie meridionali, che devono operare solo sui costi interni (svalutazione interna ).
La Germania, infatti, bloccando le decisioni, ha beneficiato del cambio fisso, che è risultato molto utile alle sue esportazioni. Inoltre, la diversità di posizioni dei Governi europei in materia di finanziamento dei disavanzi di bilancio ( la politica dei bond) ha spesso costretto Spagna e Italia ad adottare misure non indispensabili di austerità per rassicurare i mercati, con il risultato di aggravare la situazione economica interna. Gli alti oneri finanziari dell’Europa meridionale ( non dimentichiamo la Grecia ) andrebbero ridotti mediante una politica unitaria di tutti i governi europei, attuata dalla Bce, che deve essere una vera banca centrale. Per questo, ci vorrebbe, finalmente, una Germania solidale con i suoi partner.
Sono alcuni casi. La sostanza è che l’ attuale Europa non può competere in uno futuro contesto multipolare con un’unione monetaria senza quella politica. L’èlite dominante europea , ancora convinta della bontà del ne-liberismo e della frammentazione geopolitica, è una forza economica e sociale che si muove nella direzione opposta a ciò che è stata l’Europa occidentale nei trenta anni post II^ guerra mondiale.
Paul Krugman, premio Nobel per l’economia, dice che l’Europa in questi anni è stata il luogo dove è apparso “vicino a realizzarsi il sogno umanitario “. Per Krugman si è avverato un miracolo della storia : un continente distrutto dalla guerra e dal genocidio degli ebrei, con alle spalle il Nazismo e il Fascismo, ha saputo trasformarsi in un modello di democrazia e di prosperità condivisa. Oggi questo modello presenta crepe e aree di criticità. Appare più che mai indispensabile recuperare quello spirito “miracoloso” per un’Europa democratica, pacifista, popolare, socialmente giusta, unita e indipendente.
Roberto Pertile