A Firenze il 27 maggio 1923 nasceva -in una colta famiglia borghese, da Albano Milani Comparetti e Alice Weiss, ebrea triestina- Lorenzo Carlo Domenico Milani Comparetti. Ricorre dunque in questo mese di maggio 2023 il centenario della nascita del “priore di Barbiana”, sede di quella omonima scuola che, con “Lettera a una professoressa” (maggio 1967), tese a garantire l’eguaglianza con la rimozione di quelle differenze che derivano da censo e condizione sociale e diventando un modello pedagogico per l’Italia. Un concreto contributo alla attuazione dell’art. 3, comma 2 della nostra Costituzione.
Il “Comitato Nazionale per le celebrazioni”, presieduto da Rosy Bindi, ne curerà la memoria. “Vorremmo che non fosse una celebrazione, don Milani sarebbe stato allergico a quella parola“, ha detto Bindi. L’obiettivo è di calare don Lorenzo “nel contesto attuale, nelle sue dimensioni più importanti“: la dimensione ecclesiale, ma anche quella della scuola, per parlare “della dispersione scolastica, e della funzione della scuola pubblica“, il sociale con “la lotta alle disuguaglianze e alla povertà, e la dignità del lavoro“. Ha poi aggiunto: “Vorremmo far parlare don Milani depurando la sua figura da interpretazioni non sempre fedeli e ricollocandolo nella Chiesa e nell’Italia del suo tempo». E ha proseguito: «Don Milani è stato prima di tutto un prete, animato e sostenuto da una grande fede. E da prete, un uomo davvero obbediente: ha sofferto molto per la Chiesa e anche a causa della Chiesa”.
Ieri, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha aperto le celebrazioni a Barbiana dando il via alla XXII edizione della Marcia della Pace, con la partecipazione anche del cardinale Matteo Maria Zuppi, presidente della Cei.
Come non ricordare che Papa Francesco il 20 giugno 2017 si è recò a Barbiana, a pregare sulla tomba di don Lorenzo. “Non posso tacere –disse- che il gesto che oggi ho compiuto – vuole essere una risposta a quella richiesta più volte fatta da don Lorenzo al suo vescovo, e cioè che fosse riconosciuto e compreso nella sua rettitudine al Vangelo e nella sua azione pastorale. Lo hanno già fatto Piovanelli e gli altri arcivescovi di Firenze oggi lo fa il vescovo di Roma. Ciò non cancella le amarezze che hanno accompagnato la vita di don Milani, non si tratta di cancellare la storia o di negarla, bensì di comprenderne circostanze e umanità in gioco, ma dice che la Chiesa riconosce in quella via un modo esemplare di servire il Vangelo, i poveri e la Chiesa stessa“.
Peraltro, già il 10 novembre 2015 allo stadio di Firenze, tra gli applausi entusiasti dei 60.000 presenti alla Messa concelebrata proprio dal Papa in occasione della chiusura del quinto Convegno Ecclesiale Nazionale, vi fu un importante riconoscimento delle figure del cardinale Elia Dalla Costa, di don Giulio Facibeni, di don Lorenzo Milani, del poeta Mario Luzi e di Giorgio La Pira. L’arcivescovo di Firenze, cardinale Giuseppe Betori, così sintetizzò le loro caratteristiche di “astri di pietà della storia e della cultura della città: Elia Dalla Costa, vescovo compassionevole, difensore di uomini e donne di ogni fede di fronte ai regimi totalitari; don Giulio Facibeni, apostolo della carità; Giorgio La Pira, sindaco santo, profeta di giustizia e di pace; don Lorenzo Milani, voce di un cattolicesimo vivace e precorritore nel nome di una sofferta ma leale fedeltà alla Chiesa”. Oggi don Giulio e il professor La Pira sono venerabili della Chiesa Cattolica.
Voglio qui ricordare il contesto fiorentino in cui si sviluppò la figura e la testimonianza di Don Lorenzo. Un ambiente che il cardinale Bassetti ha definito come il cuore pulsante, attivo, protagonista, di una “sperimentazione”, (la “tesi fiorentina” nel linguaggio lapiriano) ecclesiale e sociale.
Occorre dunque citare la figura di don Raffaele Bensi. Il cardinal Benelli, dal 1967 sostituto alla Segreteria di Stato nel pontificato di Paolo VI e poi vescovo di Firenze dal 1977 al 1982, definì don Bensi come «il vero padre della Chiesa fiorentina». A lui si deve, nel giugno del 1943, anche la conversione di un giovane ebreo che poi si fece prete: proprio Lorenzo Milani.
Il 1943 è stato certamente un anno di svolta, uno spartiacque nella storia della chiesa di Firenze. Un gruppo di giovani fece la “scelta dei poveri”, come mi ha spiegato don Silvano Nistri, storico della chiesa fiorentina. Una sorta di anticipazione della Chiesa “povera per i poveri “di Francesco. Tra loro c’era, appunto, Lorenzo Milani, rampollo di una famiglia dove si respirava la cultura fiorentina del tempo, la più elitaria. Nel novembre del 1943 entrò nel seminario fiorentino. C’era Corso Guicciardini Salviati, che fu poi successore di don Facibeni, che rappresentava l’aristocrazia fiorentina al più alto livello. La Sua famiglia possedeva interi borghi, palazzi e migliaia e migliaia di ettari. La Sua vocazione nacque proprio grazie ad un incontro con Giorgio La Pira nell’ambito delle conferenze della San Vincenzo dei Paoli che si tenevano nella canonica di don Bensi. Don Facibeni, peraltro, negli ultimi giorni della sua vita stava leggendo proprio Esperienze Pastorali. Ed inoltre predicò in seminario gli esercizi spirituali per l’ordinazione proprio alla classe in cui c’era Lorenzo Milani. Fu proprio quella classe a chiedere coralmente che gli esercizi fossero svolti da don Giulio, il Padre.
Dino Pieraccioni (1920 1989) che è stato una figura importante nel mondo cattolico fiorentino e particolare attenzione ha sempre dedicato alla formazione dei giovani, riteneva che la vera causa scatenante che portò alla conversione di Milani accadde vicino a piazza Pitti. Mentre Lorenzo stava mangiando un panino, una donna del popolo vedendolo gli gridò: “Non si viene a mangiare il pane bianco dei ricchi nelle strade dei poveri!“. Sembra che questo ammonimento fu da Lorenzo interpretato come un rimprovero mariano.
Milani e La Pira ebbero in comune don Bensi come confessore e si stimavano. Don Raffaele fu decisivo con entrambi relativamente alla loro scelta dei poveri e certamente anche in relazione alla loro fedeltà alla Chiesa. La Pira aveva infatti un grande amore per l’unità della Chiesa, amore che in ogni occasione cercava di infondere nei suoi giovani studenti. Ci diceva sempre: ubi episcopus, ibi ecclesia.
Don Lorenzo era un provocatore nato, ritenendo di dire sempre quel che pensava. Ne aveva pagato le conseguenze a opera della gerarchia con cui ebbe fortissime tensioni, ma non si ribellò. Disse: «Nessuno riuscirà a farmi disobbedire. Se il vescovo mi sospendesse, mi arrenderei immediatamente, rinunciando alle mie idee. Delle mie idee non mi importa nulla, perché io, nella Chiesa, ci sto per i sacramenti, non per le mie idee».
Narra don Bensi – a proposito di certe diffidenze – che quando uscì il libro di don Milani, Esperienze Pastorali “nonostante l’imprimatur della curia, l’approvazione del cardinale Dalla Costa e la prefazione di monsignor D’Avak, chi fu che il Sant’Uffizio mandò subito a chiamare? Chiamarono me. Mi fecero un mucchio di domande: il libro da chi viene? È soltanto don Milani che lo ha scritto o è opera di un gruppo sovversivo? don Milani ha rapporti con La Pira? chi c’è dietro? e cose del genere. Io cercai di aggiustar tutto alla meglio”.
Un altro aspetto che accomuna La Pira e Milani è il loro riconoscimento del valore della persona umana e il rifiuto dei totalitarismi. Giorgio La Pira criticava infatti profondamente, a partire dal personalismo neotomista, il marxismo come dottrina di derivazione hegeliana.
Viene da riflettere a proposito di questa base filosofica – l’Uomo va difeso dallo Stato – l’apparente stupidità di chi li accusava di comunismo. Ma non era stupidità, era lucida difesa di interessi egoistici da parte di chi si disinteressava cinicamente dei problemi sociali. Vale anche oggi. Chi legga quel magistrale trattato di antropologia culturale e sociale sugli anni ’50 che è il volume Esperienze Pastorali – 575 pagine dense di grafici, tabelle e analisi degne dei migliori sociologi ed economisti – si renderà conto di come questi cristiani fossero radicalmente anticomunisti e di come a partire dai valori cristiani di difesa degli ultimi, fossero gli unici veri avversari del comunismo e di come prefigurassero che la combinata apparente concorrente azione di capitalismo e comunismo avrebbe snaturato materialisticamente la natura umana.
Chiudo questa riflessione sul contesto fiorentino in cui si formò Lorenzo Milani a partire con quanto si legge in una profonda e commovente intervista rilasciata da don Bensi a Nazzareno Fabbretti nel 1971:
” Chi era davvero don Milani? ”
” Era un illuminato, un profeta, un testimone unico nel suo genere. È un gran bene che ci sia stato. Sarebbe un disastro se ce ne fossero altri, voglio dire proprio come lui, e senza essere quello che lui era. Non so se riesco a farmi capire. Era un cristiano, ma anche un ebreo: un piede, a suo modo, nel Vecchio Testamento l’ha sempre tenuto. Di qui il suo rigore, le sue collere, la sua spaventosa intransigenza”.
” Cosa pensa, monsignore: d’essere stato alle prese con un diavolo o con un santo? ”
“Con un santo, non c’è dubbio. Anche se tante volte travestito da diavolo. E anche se ci vorrebbe del coraggio, un giorno, a canonizzarlo “.
Ebbene il papa a Barbiana ha dato coraggio! E l’ha chiesto, rivolgendosi prima a se stesso e poi ai presbiteri presenti: “Che anche io prenda l’esempio di questo bravo prete! […] Questo “prete trasparente e duro come un diamante’ –ha detto – continua a trasmettere la luce di Dio sul cammino della Chiesa, prendete la fiaccola e portatela avanti”. E voi sacerdoti, tutti -perché non c’è pensione nel sacerdozio!- avanti e con coraggio!”.
Carlo Parenti