Che Giorgia Meloni sia riuscita a confermare quello che i sondaggi ci dicevano da un pezzo, e cioè che Fratelli d’Italia sarebbe diventato il primo partito è l’unico dato certo assieme al previsto ridimensionamento del partito di Enrico Letta, adesso finalmente costretto a riflettere su una vocazione “maggioritaria”.
Però, guardiamo ad altri fatti. Il partito della Meloni ha raccolto il 26% di un corpo elettorale che segna il minimo storico dell’affluenza: poco più del 63%. La matematica dunque vuole che la Meloni goda oggi del sostegno effettivo che va sotto il 20% e il centrodestra, grosso modo, attorno al 25. Altro che sentire dire: “siamo stati scelti dagli italiani! o “governeremo per tutti!”. Ma sul problema dell’astensionismo torneremo in conclusione.
Inoltre, per tenere in piedi la coalizione elettorale allestita a seguito della caduta del Governo Draghi, Giorgia Meloni ha dovuto concedere molti seggi sicuri agli alleati, Salvini e Berlusconi, i quali si trovano adesso ad avere un numero di deputati e senatori che quasi uguaglia quello dei parlamentari di Fratelli d’Italia.
E’ inevitabile che per un certo periodo di tempo il fidanzamento continuerà apparentemente saldo, ma all’orizzonte già si profilano passaggi importanti che metteranno alla prova la coalizione che oggi incassa la vittoria. I complimenti ricevuti da Orban, dalla Le Pen e da tutto il fronte antieuropeista e “no vax” di destra, la mal celata soddisfazione dei portavoce russi, la dicono lunga sul passaggio più importante: quello delle relazioni con l’Europa e con i paesi più grandi di essa, Germania, Francia e Spagna, oltre che con la Commissione europea. Tutti hanno già chiaramente fatto capire quanto stiano controllando il varco da cui dovranno passare la Meloni e il suo Governo. E non è detto che sia Salvini, sia Berlusconi non ne approfittino per cominciare a vendicarsi della troppo veloce esplosione di Fratelli d’Italia sostanzialmente cresciuti a loro spese.
Lo spread è subito salito a 236 e l’esperienza dell’ultima parte del Governo Berlusconi ci dice che basta una settimana di turbolenza per innalzarsi terribilmente. La cosa sposata a un’inflazione già incontenibile può devastare qualunque governo e qualunque coalizione.
Poi, giungeranno altri appuntamenti quali quelli delle nomine pubbliche e dell’ulteriore assalto alle aziende di stato e alla Rai. E’ vero che le spartizioni costituiscono consolidata esperienza di tutta la politica italiana, ma è anche vero che i tanti interessi che stanno dietro il balzo della Meloni, lo si è visto in controluce leggendo i giornali, porteranno il conto anche sotto questo versante e, allora, vedremo, quanto sarà dilatabile la coperta.
Arriverà l’autunno. Quello delle rivendicazioni per il caro vita, per le aziende in crisi e taluni contratti da rinnovare. I bonus non bastano più e il nuovo Governo si troverà a maneggiare le tante cose insolute lasciate a metà dall’esecutivo Draghi fatto cadere dal congiunto accanimento della Meloni, dal disimpegno di Conte e dal voltafaccia di Salvini e Berlusconi. Sappiamo bene come anche il sistema della comunicazione contribuisca a nascondere dietro il “politichese” i problemi veri del Paese e a non far capire come le coalizioni, persino i singoli partiti, siano attraversati trasversalmente sulle questioni veri e reali che, alla fine, contano.
Leggendo in filigrana la composizione del nuovo Parlamento scopriremo che esistono maggioranze diverse a seconda delle diverse questioni prese in considerazioni separatamente. Il populismo antieuropeista, al di là del successo della Meloni, esce ancora una volta sconfitto, come sta accadendo dalle europee di tre anni fa. La ferma difesa dell’Ucraina non è certo patrimonio dei soli Fratelli d’Italia. Sulle tasse sarà tutto da vedere perché abbiamo visto come la flat tax sia più questione lessicale che progetto concreto. Sull’autonomia differenziata, che può avere effetti definitivamente dirompenti sul Mezzogiorno, vedremo che, al dunque, anche regioni del centro nord governate dalla sinistra finiranno per andare in soccorso di Salvini. E su questo crinale potremmo continuare a lungo per scoprire che, al di là, dei risultati di queste ore non tutto può già essere dato per certo.
A proposito della maggioranza per lo stravolgimento della Costituzione, dobbiamo prendere atto che l’assalto della Meloni non ha portato l’effetto desiderato al fine di poter procedere all’introduzione del presidenzialismo senza che gli italiani possano dire un bel “no” come hanno fatto finora in tantissime delle occasioni in cui si è provato a indebolire la nostra Carta fondativa invece che rafforzarla.
Torniamo al discorso iniziale. Che c’entra l’astensionismo? Domanda ancora più forte oggi dopo un ulteriore crescita nonostante il calor bianco cui era giunta questa campagna elettorale. Nell’ultimo decennio la crescita dell’astensionismo è coincisa con la presenza di governi più deboli, appena appena rafforzati con l’esplodere della pandemia. L’astensionismo è il frutto di un disagio di un corpo sociale che si vede solo sfruttato e non coinvolto. L’altissimo livello raggiunto nel Mezzogiorno, cosa che dovrebbe costituire altro motivo di riflessione per la Meloni sull’entità e la qualità del suo successo, sta solo a confermare quanto la società civile non si riconosca più in chi formalmente la rappresenta. In Sicilia non c’è solo il fenomeno della ripresa dei 5 Stelle da considerare, molto dovuto al reddito di cittadinanza piuttosto che alla gratitudine verso Conte che ha portato all’Italia l’ingente investimento previsto dal Pnrr. Ad esso va aggiunto il grande successo dell’autonomismo espresso attraverso Cateno De Luca giunto secondo dopo Schifani attorno cui si era schierato tutto il centrodestra.
Tante le aree di forte criticità, dunque, che prima o poi finiscono per avere le loro pesanti conseguenze su un quadro politico che, come ci ha dimostrato l’esperienza degli ultimi 11 anni, è costretto a considerare come le elezioni costituiscano solo un elemento di una vicenda politica sempre più complessa e volatile. Anche grazie a sistemi elettorali iniqui e alla mancata regolamentazione della vita dei partiti.