Mentre erano in corso le elezioni europee, Christine Lagard ha abbassato leggermente i tassi per poi avvertire, subito dopo, che la guardia resta alta. L’inflazione è sempre considerata il pericolo più grosso per l’Europa.

Molti analisti le hanno contrapposto la gestione “alla Draghi” per rimproverare alla Presidente della Bce l’insistenza con una politica restrittiva che continua a non far decollare l’economia. Qualcuno rimprovera all’attuale dirigenza della Bce di essere intervenuta quando oramai i buoi erano scappati e di non rimediare, adesso, che sono rientrati nella stalla.

Perché questa digressione? Per ricordare ai nostri politici, ai nostri opinionisti e ai nostri giornalisti uno dei tanti veri punti attorno cui si formerà la “vera” maggioranza chiamata a raccogliere la guida della nuova legislatura europea, e l’indirizzo della Commissione. Finita l’ubriacatura elettorale, l’analisi dei risultati, lasciato sfogare quelli e quelle che hanno bisogno di dirsi, o sentirsi dire, di influire e di contare parlando dei massimi sistemi di una politica ormai del tutta avulsa dalle questioni concrete, giunge il momento del risveglio nella realtà.

Quella fatta anche del ritorno necessitato alla conferma di  un bacino ampio costituito da popolari, socialisti e liberali intenzionati a continuare con la precedente “maggioranza Ursula”, cui si aggiungono dei comprimari i cui più importanti sono le decine e decine dei senza casacca o i piccoli gruppetti che, al momento, non rispondono a nessuno. Non sarà semplice, ma una maggioranza europeista si troverà. Ed è allora che vedremo davvero se le conversioni siano autentiche o strumentali.

In questo contesto, la destra, quella che fa la vera destra in casa propria e mostra un volto meno arcigno in Europa, potrà probabilmente avere più gioco a livello parlamentare nel tentativo di frenare soprattutto la politica di trasformazione. Quell’attenzione cioè all’ambiente che, in un momento di difficoltà economiche come le attuali, hanno visto il calo dei verdi. L’alleanza tra l’industria, che non vuole investire in innovazione, e i lavoratori timorosi per i loro posti di lavoro, oltre che molte fasce socialmente deboli, su cui rischia di pesare molto il costo della transizione, hanno contribuito all’innalzamento del livello dell’onda di destra. Salvo poi ritrovarci tutti a breve a guardare al balzo anomalo all’insù delle temperature e ai conseguenti periodi di siccità e inondazioni. Purtroppo, il troppo benessere c’ha portato a non guardare oltre il nostro naso.

Abbiamo già delineato due punti, vogliamo chiamarli scogli?, che sono dinanzi all’Europa. Ma poi c’è altro, come continuiamo a ricordare di frequente: la riforma dei Trattati e le politiche migratorie. Nel primo caso, c’è da chiedersi se andremo più verso una forma di federalismo, come richiederebbe una sempre più necessaria armonizzazione fiscale e la definizione di più equi trattamenti degli oneri richiesti alla ricchezza, quale quella delle banche e delle multinazionali. Piccolo quesito per Giorgia Meloni: come ci mettiamo con gli alleati della destra olandese che di multinazionali se ne intendono? Anche se forse la risposta, ahimè, è già da trovare nell’acquiescenza mostrata nel corso della grande “battaglia” annunciata dalla Meloni, quella capo popolo, poi costretta ad una repentina marcia indietro.

Ci sarebbe ancora molto altro da dire su quanto avviene alle nostre porte di casa orientale e al di là del Mediterraneo. Il voto della scorsa settimana è stato influenzata  da una diffusa contrarietà alla politica seguita in Ucraina. I neonazisti della Afd ieri hanno clamorosamente abbandonato il Parlamento tedesco al momento in cui l’ospite Zelensky ha preso la parola. Quelli della Afd che hanno appena registrato un clamoroso balzo in avanti in Germania.

E allora smettiamola di guardare al mondo con i nostri occhiali domestici. La situazione è molto più complessa. Al punto tale che può naufragarvi anche la più raffinata strategia di comunicazione e di camuffamento.

 

About Author